Vorresti scappare all’ennesima inquadratura sui detriti in casa nel cortile, vetri rotti e legno marcio, e sulle scene estreme, dentro la carne, la colonscopia in primissimo piano, i corpi delle vittime sbiancati dalla morte, svuotati del sangue, occhi sbarrati sul vuoto. E invece, come il protagonista Enzo Vitello investigatore, rimani perché c’è una psicosi trascinate, un disvelarsi del proprio male nascosto, negato, soffocato. Un timore universale. Nella prima serie dei fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, Dostoevskij, presentata in anteprima al festival di Berlino, uscita nelle sale in estate e adesso disponibile su Sky Atlantic e su Now! Anche in modalità binge watching, tutti e sei gli episodi subito in pacchetto speciale.

"Chiamiamolo Dostoevskij", dice Vitello, un supremo Filippo Timi, baritonale e scuro come la notte più densa, alludendo al serial killer (lui?lei?)che batte la campagna romana, desertificata in assenza di cura e, accanto alle vittime, lascia testi letterari in fogli fittissimi scritti a mano, metafore da decifrare. Gli ammazzamenti tutti, così, pare "senza movente che non sia la vita stessa", il suo strazio. Vitello corre pericolosamente a fianco dell’omicida, cerca il grumo iniziale, qualcosa si sa, si intuisce, è nascosto in quell’infanzia cruda e malmenata, se non violata, di un collegio. Lo stesso Vitello, per cui vivere ha poco conto, ha deviato verso l’odio l’esistenza della propria figlia ed è bravissima Carlotta Gamba, vitrea, a conferire ulteriore pallore ai sentimenti che corrono tra lei e il padre. I D’Innocenzo non fanno sconti e fanno bene: la serie girata in pellicola ha colori lividi, ghiacciati, graffiati perché così gli autori scrivono in immagini il dolore di un mondo perduto e marginale. Il fascino è lo stesso di un noir d’epoca, merito anche degli attori, distanti anni luce dai giochetti d’accademia: oltre Timi e Gamba svettano Federico Vanni, un talento che arriva dal teatro, insieme potente e fragile, e naturalmente Gabriel Montesi.

Alla fine, quasi nulla scopriamo, ma sappiamo che il male è nel crogiolo fitto o svuotato dei rapporti d’infanzia, siamo chi ci ha cresciuti, chi ci ha amato o torturato. Un viaggio al confine della notte dell’anima, ma soprattutto un grande film d’autore, come ci hanno abituato ormai le serie, evase dal loro piccolo guscio protetto e capaci di brillare anche su grande schermo.