Una foto che trasuda storia del cinema italiano da ogni singolo pixel. Tre mostri sacri che ammiccano ai fotografi rilasciando vibrazioni ad alto tasso di glamour, bellezza e talento allo stato puro. Prendi Silvana Mangano, Vittorio Gassman e Alberto Sordi (al bacio) alla Mostra del Cinema di Venezia 1959 ed è subito magia. Lo scatto del trio delle meraviglie alla 20esima edizione del Festival per la presentazione del film cult di Mario Monicelli, La grande guerra, vincitore del Leone d'oro ex aequo con Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini, eleva l'orgoglio patriottico alle stelle e oltre. Pietra miliare della "commedia all'italiana" e tra i capolavori del cinema mondiale, la pellicola è stata a un soffio dal portarsi a casa nel 1960 l'Oscar per miglior film straniero (vinto poi da Orfeo negro del francese Marcel Camus ndr) "consolandosi" con tre David di Donatello (per Sordi e Gassman) e due Nastri d'argento (tra cui ad Alberto Sordi come miglior attore protagonista).
Particolarmente apprezzato per la combinazione studiata nel dettaglio di tragedia e commedia e il linguaggio neoralista, l'opera è un affresco corale, ironico e toccante della vita di trincea di un gruppo di commilitoni durante la prima guerra mondiale. Il milanese Giovanni Busacca e il romano Oreste Jacovacci sono i due pavidi protagonisti che per tutto il tempo del film cercano di evitare il fronte, prima tentando di farsi riformare, poi imboscandosi ad ogni occasione, infine scoprendosi coraggiosi pronti al sacrificio quando, offesi dal disprezzo degli austriaci, finiscono per morire con orgoglio.
La scelta di presentare il film a Venezia non venne accolta benissimo: da una parte gli strascichi delle polemiche sul tentativo del regista di voler "ridicolarizzare l'eroismo dei soldati italiani al fronte", dall'altra le perplessità, espresse dai due celebri produttori cinematografici come Goffredo Lombardo e Franco Cristaldi, di selezionare un film con le riprese ancora in corso. Alla prima proiezione per la critica, il film non fu accolto benissimo, mentre alla seconda aperta al pubblico ottenne una standing ovation (tanto da portare a un "ripensamento" anche da parte della stampa). "Ci fu a Venezia, alla fine della proiezione, un applauso così lungo che lasciò esterrefatti gli attori, tutti quanti noi", ricordava Monicelli, "non pensavamo che il film avesse questo esito. Speravamo che andasse bene, ma che avesse un esito talmente trionfale, che poi evidentemente costrinse la giuria a darlo ex aequo a quello di Rossellini". E così fu. Nonostante il parere riluttante del presidente della giuria Luigi Chiarini, il quale aveva sempre avuto poca simpatia per il regista, i giurati furono costretti dalla reazione positiva del pubblico a "sdoppiare" il Leone d'oro.
Nello stessa edizione del Festival, la quarta e ultima sotto la direzione di Floris Luigi Ammannati, anche la consacrazione di Ingmar Bergman (vincitore con Il volto del Premio Speciale della Giuria dopo essere stato già presente, ancora sconosciuto, alla Mostra del 1948 con Musik i mörker - Musica nel buio) e la presentazione in concorso di un cult come A qualcuno piace caldo di Billy Wilder con Marilyn Monroe. Ed è subito magia, confermiamo.