Le donne non sanno parcheggiare. E durante "quei giorni" sono isteriche. E sì, non capiscono niente di sport e dintorni. Sono stereotipi, questi, magari in gran parte superati ma non per questo meno duri a morire. Ci rincorrono ovunque, sul lavoro e nella vita privata, ormai interiorizzati. Soprattutto intorno all'ultimo pregiudizio che vuole l'universo femminile agli antipodi del mondo sportivo ruota ancora uno stigma profondo: non è una questione di gusti, alle donne, per una qualche stravagante congiuntura genetica, proprio le dinamiche sportive non possono entrare in testa.
È su questo stereotipo che Mindy Kaling, brillante sceneggiatrice e protagonista di serie come The Office, The Mindy Project, Non ho mai... ha costruito la sua nuova serie per Netflix: si chiama Running Point, il cast è un tripudio di A-list celeb e racconta l'ascesa di una donna, ritenuta un'incapace festaiola dalla sua famiglia di soli maschi, alla guida di una delle squadra di basket più famose e potenti degli Stati Uniti.
Il cast di Running Point
La protagonista di questo show arrivato in streaming il 27 febbraio è Kate Hudson, alla prima prova da protagonista assoluta in una serie tv nei panni di Isla Gordon. Con lei ci sono Brenda Song, che interpreta la sua fidata collaboratrice e pugno di ferro alle risorse umane Ali. Il fratello maggiore che le cede lo scettro del comando dopo uno scandalo a base di droga è Justin Theroux. Ci sono anche Max Greenfield (il mitico Schmidt di New Girl), Drew Tarver e Scott MacArthur.
La storia di Running Point ricalca la vicenda personale di Jeanie Buss, presidente dei Lakers
La squadra che Isla dirige - si chiama Los Angeles Waves - non esiste, ma la storia cui Kaling si è ispirata per la serie è vera: Hudson è infatti l'alter ego di Jeanie Buss, presidente dei Los Angeles Lakers, una delle più rilevanti squadra della NBA americana.
Dell'idea da cui poi è nato Running Point, in effetti, Buss è ideatrice e oggi produttrice insieme a Linda Rambis, executive director dei progetti speciali dei Lakers: fan del lavoro di Mindy Kaling, le hanno presentato il pitch della storia sperando si appassionasse al progetto tanto da scriverci intorno una sceneggiatura. E così, in effetti, è stato. Hudson, che è salita a bordo dopo aver letto il pilot («Non vedevo l'ora di fare una serie comica, ma di questi tempi i progetti brillanti non sono molti», ha detto a Variety) nella serie ripercorre i suoi passi di donna in un mondo completamente alla mercé di uomini pronti solo a fare mansplaining, a derubricare il suo lavoro come inutile o niente affatto on point, a umiliarla come professionista e come persona appena possibile.
La trama di Running Point
La serie parla della dinastia dei Gordon, a capo di un impero sportivo da milioni di dollari. Quando il presidente della compagnia viene beccato alla guida in preda a un trip da cocaina, il timone passa a Isla, l'unica figlia femmina che di basket sa tutto ma non ha mai potuto dimostrare le sue skill sul campo perché soffocata dagli altri due fratelli maschi, altrettanto interessati a prendere il comando dell'azienda di famiglia. Sin dal primo episodio - il ritmo è veloce, i dialoghi brillanti e il cast azzeccato - Isla si ritrova a dover contrastare una marea di stereotipi legati non solo alle donne di potere, ma in particolare alle donne di potere nello sport. Campo di cui non sanno nulla e non meritano di avere voce in capitolo. La sceneggiatura ovviamente nasce dall'idea di Jeanie Buss ma poi differisce totalmente dalla storia della sua famiglia per evitare spiacevoli sovrapposizioni: le trovate comiche di Running Point sembrano spesso grottesche, ma mai nonsense o sopra le righe. Alla fine Isla ce la fa a farsi sentire dalla squadra di energumeni che è chiamata a dirigere e a imporre le sue idee, guarda caso più efficienti di quelle dei fratelli. Sbaglierà, a volte, non perché donna ma perché essere umano. Running Point è una bella comedy, leggera e densa allo stesso tempo. Da vedere per ribaltare tutto quello che abbiamo interiorizzato su donne e sport. Quelle sì, che sono battute che non fanno più ridere.