L’amica rabbiosa, impulsiva, dall’intelligenza luminosa che Irene Maiorino ha interpretato nel gran finale della serie tratta dalla quadrilogia di Elena Ferrante le è rimasta cocciutamente addosso. È candidata ai Nastri d’argento come miglior attrice per L’amica geniale - Storia della bambina perduta e, anche se l’attrice nata a Napoli e cresciuta a Cava de’ Tirreni si è ributtata nel lavoro in due progetti top secret e una serie tv, Lila la porta in giro per il mondo a parlare di femminile. È appena stata a New York alla Casa Zerilli Marimo della New York University per una conferenza dal titolo Essere Lila: Voci femminili tra ribellione e silenzio nel Sud Italia. Il 10 giugno sarà ospite di un master di Studi e politiche di genere a cura della docente (e scrittrice) Isabella Pinto all’università Roma Tre.
La serie è stata vista in più di 160 Paesi, un successo di critica e pubblico, nonne italiane che le scrivono «Lila sono io» e fan cinesi che la fermano commosse per strada. «La cosa più bella», dice Irene, «è che il pubblico riconosca nel mio lavoro il suo immaginario. Perché io, spesso, mi sono sentita tradita, come lettrice».
Come ti ha cambiato questo ruolo?
Ho fatto un viaggio profondissimo per avvicinarmi alle figure femminili di Elena Ferrante che sono veramente trasversali e universali, e per lavorare su Lila a un livello più sociologico. Quello studio ha fatto breccia in un’identità già molto strutturata e attenta rispetto a certi temi. Sin da piccola non ho mai sopportato la divisione tra cose da femmina e da maschio, essendo io quella che definivano “un maschiaccio”. Lila è stata di grande stimolo, un regalo.
Ti ha riattizzato qualcosa che già c’era.
Sì, un certo modo di stare dritti rispetto alla vita, una frontalità, una schiettezza che spesso non è apprezzata, soprattutto nelle donne, perché bisogna essere invece malleabili, gentili, concilianti. Io non sono né conciliante né rassicurante, però sono una persona che sa ascoltare… Qualcosa però sta cambiando, lo vedo nell’evoluzione dei personaggi. Goliarda Sapienza per esempio, è un femminile perturbante.
Alleluia.
È una delle chiavi del successo di Elena Ferrante. A me scrivono dall’India, dal Messico, dalla Bolivia, ragazze in lacrime che mi dicono: per noi è un modello di emancipazione e forza, di autodeterminazione. Non è poco. Perché io sono nata in un contesto fortunato, ma pensate a queste ragazze che non hanno potuto studiare e magari crescono in un ambiente violento… Sono affascinate dalla figura di Lila. Le fa sperare che, anche se parti svantaggiata, attraverso la conoscenza e la curiosità, grazie a quel mordente, ti puoi emancipare dalla tua condizione sociale e familiare. L'importanza del legame tra Lila e Lenù, che alla fine fanno una donna sola, ormai è chiaro a tutti ma perché la Ferrante è geniale? Perché poi delle due è quella che ha le possibilità, cioè Lenù, a perdersi dietro a un uomo. Succede...
Il tema dell'incontro era il femminile al sud: c'è ancora molta differenza?
C’è un confine molto sottile tra una devozione, un galateo dal sapore antico nei confronti della donna e un paternalismo del tipo “ci penso io perché tu non ne sei capace, mi occupo io di te”. Oggi mi sembra interessante aprire il dibattito con il maschile. C’è ancora una separazione. "Il gentil sesso”… non va bene.
Sei davvero riuscita a dire addio a Lila?
Lascio fare un po’ alla vita, così come è entrata a un certo punto probabilmente ci separeremo, però io non amo gli strappi… Mi piace che mi trotterelli ancora intorno. Almeno per un po’.
(@Total look Sportmax, gioielli Federica Tosi, scarpe Le Silla. Foto Jose Espaillat @Josespaillat. Styling Samanta Pardini. Hair & make up Alice Zuccoli).