Questo viaggio al centro della capitale della Corea del Sud inizia in modo tutt’altro che canonico. Il 27 marzo 2025, ho inaugurato la vacanza con in mente il più classico degli itinerari, ovvero partendo da Gyeongbokgung: splendido palazzo della dinastia Joseon nonché tappa imperdibile per chi visita la città per la prima volta. Bellissimo e imponente, il suo cancello in pietra e legno spiccava dal fondo di Piazza Gwanghwamun, dietro la statua dorata di Re Sejong che fendeva il cielo grigio con il suo copricapo biforcuto. Già all’altezza del Municipio però avevamo iniziato a notare uno strano afflusso di gente con stendardi e bandiere alzate, andato via via a intensificarsi fino all’altezza dell’Ambasciata degli Stati Uniti – assiepata da veri e propri pullman (chiamarli camionette sarebbe riduttivo) della polizia. Trump, i dazi, l’anti-americanismo di questi tempi, ci diciamo. La situazione si fa palese solo una volta arrivati davanti alla statua, appunto: all’improvviso, si accendono degli altoparlanti, parte una marcia, tutta la piazza risuona di chiasso, musica, inni e proteste.
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Nel giro di pochi minuti, l’intera strada che la fiancheggia si riempie di persone; bandiere, cartelli e striscioni svettano verso l’aria, spuntano transenne e un palco dove qualcuno col megafono esorta la folla con parole a noi incomprensibili. Solo una volta in mezzo del marasma, abbiamo capito di essere al centro di un corteo di decine di migliaia di persone che chiedevano a gran voce l’impeachment di Yoon Suk Yeol (l’ormai ex Presidente, destituito questo aprile per aver violato la costituzione dichiarando la legge marziale a dicembre 2024). Già in questi primi istanti, Seoul si è rivelata una città piena di contrasti: per strada, un popolo in rivolta e un paese ancora politicamente instabile; a pochi passi, il cancello principale del palazzo circondato da turisti in abito tradizionale; in alto, sul ledwall del Museo Nazionale di Storia Contemporanea, inframezzate dagli slogan di protesta issati in aria, le frasi motivazionali dei BTS – la boy band che ha riportato il K-pop nell’orbita internazionale. Surreale.
Eppure, in mezzo a slogan, musiche patriottiche e file ordinate di poliziotti, prendeva forma l’immagine più nitida e, insieme, più straniante di Seoul: una città dove l’eco della storia convive senza sforzo apparente con l’ossessione per il futuro e il dissenso politico con la cultura visuale più patinata, e dove ogni angolo sembra offrire un nuovo cortocircuito estetico ed emotivo. È in questo scenario in continuo mutamento che si inserisce anche tutto il resto del mio viaggio: un percorso fatto di quartieri che si trasformano in passerelle a cielo aperto, negozi saturi di stimoli visivi, vetrine dove skincare, moda, oggetti votivi del K-pop, adorabili gadget e portachiavi di peluche diventano strumenti per raccontare un’identità nazionale sempre più sfaccettata. Perché, nonostante le tensioni politiche, in questo momento storico dove l’Hallyu, “l’ondata coreana”, sta travolgendo il mondo imponendo tendenze moda che mixano richiami cyber-futuristici e nostalgia Y2K (che qui è ovunque), nuovi standard di bellezza, una mitizzazione degli idoli che si traduce in consumismo sfrenato e perfino nuovi concetti nel mondo dell’intrattenimento e del cinema, quando ci sei dentro Seoul ti avvolge con quell’aura magnetica da vero “place to be”. E, parlando di luoghi da visitare assolutamente, ecco allora i tre quartieri imperdibili per scoprire tutto il fascino e l’anima poliedrica dell’Hallyu attraverso lo shopping.
Hongdae, il polo dei trend giovanili e della moda Y2K
Anche per la sua vicinanza a diverse università, Hongdae è un’esplosione di spirito giovanile. Il vibe per strada, i ristoranti e negozi aperti fino a tardi, i ballerini e cantanti che si esibiscono per la Red Road, gli infiniti self-photo studio per catturare il momento in un’istantanea – rigorosamente scattata dall’alto –, le file di espositori girevoli pieni di pupazzetti e accessori per il telefono, i negozi-bazaar pieni zeppi di moda Y2K che strabordano sulla strada, con le loro borsette in vernice lucida, i jeans super oversize e scoloriti con sopra minigonne e cortissimi parei di pizzo, le bubble skirt e gli attillatissimi top sfilacciati con drappi di tessuto che arrivano alle ginocchia. È tutto fast fashion, tutto costa tra i dieci e trenta euro: il consumismo è dilagante e ricoperto di fiocchetti e teneri animaletti – per quanto si voglia mantenere una propria etica di acquisto, questo posto rende tutto molto difficile.
Un giorno, camminando per la strada principale, mi sono imbattuta in un vero e proprio accampamento umano davanti al negozio a due piani di Pop Mart che domina quest’area; vicino all’ingresso, pile su pile di grandi scatole di cartone che i corrieri si apprestano a portare dentro e gli avventori sbirciano con avidità: sono tornati i Labubu – quei mostriciattoli con i denti aguzzi e il corpo pelosetto da agganciare alla borsa, che negli ultimi mesi sono stati oggetto di molti dibattiti online e vanno continuamente sold out. Perfino da appassionata di Pop Mart (azienda cinese amatissima anche in Giappone), ho trovato la scena che mi si è spiegata davanti incredibile: non avevo mai visto tante persone uscire da un loro negozio con entrambe le braccia cariche di sacchi tanto grandi da poterci infilare una persona, pieni di scatole di Labubu &Co, al punto che, poco dopo, una bambina è uscita dal negozio affranta sfogandosi con i genitori: “sono esauriti in dieci minuti”.
Seongsu tra café, brand locali e boutique curate
Per chi ama una modalità di shopping meno caotica, più raccolta e orientata verso negozietti particolari e curati, c’è Seongsu: un quartiere che negli ultimi anni è stato al centro di un più ampio progetto di riqualificazione. Qui è necessario andare più a colpo sicuro perché è tutto più dislocato, ma si passa dalle boutique di lusso a un centro che vale una visita è Common Grounds, grande centro commerciale tutto fatto di container industriali dipinti di blu, in cui si possono acquistare dai souvenir ai capi vintage.
Tutta l’area è disseminata di caffetterie carine con quell’atmosfera che fonde trasandato e studiatissimo, tra vibe industriale, anticaglie da mercatino delle pulci e dettagli leziosi – un classico è Café Onion ma ce ne sono tantissimi. E poi negozietti di ceramiche, complessi commerciali come LCDC e boutique più raccolte di marchi coreani che dovrebbero essere nei radar di tutti, come quelli di borse di Osoi, Stand Oil, Matin Kim e molti altri. Tra palazzoni alti, facciate di mattoncini rossi, murales occasionali, incursioni dei brand di lusso internazionali e una clientela decisamente cool che si aggira per le vie, ricorda molto New York – e non a caso è chiamata “la Brooklyn coreana”.
Myeong-dong e i negozi must-visit di gadget e souvenir
Un accavallarsi di strade strette interrotto da grandi viali pieni di billboard con i volti più famosi e incroci assiepati di insegne al neon, con la sua calca e i suoi colori, Myeong-dong è la perfetta immagine del quartiere dello shopping più tipico di una metropoli, ma con un twist: a metà pomeriggio, contro lo sfondo super moderno iniziano a spuntare file di bancarelle di street food che rendono il tutto subito più pittoresco. Camminando con in mano un gyeran-ppang (pane all’uovo) o un dalgona (il biscotto al caramello con le formine reso celebre da Squid Game), dall’abbigliamento agli accessori, qui si trova di tutto. E, proprio perché è un grande calderone con un’alta concentrazione di tutti i negozi più caratteristici, è il posto migliore per acquistare souvenir e lasciarsi travolgere dall’ossessione locale per l’oggettistica e la voglia irrefrenabile di personalizzare e accessoriare tutto. Il punto di partenza (anche perché è qui che si acquista la carta della metro versione cute) deve per forza essere Artbox: un paradiso e al contempo una landa di perdizione; letteralmente il posto dove trovare tutto quello di cui non si sapeva di aver bisogno. La playlist che passa tutte le hit K-pop del momento, accessori di tutti, cancelleria tra la più adorabile che abbia mai visto, custodie carinissime per iPad e computer, merch degli idol, kit per ricamare, dipingere, farsi le unghie, basic skincare, mystery box di personaggi locali e giapponesi, piastre per capelli, accessori tech, digicam Y2K, c’è qualsiasi cosa – ma soprattutto è il regno degli sticker. È qui che ho capito quanto la Corea ami lo scrapbooking e in generale decorare qualsiasi cosa, ci sono adesivi per qualsiasi tema, raggruppati in pack e divisi per mood e colore.
Infine, è anche il posto migliore per trovare album per le fototessere e portafoto da agganciare alla borsa – chiaramente, da riempire con le immagini di cantanti e attori del cuore, che si possono comprare a mazzetti o direttamente stampare in negozio. Altra insegna super ricorrente è The Plain, tanto che a volte si trovano tre o quattro punti vendita nell’arco di pochi metri. Si viene qui per comprare accessori per capelli – la quantità di pinze decorate, fermagli, cerchietti e scrunchies è impressionante – ma anche i cinturini di perline per portare il cellulare al polso e soprattutto pop socket nelle forme di animaletti e personaggi carini. Butter è altro negozio di gadget carini, le cui mascotte sono animaletti adorabili riprodotti su agende, penne, pigiami, portachiavi, fasce elastiche per struccarsi, borracce. Come avrete capito, i gadget qui sono parte integrante del look secondo una tendenza che sempre più stiamo incorporando anche in occidente.
E, sempre nel nome della personalizzazione, un indirizzo ubiquo è Wappen House: il regno del DIY, un negozio coloratissimo, pieno di patch e decorazioni varie che riproducono animali, personaggi e simboli emblematici della tradizione e cultura pop coreana, per crearsi i propri portachiavi, tote bag, pouch. Per gli amanti del K-pop c’è K-Mecca che, dopo aver girato la Corea del Sud in lungo e in largo, rimane a mio avviso il miglior negozio di gadget dedicati: c’è di tutto, dalle glowlight dei vari gruppi alle cioccolate brandizzate, dai magazine agli sticker. Infine, c’è ABC-Mart, enorme rivenditore di scarpe molto presente anche in Giappone; a parte qualche esclusiva, i modelli qui sono classici e di brand internazionali – Puma, Vans, Adidas, etc. – ma una cosa molto carina sono gli accessori: è un ottimo posto per comprare lacci particolari e ciondoli con fiocchi e perline per dare alle proprie sneaker quell’allure coquette in perfetto stile Pinterest o jibbitz per le Crocs di ogni forma immaginabile.
La supremazia di Olive Young
Un discorso a parte lo merita il colosso del beauty Olive Young che, senza esagerare, è il centro gravitazionale di tutto. Anche oltre Seoul, nelle città più piccole della Corea, senza grandi siti storici a fungere da indicazione, su Google Maps cercavamo Olive Young per capire dove dirigersi per trovare un po’ di vita. Paragonare questa mecca del beauty al nostrano Sephora sarebbe forse tracciare la similitudine più ovvia, ma sarebbe ancora riduttivo. Da noi, ci sono comunque alternative per gli acquisti beauty – pensiamo solo alla Rinascente, che vende tanti brand beauty di lusso e non, molti anche coreani.
Praticamente a capo di un monopolio, Olive Young detta legge: sul suo sito ci sono le classifiche dei bestseller, costantemente aggiornate, e ogni anno si tengono gli Olive Young Awards per celebrare i prodotti più amati. Immaginate tutto quello che arriva in Occidente e di più: il siero alla bava di lumaca di COSRX, i sieri e la crema occhi di Beauty of Joseon, il tonico 77% di ANUA, maschere di ogni tipo, retinolo e retinale, squalene e squalane, colori e creme per capelli, tutto il makeup di brand come LAKA, Etude, Amuse, nei loro packaging dalle forme particolari, ora cool ora naīf. Il primo e ultimo stop di un viaggio a Seoul deve essere necessariamente questo, tra scaffali pieni di ampolle che promettono il sogno della glass skin e Jennie delle BlackPink che canta ininterrotta in sottofondo.