Né crema, né beige, né panna. Quella, ben che vada, si gusta con le fragole, libidinoso dessert ufficiale dell'All England Lawn Tennis and Croquet Club, da accompagnare con bicchieri di Pimm’s. Gin, chinino ed erbe, una fogliolina di menta e cetriolo a rondelle per un aperitivo very british e assai snob. No no; sul campo erboso dello slam londinese vige il bianco: candido, immacolato, assoluto, pena un cambio di mise all’ultimo secondo, come quello che toccò nel 2013 al povero Roger Federer, reo di aver sfoderato una suola arancione.
L’all-white dress code di Wimbledon, bigino in dieci atti consultabile tra i FAQ del sito ufficiale del torneo, è roba vecchia e le vecchie abitudini, si sa, sono dure a morire. La ferrea regola di vestirsi in bianco da capo a piedi, in effetti, nacque nel lontano 1877, suffragata da due motivazioni più o meno plausibili. Una igienica e funzionale, poiché il bianco assorbe meno calore e maschera le antiestetiche macchie di sudore, l’altra un po’ altezzosa, vista la simbologia di purezza celata dalla tinta universale, per questo sfoggiata in prevalenza da quei gruppetti di aristocratici che frequentavano il club. Da allora; una parata papale, tanto che pure il neo-eletto Leone XIV, al cospetto di Sinner, ci ha scherzato su: “Vestito di bianco, potrei giocare a Wimbledon”.
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Ironia del pontefice a parte, il vademecum c’è ed è incorruttibile, rigoroso e severo al punto di ispezionare scrupolosamente il menù in bianco dei campioni in gara, dalla biancheria intima alle scarpe, dai polsini alle fasce, dalle calze ai cappellini. Tutto in rigoroso total white. Consentiti i bordini decorativi entro il centimetro, tollerati i piccoli loghi colorati degli sponsor, ma per il resto – equipaggiamento e supporti tecnici compresi – non si contempla nulla all’infuori della tinta acromatica. Unico strappo alla regola nel 2022 e per una buona causa, quando all’indomani dello scoppio della guerra in Ucraina fu permesso ai giocatori di indossare polsini con i colori blu e giallo della bandiera in segno di solidarietà al paese. Una piccola conquista poi, fu quella del 2023 che ha visto il regolamento cambiare per le donne, permettendo loro di indossare pantaloncini scuri sotto alle gonne, evitando così l’imbarazzo di possibili macchie durante certi giorni del mese. “Penso che toglierà molto stress a me e ad altre ragazze nello spogliatoio”, disse sollevata la campionessa Coco Gauff a proposito della modifica al dress code.
Che, dicevamo, è così duro e rigoroso, fisso e immutabile dall’epoca vittoriana in poi, da essere stato inviso a molti tennisti nel corso della storia. Andre Agassi, da molti definito un “punk prestato alla racchetta”, noto per la pettinatura Mohawk, le unghie laccate di rubino, gli shorts in denim, le polo a tinte neon, gli orecchini e gli anelli di uno che, evidentemente, alle policy di campo non guarda granché, boicottò Wimbledon per due anni, mentre il già citato Roger Federer costrinse lo slam londinese a chiarire che il bianco va applicato su tutto il guardaroba, suole delle ginniche comprese.
Serena Williams poi, che con la moda fornica parecchio, tanto da aver ricevuto nel 2023 il Fashion Icon Award dal CFDA, tanto da essere stata la prima atleta di colore sulla copertina di Vogue, tanto da aver collaborato con il padre dello streetwear Virgil Abloh per il set degli U.S. Open del 2019 su cui campeggiavano le parole “madre, campionessa, regina, dea”, sfoderò pantaloncini colorati nel 2010 e nel 2012 che, a quanto pare, le portarono anche fortuna, vista la vittoria del torneo. E del resto la campionessa dinamica e potente nello stile di gioco come in quello vestimentario, non ha mai fatto segreto del suo amore per abiti & co.: “Fin da quando ero bambina, ho usato la moda come uno sfogo per esprimere me stessa, la moda mi ha dato la sicurezza di entrare in campo con la consapevolezza di chi ero, la certezza di dove stavo andando”, disse una volta.
Un (glamour) family affaire se è vero che anche la sorella Venus infranse lo statuto in bianco di Wimbledon, venendo cortesemente invitata a cambiare il reggiseno rosa sfoggiato al torneo nel 2017. Insofferente alla sobrietà wimbledoniana, infine, anche Nick Kyrgios che in barba alle regole tre anni fa entrò in campo con Jordan e cappellino rosso. È tutto così dannatamente tradizionalista che, oggi, mitologiche voci fuori campo si sono alzate suggerendo modifiche, con Billie Jean King, ex tennista americana da cui prende il nome l’omologo femminile della Coppa Davis, ad aver dichiarato: “Comincia una partita, mi siedo davanti alla tv e sto a lì a chiedermi chi è chi? E il fatto che sia indicato il nome del tennista al servizio dalla grafica non vuol dire niente. Non credo sia necessario avere un’uniforme comune, credo che questa cosa si possa anche cambiare”. Una critica corroborata dalla proposta di “aggiungere nomi e numeri alle divise dei giocatori, come avviene nel calcio”, perché dice l’ex campionessa, “Stiamo perdendo milioni perché le maglie personalizzate permetterebbero anche di guadagnare molti più soldi. E questo vale tanto per il torneo quanto per i tennisti stessi”.
E dire che Wimbledon e il suo bianco, segno di status (alto) di chi poteva permettersi il lusso tardo ottocentesco di avere sempre i panni lindi e profumati, ha anche una storia della moda fatta soprattutto dalle donne. Da Charlotte Dod che nel 1887 vinse il torneo barattando corsetti e lunghi abiti a favore di una gonnellina corta, alla leggenda Suzanne Lenglen, “Divina” e rivoluzionaria dello stile dentro e fuori campo con la complicità di Jean Patou, ad Alice Marble, bionda e seducente quanto una stella del cinema, antesignana dell’hot pant che accantonò i tradizionali gonnellini per i ben più pratici shorts nel pudico perimetro dello sport high society per eccellenza, fino ad arrivare alla nostra Lea Pericoli che, in combutta con lo stilista britannico Ted Tinling, debuttò nel tempio londinese con sottoveste rosa e culotte, trasformando il set in un défilé di grazia e mettendo un primo, importante tassello verso l’emancipazione (anche) estetica del tennis.
E chissà se quest’anno avremo strappi al diktat imperioso del bianco totale da aggiungere alla storia dello slam...