Sarà difficile uscire dal groviglio fangoso di corpi mani piedi attorno cui gira la macchina da presa invincibile di Gianni Amelio e su cui si apre il film Campo di battaglia. Una sorta di concrezione di carne straziata, umori e terra di trincea. Una delle immagini fra le più forti per raccontare la guerra, sintesi di precisione dei ricordi dei nonni, la Prima Guerra Mondiale, il nord-est maciullato come i corpi dei soldati. E infine il dramma, senza soluzione di continuità, della febbre Spagnola che nel 1918 decimò nel mondo più di 50 milioni di persone: ricordo che mia nonna, sola e poverissima sulla linea del fronte, raccontava di aver mendicato un po’ di latte per salvare la figlioletta. Nell’ospedale militare c’è il medico d’origine altolocata, Gabriel Montesi, tutto onore della patria e disonore della diserzione e poi c’è il dottore dalla fragilità dissimulata, Alessandro Borghi/Giulio, infine il mistero di quei soldati che improvvisamente s’aggravano e vengono esonerati dal fronte.

Chi li aiuta? Il rischio è alto, la disperazione e la crudezza della guerra che trasmette il film sono un virus devastante, Amelio si conferma l’autore grande che è, solido, lo sguardo che pare tranquillo, classico, e invece indaga nel tessuto del film, con rabbia e umanità, il disgusto dell’ingiustizia verso cui si è inermi. Nel trio di bravi attori, quasi una ronda amorosa di ideali traditi o infranti tra i due amici/ nemici e Federica Rosellini, il regista si specchia idealmente nella bravura camaleontica e mai solo mimetica di Alessandro Borghi, in esercizio stavolta sulla calata veneta (e che belli tutti quei dialetti mischiati nel film) capace quasi di liquefarsi dentro il tormento di Giulio.

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D.R.

Andiamo altrove, resta il dolore: cos’è la vergogna, cosa sono il senso di colpa e la menzogna che mettono la vita sottosopra minacciando famiglia e reputazione: affidatevi alla serie bellissima in 7 puntate Apple Tv Disclaimer scritta, diretta e prodotta da Alfonso Cuarón per capire i guasti del lutto. Lo sviluppo è incalzante, i risvolti in successione e da custodire gelosamente per la sorpresa. Un romanzo verità fa riaffiorare un oscuro innominabile peccato giovanile nella vita di Cate Blanchett, publisher affermata: tutto tracolla e finisce sottosopra, il marito impazzisce di gelosia retroattiva, il figlio Nicholas non regge al succedersi degli eventi ma forse la verità è un’altra.

La storia è un incastro di ricordi inutilmente cancellati e vendette che li riportano in superficie, un revenge movie diverso da quel che ci si aspetta, regia e fotografia che si scaldano, nel mosaico di ricostruzione, mentre sale lo scandalo, in attesa dello svelamento clamoroso. Blanchett è magnifica, Kevin Kline per fortuna è tornato tra noi con un’interpretazione spaventevole per verità e crudeltà, Kodi Smit-McPhee ha quell’aria sempre malata che piace al punto da farne già un’icona dell’ultima generazione. Decisamente, gran bella giornata al Lido. |

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