Nel 1912 si verificò la prima "cancellazione" della storia degli influencer. Lady Duff-Gordon, socialite e stilista dell’etichetta Lucile, sopravvisse alla tragedia del Titanic — ma intorno a lei si diffuse rapidamente una voce: avrebbe corrotto l’equipaggio della scialuppa per non far salire altri passeggeri a bordo e garantirsi così la salvezza.
Una volta raggiunta la terraferma, fu avviata un’indagine ufficiale, che fece molto rumore.
In aula, tra il pubblico, c’erano anche molte sue fan — ovviamente vestite Lucile dalla testa ai piedi — pronte a prendere le sue difese. O a voltarle le spalle.
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Influencer ieri e oggi
Se guardiamo a quei precedenti, gli scandali legati agli influencer di oggi — come la bufera scoppiata questo inverno intorno all’influencer svedese e designer di Djerf Avenue, Matilda Djerf, accusata di presunti maltrattamenti nei confronti dei suoi dipendenti — sembrano quasi poca cosa al confronto.
Ma questa vicenda dimostra che gli influencer sono sempre esistiti sotto qualche forma, e che il loro ruolo come catalizzatori sociali non è affatto una novità.
Oggi, con sempre più influencer che non si limitano a promuovere marchi ma ne sono direttamente ideatori e proprietari, ci troviamo in un momento decisamente complesso (e curioso) per l’industria della moda e della comunicazione.
Se in passato il comportamento di una celebrità poteva far saltare una collaborazione o un contratto di immagine, cosa succede quando lo stesso testimonial è anche il proprietario del brand?
Aumenta il rischio d’impresa
Quando un infuencer diventa produttore e proprietario di un brand, subentra un rischio d’impresa potenzialmente più pericoloso, perché coinvolge una persona pubblica. Secondo Susan Scafidi, esperta di moda e diritto, chiedono di inserire una “clausola morale” nei contratti con gli influencer, a cui spetta la responsabilità di mantenere una certa distanza tra vita privata e carriera. Ad esempio: non usare il proprio nome come marchio sull’etichetta o gestire account social distinti per il brand e per la propria figura personale.
Contemporaneamente, però, c’è bisogno di qualcuno che dia un volto a una realtà commerciale, per stabilire un patto di fiducia con i follower e di conseguenza con i potenziali clienti. Questo mondo popolato da influencer è sostanzialmente un’arma a doppio taglio.
Separare il brand dalla persona
Lia Haberman, autrice della newsletter In Case You Missed It ed esperta di economia, vede in Emma Chamberlain e la sua azienda di caffè un ottimo esempio di social media influencing. Secondo Haberman, infatti, Chamberlain sta cercando di definire il suo prodotto come di alta qualità, senza assorbire completamente la sua brand identity. L’influencer, infatti, non pubblica costantemente aggiornamenti sulla sua azienda anche sul suo profilo privato e la sua discreta gestione del fenomeno la rende davvero un esempio illuminato.
La definizione di influencer è cambiata moltissimo negli ultimi anni. Oggi ci sono designer come Olympia Gayot e Joseph Altuzarra a governare nel mondo dei social media. Non solo: secondo Scafidi, la gente quando c’è una crisi economica comincia a dare la colpa alla moda, perché è vicina ai corpi delle persone e quindi possibilmente a chi le indossa. Solitamente tendiamo a essere rancorosi nei confronti della moda e lo siamo paradossalmente meno nei confronti di una persona che sui social ostenta una vita perfetta e patinata. Forse, in questo caso, c’è una visione quasi aspirazionale e difficilmente rispettabile.
L’ascesa dei micro e nano influencer
Secondo Haberman, i micro e i nano influencer governeranno nei prossimi anni, mentre quelli più popolari riusciranno a superare piccoli scandali senza troppe conseguenze.
Oggi, è la classe media degli influencer a trovarsi in difficoltà. Non per colpa loro, ma perché non vengono percepiti né come aspirazionali né come persone in cui identificarsi. Non è un equilibrio facile da tenere - e l’esempio di Lady Duff-Gordon è assolutamente emblematico.
Tradotto da Elle US
Articolo scritto da collaboratori esterni, per info e collaborazioni rivolgersi alla redazione