Cloud, il nuovo film del multiforme autore giapponese Kiyoshi Kurosawa, arriva Fuori Concorso al Lido. Una storia di genere, tra action, thriller e apocalisse Social. E a Elle il regista svela: «Non basta una vita per capire il mistero dei film. E del cinema».
Nel 2001 aveva già affrontato il mondo socialmente alienato e oscuro di Internet nell’horror soprannaturale Kairo. Perché ha voluto ribadirlo con Cloud, scelto in concorso a Venezia?
«Un tempo avevo la paranoia che ci fosse una specie di mostro malvagio in agguato all’interno di Internet. Ma ora sappiamo che il male è ancora tutto dalla parte degli esseri umani. Il film Cloud descrive una relazione tra gli uomini che cresce e si intensifica fino al punto di "uccidere o farsi uccidere" in una lotta all’ultimo sangue. Mi sono concentrato insomma sul concetto di Internet come dispositivo che amplifica piccole distorsioni nella mente umana, ed è completamente diverso da quello che era vent'anni fa».
E perché ci sono voluti sei anni per terminare il film?
«Cloud appartiene al genere d’azione. Se provi a fare un film del genere oggi in Giappone, i personaggi sono solitamente poliziotti, forze di autodifesa o Yakuza che vivono nella violenza quotidianamente e possono facilmente relazionarsi all’action. Troppo banale. Ho resistito e ho provato a trovare altre storie in cui persone comuni che vivono completamente aliene dalla violenza possano precipitare in uno stato di guerra. L’idea era buona ma il compito piuttosto arduo, e ci sono voluti diversi anni per completare la sceneggiatura».
Lei è un intellettuale, regista, sceneggiatore, critico e professore all’Università di lettere di Tokyo, ma anche un grande amante dei generi cinematografici, avendo esplorato l’horror, la fantascienza, il giallo, il revenge e l’action. C’è qualche altro genere che vorrebbe sfidare e sovvertire?
«Ci sono ancora molti generi cinematografici su cui non ho mai lavorato. Ad esempio, drammi d’epoca, musical, commedie, ecc. So anche che ci sono molti grandi film basati su temi filosofici e sociali che trascendono i confini di genere. Il mio desiderio vero è scoprire cosa sono i film veramente, la loro anima insondabile e c’è ancora un’infinita quantità di lavoro da fare per raggiungere questo obbiettivo. Mi sto rendendo conto, con rammarico, che una sola vita non è sufficiente per capire e svelare tutti i misteri dei film».
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