Sullo sfondo della telefonata si immaginano valigie già pronte e navigatore puntato verso il mare dopo mesi di set: tra una domanda e l’altra altra di Elle ha già le mani sul volante Anna Ferzetti, ribatezzata affettuosamente Ferzetten da famiglia e amici per lo spirito decisionista e pratico, da capogruppo boy scout, e per la scuola privata tedesca dove l’ha fatta studiare papà, il grande attore Gabriele Ferzetti, genitore amatissimo con cui nei mesi caldi Anna pagaiava sul mare di Tortoreto negli Abruzzi. L’estate resta una stagione di pensieri in famiglia, da rispettare: «Quest’anno è tempo di fermarsi, un mese senza viaggi, in relax con Picchio (alias Pierfrancesco Favino, i nomignoli sono un vezzo di casa, ndr), le nostre figlie Lea e Greta e le nonne».
Per entrambi gli attori è stato un anno di corsa, set e film impegnativi, importantissimo in particolare per Anna tra ruoli sorprendenti e inusuali, l’amore, i baci e i nudi con Ambra nella serie di Ferzan Ozpetek Le fate ignoranti, e poi Call my agent Italia, in coppia più vera del vero con Favino, la trionfale tournée teatrale di Perfetti sconosciuti e infine, ancora in postproduzione, la cronaca nera de Il delitto di Avetrana, serie firmata da Pippo Mezzapesa, dov’è «una giornalista che segue in diretta la cronaca dell’omicidio della giovane Sarah Scazzi, un caso che fece sussultare l’Italia, a caccia dello scoop e nel contempo confidente delle due accusate, Cosima e la figlia Sabina Misseri». Insomma, un tempo professionale felice per l’attrice quarantenne che, dice, ha raggiunto l’obiettivo di «far dimenticare gli stereotipi, mostrare l’attrice a tutto tondo, anche severa sì, ma capace di svariare nei toni brillanti e nei ruoli forti, e persino un po’ fantasista, senza barriere».
Felice, immagino, anche perché con Favino sono già vent’anni d’amore. Una vera conquista, come si fa?
Il segreto non c’è, me lo chiedono e non so rispondere. Siamo due tosti, con il senso del dovere, si “deve” fare e fare bene, ma anche nella frenesia teniamo i piedi per terra. Lavorare spesso distanti aiuta a tenere accesa la curiosità e la fiamma, ma coltivare il sentimento, consolidarlo, è un vero e proprio lavoro. Bellissimo, ma pur sempre impegnativo. Per noi è importante trovare costantemente un punto di armonia in quello scontro di ego che fa parte, per forza, del carattere d’attore, anche in casa. Conta non farsi travolgere dalla popolarità, quella sì può essere insidiosa, elemento di squilibrio. Picchio e io cerchiamo il più possibile di non rinunciare alla normalità, ci piace andare insieme a fare la spesa, come tutti.
Un gioco di coppia che in parte si riproduce, al fianco di Neri Marcorè, nel nuovo film di Massimiliano Bruno e Edoardo Leo I peggiori giorni, in sala dal 14 agosto.
Ci tengo molto, il tema del nostro episodio, Ferragosto, è estremamente d’attualità: due genitori acculturati, lei conduttrice di impegnati talk show, lui professore, s’accapigliano in pieno barbecue con i vicini, arricchiti e un po’ volgari, Ricky Memphis e Claudia Pandolfi. Una piccola guerra di classe e il sospetto è una supposta molestia dei loro figli verso la nostra ragazzina adolescente, con corredo di tasso alcolico elevato e post revenge porn sui social. Sorpresa bellissima per me, l’adolescente è interpretata da mia figlia Greta, 17 anni, scelta dal regista con un provino. Io l’ho saputo per ultima.
Greta sarà dunque attrice come vuole il karma di famiglia?
Capirà col tempo cosa vuole davvero, se è questo il lavoro che le piace. Per il momento ha davanti a sé un anno di liceo da trascorrere in Canada, partenza a settembre. Il tema dell’educazione è centrale per me, I peggiori giorni mi appassiona non solo per la vicenda, così conficcata nella cronaca, ma perché mostra quanto a volte sono egocentrici i genitori. Nessuno dei quattro protagonisti ha interpellato i figli, nessuno ha guardato oltre le immagini social o ha saputo ascoltare la loro versione, diversa dalle risse degli adulti. Si ride sì, ma con una certa rabbia e malinconia.
Quest’anno la commedia l’ha davvero conquistata.
Mi pare arrivato il momento di cambiare, per i ruoli femminili si sta aprendo un nuovo orizzonte, tante attrici di talento, non consuete, da Vanessa Scalera a Barbara Ronchi, si stanno affermando con percorsi diversi. Io professionalmente sono un diesel, benché vulcanica nella vita: ho avuto bisogno di tempo, il mio è un percorso più lento, devo farmi scoprire dagli altri, non mi piace essere etichettata e per questo procedo guardinga, con tanti “no”. Mi sono rotta, scusi la schiettezza, degli stereotipi su di me: troppo nordica, troppo severa, così aristocratica. Guardate oltre, sono questo e anche tutt’altro. C’è voluto un po’, ma cominciano a capirlo.
Cambiare pelle le piace molto.
Certo, con tutte queste altre vite possibili non mi annoio mai. Adoro il momento del make up, e ancor più del trucco nella mia sfida camaleontica mi aiutano i costumi: come indosso un nuovo abito di scena avverto quasi un brivido e, subito, una postura diversa della spina dorsale. Credo sia un’eredità di papà, lo guardavo affascinata truccarsi e vestirsi prima di entrare in scena a teatro, è rimasto un segno profondo. La mia preparazione ai ruoli? Semplicemente la vita, sono una grande osservatrice, uscire a cena con me può essere difficile, scruto tutto e tutti, mi immagino le vite degli altri: chissà cosa stanno pensando quelli dell’altro tavolo? Perché vestono e si muovono cosi? Cosa si nasconde nelle loro esistenze?
Ha dichiarato «amore folle» per Ambra Angiolini. E infatti siete di nuovo insieme nell’ opera prima di Andrea Fazzini e Alessandro Pavanelli, Best friends forever. Che succede fra voi due?
(ride) Qui siamo solo due amiche, ma assai temibili, due che si contendono gli uomini e alla fine li divorano. Per me un ruolo molto liberatorio, con quelle parole schiette e un po’ villane che nella vita non ti permetti.
Commedia femminista?
No, direi piuttosto scorretta e cattivella, decisamente black. Le due protagoniste non sono esemplari, sono insopportabili e gli uomini li fanno a pezzi. Due cattive ragazze. Ci voleva.
E poi, nella vita, c’è il lato Ferzetten che mette tutti in riga. Lo esercita anche con le figlie, diciassette e undici anni?
No, non sono eccessivamente severa, anzi da loro imparo, rappresentano una continua scoperta, un’immersione nell’universo digital e social che, da madre, un po’ mi fa paura ma allo stesso tempo, proprio per questo, ho voglia di conoscere. Credo sia perfino troppo invadente, penso al registro elettronico, dopo un minuto so che voto han preso Greta e Lea, non possono neppure più fare “sega” a scuola senza che si sappia in tempo reale. Troppo fiscale, credo invece sarebbe giusto lasciar loro vivere l’adolescenza, errori inclusi. L’istruzione ha un’altra, vera e grande responsabilità, dovrebbe saper integrare alle materie curriculari tradizionali l’insegnamento all’uso di smartphone e social, lo studio di quei linguaggi per rendere consapevoli i ragazzi aiutandoli ad usare questi strumenti per il loro futuro, anche lavorativo. Ma in questo la scuola italiana è davvero molto, troppo, in ritardo.