Nel 2002, all’alba di una nuova tv e di una nuova nascente concezione di reale, Umberto Eco scriveva: «A un bambino che cresce parrà naturale vivere in un mondo dove il bene primario sarà la visibilità. Dove per essere riconosciuti dagli altri e non vegetare in uno spaventoso e insopportabile anonimato si farà di tutto per apparire, in televisione o in quei canali che a quell’epoca avranno sostituito la televisione». Ed eccoci qui, più di 20 anni dopo, con Internet e i social media ad aver dato nuova forza e nuova linfa al pensiero di Eco. Quel che stupisce, però, è il fatto che gli schermi dei nostri telefoni e la loro promessa di poterci far diventare noti a un pubblico potenzialmente immenso, non siano mai davvero riusciti a distruggere lo scenario a cui si riferiva Eco, ovvero quella della tv dei reality show, che proprio a inizio millennio diventava un fenomeno di costume tale da far convergere sullo stesso programma milioni di persone diversissime tra loro. Ecco, i reality, pur con le loro crisi dovute all'arrivo dei social, di YouTube, e poi dei portali di streaming, riempiono ancora i palinsesti della tv generalista, che continuano a credere fortemente nei programmi che inghiottiscono e vomitano senza soluzione di continuità persone “comuni” che di lavoro fanno quelli che vengono guardati. Pensate a Temptation Island, che fa sempre ottimi numeri, o al più recente The Couple, condotto da Ilary Blasi.
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Il reality come racconto seriale
“Sono tentato di suggerire – ha scritto Slavoj Zizek in A Cup of Decaf Reality – che l’ascesa della “reality tv” nelle sue diverse forme, dai “docusoaps” ai survival game, si basi sulla stessa tendenza di fondo per offuscare la linea che separa la finzione dalla realtà. […] la “vita reale” che vi troviamo è reale quanto il caffè decaffeinato. In breve, anche se questi spettacoli sono “reali”, le persone recitano comunque, semplicemente “interpretano se stesse”. Quelli che vediamo, insomma, sono personaggi di fantasia, anche se interpretano veramente se stessi”.
Ecco quindi che il reality diventa una nuova forma di telefilm, sviluppa narrazioni strutturate, stratificate, che si diluiscono e si intrecciano nel tempo, con trame che appassionano di più proprio per quel patto tacito col telespettatore che vuol credere di star guardando qualcosa di vero. E così, addomesticato e semi-sceneggiato, ibridato, il comparto reality oggi rappresenta ancora una fetta importantissima per sia per le piattaforme streaming, come Netflix che ne sforna in continuazione, ininterrottamente, che per la tv generalista. Quel che hanno capito i produttori, tuttavia (e la prova è quel meta-reality in formato serie tv che è Squid Game, uno dei più grandi successi di sempre di Netflix) è che dall'altra parte della tivù non è tanto la storia d'amore che interessa, è la guerra.
Il reality come racconto seriale
E se è vero che ogni programma televisivo ha quello che Malcolm Gladwell chiamerebbe il tipping point, cioè il momento dopo il quale tutto è declino, per il reality di cui andremo a breve a parlare, ovvero L’Isola dei famosi, quello fu la seconda edizione, del 2004, quando Antonella Elia fu vincitrice morale dopo, appunto, la guerra contro tutti, ma un po' di più contro Aida Yespica. La rissa tra le due, mani nei capelli, bikini striminziti (ricordo che uno dei pensieri che ebbi davanti a quel momento fu proprio: devo ricordarmi di non azzuffarmi mai in costume da bagno, se nemmeno Yespica ne sta uscendo tanto bene) e una Carmen Di Pietro insieme a Francesco Facchinetti a tentare di dividerle, ha segnato un prima e un dopo. Ha aumentato il gusto per il "sangue" del pubblico, che poi lo ha ricercato nelle edizioni a seguire, senza trovarne, trovando, invece, insoddisfazione crescente.
Perché un buon reality, che sia trash come Temptation Island o più "alto" come Pechino Express, è soprattutto fatto di un ottimo casting. E qui veniamo alle riflessioni odierne. Perché il non più così rilevante Isola dei famosi, per questa 19esima edizione che andrà in onda in prima serata su Canale 5 stasera - mercoledì 7 maggio (il giorno stesso dell’inizio del Conclave che dovrà nominare il nuovo Pontefice, dopo la morte di Papa Francesco) con la conduzione di Veronica Gentili, sembra essersi giocata bene le sue carte, a voler rimanere fedeli al motto "più guerra e meno amore".
Soprattutto per un naufrago che di guerre ideologiche (da quella contro i diritti per le persone gay alla crociata contro l'eutanasia) ne ha accese su più fronti, ovvero il giornalista, politico ultraconservatore e giocatore di poker professionista Mario Adinolfi.
Adinolfi naufrago: provocazione o mossa narrativa?
Mario Adinolfi in passato è stato parlamentare e militante del Partito Democratico, per poi allontanarsene e diventare fondatore, dopo uno spostamento verso la destra cattolica, de 'Il Popolo della Famiglia'. Col quale decide di investire vita e carriera nella battaglia contro quelli che chiama i “falsi miti di progresso”: aborto, eutanasia, unioni omosessuali, fecondazione eterologa. Per promuovere la sua causa ha scritto alcuni libri, di cui uno dal titolo Voglio la mamma (in cui l'autore spiega che la nostra società si fonda sulla figura mitologica della mamma, e che questa non vada toccata) e ha fondato un quotidiano che ha chiamato “La Croce”. Nel 2022 un’altra isola non gli ha portato molta fortuna: si candidò come sindaco di Ventotene ottenendo zero voti.
A Mario Adinolfi non dispiace la polemica. Anzi si potrebbe dire che la cerca. In un'intervista di qualche anno fa, per citare uno dei forse meno sgradevoli (pensate un po' a che livello sono gli altri) episodi della sua carriera di provocatore, aveva spiegato che le donne debbano essere “sottomesse” aggiungendo che però “questo non significa che non ci sia parità fra uomo e donna”. Ma questa è un’evidente contraddizione logica: se c’è parità, non può esserci sottomissione e viceversa. Era stata la sua seconda moglie e madre di due dei suoi tre figli aveva poi chiarito: “Sottomessa significa essere al servizio della mia famiglia e, quindi, fare tutto ciò che è in mio potere per rendere armoniosa la vita insieme a mia figlia e mio marito” Ma in lingua italiana sottomessa non significa affatto “rendere armoniosa la vita familiare”. Si potrebbe pensare che il termine “sottomissione” sia cercato di proposito per sollevare scandalo, indignazione e far parlare di sé.
Tutti obiettivi raggiunti con successo da Mario Adinolfi, e che certamente andrà perseguendo anche in Honduras, dove dice di voler andare perché "è irragionevole che lo faccia (il riferimento è al suo essere sovrappeso, nda.) e io amo le cose irragionevoli". Beh, non è vero. O meglio, non sappiamo se il "leader spirituale" delle Sentinelle in piedi (e lo è perché leggendo i suoi articoli o i suoi libri vediamo che non dice no non solo ai matrimoni gay e alle adozioni. Ma si oppone anche alle più timide unioni civili, alla stepchild adotion. Dice no anche alla lotta contro le discriminzioni, si oppone alla legge sull’omofobia anzi per lui non esiste neppure il concetto stesso di omofobia. Dice no all’esibizione di Concita Wurst a Sanremo, dice no persino alla pubblicità con le coppie gay) ami o meno le cose irragionevoli, ma di certo la sua partecipazione a un reality che da tempo fatica a prendersi un briciolo di dibattito pubblico non la è. Irragionevole sarebbe continuare a formare cast senza mordente e senza verve polemica, cosa che è stata puntualmente fatta negli ultimi anni portando ad un crollo verticale degli ascolti.
Tra villain, politica e polemica
Ma se reality deve essere, almeno dateci dei villain degni di questo nome. E Adinolfi, per altro affiancato ad altri due personaggi decisamente controversi come Camila Giorgi, l'ex campionessa di tennis con accuse di reati fiscali e di truffa per il caso della finta vaccinazione, e Dino Giarrusso, ex Iena, eletto nel 2019 eurodeputato per il Movimento 5 Stelle, carica abbandonata poi nel maggio 2022, lo è.
Quindi, quella ai nastri di partenza è un'edizione dell'Isola che, sulla carta, il casting potrebbe averlo azzeccato. Mario Adinolfi è una scelta scorretta perché è un fiero portatore di pensieri e idee irricevibili (non ve li sto ad elencare, se vi volete male potete consultare Wikipedia), ma dal punto di vista della scrittura dell'arco narrativo di un programma, che ci deve essere ma al contempo non si deve vedere, è un gol a porta vuota.