Un giardino nella periferie di Detroit. La piscina dello Chateau Marmont sulla Sunset Boulevard. I barocchismi di Versailles. Per la regista Sofia Coppola (che ha appena finito di girare il suo ultimo film On the Rocks con protagonista Bill Murray), il racchiudere le storie nello spazio perimetrale della casa è da sempre la molla narrativa dei suoi film - un esoscheletro con tanto di fondamenta nel quale fare implodere le storie e le emozioni. Perché se è vero che gli sfarzi in cui si è trovata a vivere Marie Antoniette nel XVIII secolo sono distanti anni luce dalla stanza di un gruppo di teenager nelle periferia americana negli anni Novanta; se è insomma vero che le case sono diverse nella loro estetica e nella loro geolocalizzazione spazio-temporale, lo stare a casa - conseguenze emotive, che questo immobilismo motorio necessariamente comporta, annesse - è qualitativamente uguale per tutte e tutti.

La casa nei film di Sofia Coppola è un esoscheletro con tanto di fondamenta nel quale fare implodere le storie e le emozioni.


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Una foto-backstage di Marie Antoinette (2007).

L'idea del recinto domestico, più o meno abbiente, desumibile dal cinema della Coppola è molto diversa dal suo racconto giornalistico emerso dai notiziari in questo periodo - ribadendo ancora una volta come avremo sempre bisogno del filtro estetico del cinema per dare al reale la dignità rappresentativa di cui ha bisogno. Nel suo film di esordio Il giardino delle vergini suicide (1999) la casa coincide con il tempo castrante e limbatico dell'adolescenza; uno spazio nel cui instare porterà le protagoniste alla scelta estrema del suicidio, che pur nella sua drammaticità si presenta come la prima manifestazione autentica della loro volontà. E come un punto all'interno di una circonferenza, quella scelta coincide in maniera sincrona con l'inizio e la fine della loro età adulta nella cornice perimetrale della loro abitazione dai riverberi quanto mai cimiteriali.

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Uno still de Il giardino delle vergini suicide (Sofia Coppola, 1999)

Freud ha il suo bel da fare anche in Somewhere (2010), dove il lussuoso albergo losangelino diventa il set in cui inscenare la ricostruzione edipica del rapporto tra un padre problematico, la star del cinema Johnny Marco, alle prese con il decadentismo del successo e la sua giovanissima figlia. Il film è il dispiegamento di un' atarassia emotiva tra i due; dove i silenzi, i riverberi acquatici della piscina e il rumore dei rimbalzi della pallina da ping-pong disegnano la geografia dell'impossibilità intorno alla quale i due tentano di incanalare in una direzione emotiva il loro rapporto. "Il titolo del film riflette la sua consapevolezza, il suo bisogno di andare da qualche parte, anche se non sa esattamente dove"; così la Coppola nelle note di regia alla stampa aveva definito quest'ostinatezza del film nel documentare il non-accadere e la persistenza di un incontro mancato in un luogo circoscritto - perché nel suo cinema la mancanza di avvenimenti e gli iati relazionali che questi comportano hanno da sempre una nobiltà espressiva. In questo forse la casa, può dirsi affine alle dinamiche alienanti e al contempo centripete dello spazio digitale nel quale siamo state rinchiuse e rinchiusi negli ultimi tempi.

La lezione da imparare è solo una: la mancanza di avvenimenti in uno spazio circoscritto gode di un'intrinseca nobiltà espressiva.
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Uno still diSomewhere (Sofia Coppola, 2010).

Se poi la tua casa è la Reggia di Versailles gli echi del nulla si fanno davvero insostenibili tra gli innumerevoli barocchismi estetici. È questo il caso di Marie Antoinette (2006); film che tra le altre cose può essere letto come una mise-en-scène diacronica dell'economia delle merci tra pareti affrescate, tappezzerie che nulla hanno da condividere con i dettami dell'horror vacui, merletti, pasticcini di Ladurée e scarpe di Manolo Blanik - tra le quali si insinuano un paio di Converse, proprio a indicare il link con gli esuberi neo-capitalisti della Grande Storia. A rompere la gabbia della prigione dorata per "L'Austriaca" alle cinque del mattino del 6 ottobre 1789 sarà il magma fonetico assordante della rivoluzione francese - che nonostante gli esiti tragici per la vita della Regina, restituirà al suo personaggio una rinnovata umanità di fronte alla necessità dell'accadere; facendo dell'andare fuori una categoria dell'anima e non un semplice moto da luogo.

Quando andare fuori è una categoria dell'anima e non un semplice moto da luogo.


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Una foto-backstage di Marie Antoinette (Sofia Coppola, 2006)