Le mani sottili tormentano i capelli, il sorriso è aperto nonostante il chiasso che arriva dalla strada e copre le parole, le lunghe gambe accavallate in perenne movimento. È la stessa Camille Cottin, a sottolinearlo, ridendo: «non so star ferma, sono cinetica!». Ce ne eravamo già accorti grazie allo splendido personaggio di Chiami il mio agente! (Dix pour cent) versione originale francese, dove interpreta Andréa, super agente delle star che smina scandali e concorrenza, si agita e urla con chiunque, in overdose di energia, lesbica consapevole tra incontri online, amori e problemi di convivenza a due.

Irresistibile, certo, ma non carezzevole, come Camille conferma: «Mi vedono sempre in questi ruoli un po’ da Connasse (titolo di un suo popolare film del 2015 che, in francese, significa str...za, ndr)». Sarà per il fisico aristocratico impreziosito da quel naso importante, il suo punto di bellezza non conforme e a cui mai rinuncerebbe: «Non ho pensato di modificarlo con la chirurgia. Mi mancherebbe». Ha 46 anni, è mamma di Leon, nato nel 2009, e Anna, nata nel 2015, tiene nascosto ai riflettori un misterioso marito, forse architetto, di cui si sa pochissimo, e passa con rara disinvoltura dalla tv al teatro al cinema, anche il più internazionale, dalla campagna Nespresso con Clooney a deliziosi film d’autore come Il mistero di Henri Pick e L’hotel degli amori smarriti. Nel filmone House of Gucci di Ridley Scott ha sfiorato Adam Driver e Lady Gaga, è stata diretta da Zemeckis in Allied: un’ombra nascosta, ha lasciato il segno in serie di culto come Killing Eve, è ambassador di Dior, ha fondato la casa produzione femminista Malmö e, coerente, ha dato a tutti una lezione di ironico #metoo dal palco del festival di Cannes del 2024 dov’era madrina. Come non bastasse, nel 2025 si è tuffata in un’avventura teatrale estrema, unica protagonista in dialogo spudorato con un immaginario ginecologo in Le Rendez-vous, tratto dal romanzo iconico, da lei adattato per la scena (e a cui si è preferito cambiare titolo visti i tempi), Un cazzo ebreo di Katharina Volckmer, pubblicato in Italia da La nave di Teseo. Molti tabù infranti, un vero shock per chi, come noi, l’ha vista sul palco in latex rosso fuoco. Per i più cauti e sentimentali, la bella sorpresa è ritrovare l’attrice sugli schermi italiani, dal 19 giugno, con la compulsiva commedia romantica Tre amiche di Emmanuel Mouret (di cui abbiamo una clip in esclusiva in apertura, ndr), tra sentimenti, confidenze femminili, tradimenti e persino un po’ di ghost movie.

Tra le protagoniste è lei, Camille/Alice, la più cinica, convinta che si possa convivere felici anche senza l’amore, pensiero opposto a quello dell’amica Joan (India Hair) che sceglie invece di dire tutta la verità al consorte letteralmente uccidendolo. Nel film ci sono dunque il vivido fantasma di un’ex che non molla e interviene nei discorsi amorosi e pure la sorpresa, il tradimento dell’amica Rebecca (Sara Forestier) che ribalterà gli schemi, ma non più di tanto.

Tra amiche si può perdonare il tradimento amoroso, il silenzio?

Non ho una risposta. So solo che sono molto felice di aver interpretato questo film, e mi piace parlarne. È un film bizzarro molto francese, chi altri mai metterebbe un fantasma, morto per amore, ma che pare vivo e vegeto, a interloquire nei discorsi sentimentali fra le tre amiche, di cui una è la sua vedova? Eppure sembra tutto credibile, come Alice sospetto anch’io che la troppa passione possa suscitare fantasmi mentali, mentre l’amicizia femminile è comunque più forte, duratura e solida. Il film suggerisce la possibilità di perdonare e dimenticare e soprattutto l’idea che scoprire un doppio tradimento possa svegliarci dall’apatia. Il cinismo del mio personaggio viene spazzato via dalla scoperta della liaison del marito con la sua migliore amica e confidente. Una bella sveglia. Detto questo credo che la complicità femminile sia importante, ma ancor di più essere innamorate, bisogna far durare il sentimento il più a lungo possibile. Non si vive senza.

Negli ultimi anni la sua carriera si è mossa tra cinema d’autore, blockbuster internazionali, teatro radicale. Come se fosse sempre in fuga

Sì, dalle maschere fisse! In effetti è un bel caos creativo, ma mi ci trovo bene. Mi interessano i progetti, non il contesto. Posso creare scandalo e passare subito a un commercial internazionale con Clooney. L’importante è non mentire. Il mio strumento espressivo è il corpo, gliel'ho detto che non posso stare ferma, devo tenerlo allenato, fare esercizio…

Cosa significa?

Il corpo è lo strumento con cui, specialmente noi attori, ci esprimiamo, ma è anche quello che la società cerca di controllare, di sottomettere. È uno strumento di verità. Per un’interprete, io la penso così, tutta la forza espressiva passa da lì, prima ancora che dalla parola. Vale in particolare per le donne, per tutti quei soggetti che non si conformano alle regole sociali. In Le Rendez-Vous, il corpo è scandalo, trasformazione, campo di battaglia, centro della narrazione, atto politico.

Di sicuro la sua interpretazione è un vero contorsionismo, fisico e mentale, molto attuale. Ci spiega meglio questa avventura di cui si è parlato tanto?

È un monologo-delirio, una fantasia molto cruda sul senso di colpa del popolo tedesco dopo la shoah. La mia protagonista, nello studio medico di un ginecologo, con parole trasgressive, fonde storia e desiderio, sesso femminile e ombre totalitarie, mentre è in atto la sua transizione di genere: vuole le sia innestato un pene ebreo circonciso.

Insomma, il racconto di tutto ciò che pare diventato fuorilegge o indicibile. Coraggiosa.

Mi sono letteralmente innamorata di questo testo così forte. Mentre andavamo in scena era in corso il processo per gli stupri di Mazan, e ascoltavamo la follia di quegli uomini che non pensavano di violentare Gisèle Pelicot solo perché in fondo era incosciente. Nello spettacolo risuona tutto questo, l’immersione nella storia familiare, l’introspezione dei traumi, le questioni del genere, i tabù morali. Mille fantasmi di donna dentro un’unica scena, dalla tuta di latex all’abito da principessa alla parrucca bionda sfacciata. Un tour de force.

Camille ci rassicuri, non ci divertiremo più con la super agente delle star, ma proseguirà sulla via romantica di Tre amiche? Il suo prossimo film promette bene fin dal titolo Rembrandt…

In questo caso c’è forma diversa d’amore, quello per l’arte. Con Romain Duris interpretiamo una coppia di fisici nucleari: durante una visita alla National Gallery, di fronte a tre capolavori del pittore olandese, la donna vive un’emozione fortissima, cambia radicalmente visione esistenziale, mette in discussione la sicurezza dei reattori nucleari a cui lavora. La vita a due, l’amore, le certezze politiche cadono a pezzi attorno a questo suo radicale smarrimento. È un film sulla fragilità sentimentale, sociale e civile dell’oggi. E l’arte, per me, è sempre sovversiva, più di qualsiasi militanza.