«Credo che nella carriera di un attore siano importanti i film che testimoniano la contemporaneità che stiamo vivendo», osserva con convinzione Vincent Lindon, protagonista di The quiet son, film di Delphine e Muriel Coulin tratto dal romanzo, Ce qu’il faut de nuit di Laurent Petitmangin e ora presentato a Venezia 81, nei panni di un padre vedovo che cresce da solo due figli, uno dei quali, affascinato dalla violenza, comincia a frequentare gruppi neofascisti. «Se si tratta di un film scritto bene, quando lo rivedremo tra dieci, quindici o vent’anni, potremo dire: “Ecco, questa era la situazione di quel Paese all’epoca”».

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Gianmarco Chieregato


Allude alla montante ondata di simpatie per l’estrema destra in Francia?

«In Francia, in Italia, nel mondo intero. Non so dire cosa esattamente attragga i ragazzi di molti Paesi verso gli estremi. Vedo che c’è un enorme malcontento, per tanti quella fascinazione è un modo di esprimere la propria insoddisfazione per cose già viste. Pensano che la soluzione sia lì, in qualcosa che non hanno mai provato. Si chiama disperazione».

Davanti a un tribunale il padre del film si dichiara responsabile delle scelte estreme del figlio, si è chiesto cosa farebbe nei suoi panni?

«Non ci provo neanche, non farebbe la differenza, mi dedico solo alle cose che posso concretamente contribuire a cambiare, per esempio facendo un film che costringa la gente a interrogarsi sulla stessa domanda, cosa che trovo più interessante. Ma penso che la responsabilità di quel padre si limiti al non aver compreso prima cosa accadeva al figlio. Se il punto è che, pur prendendo le distanze dalle sue azioni, continua ad amarlo, beh: credo che essere genitori, o figli, significhi amare incondizionatamente. E se non ci si perdona, almeno ci si sostiene. È la storia del mondo».

Com’è riuscito a ricreare il rapporto, fisicamente credibile, coi giovani attori che interpretano i suoi figli?

«Potrei fare come spesso fanno gli artisti: inventarmi una risposta. Ma le dirò la verità: in realtà non lavoro così. Sul set quelli sono davvero i miei figli, anche se li chiamo con altri nomi. Non sto recitando, incarno. Penso che quando qualcuno ti sceglie per un ruolo, è perché vuole vederti in quel ruolo. Quando un personaggio è scritto male, puoi fare quello che vuoi, la gente in lui continua a vedere te. Se invece è ben scritto, è più forte di qualsiasi altra cosa: ti risucchia, e tu sparisci».

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