In un mondo che usa e abusa della sigla “Intelligenza Artificiale”, come due paroline magiche in grado di trasformare tutto in una vendita assicurata (anche a costo di ribrandizzare tecnologie che dell’AI hanno ben poco), a fine marzo di quest’anno, H&M ha dimostrato di fare sul serio annunciando un progetto di enorme portata che, senza mezzi termini, ha il potenziale di rivoluzionare la nostra visione della moda e dei media come li conosciamo oggi. Con il beneplacito delle loro agenzie, nel corso del 2025, il marchio di fast fashion lavorerà con 30 modelle alla creazione di una loro “digital twin”, ovvero una gemella iperrealistica generata con l’AI, che come loro poserà per campagne e social media vari – di H&M, ma volendo anche dei suoi competitor, perché a detenere i diritti del clone digitale saranno pur sempre le modelle in carne e ossa. E così, ora ci si può “sdoppiare”: una gemella invecchierà, l’altra invece potrà continuare a posare ipoteticamente anche per sempre, congelata nella perfezione del momento. Abbiamo forse scoperto il segreto dell’eterna giovinezza? Delegare a un io esterno, semovente eppure immutabile, la conservazione intatta della nostra bellezza, mentre il nostro corpo materiale avanza verso il lento e naturale decadimento. Almeno, Dorian Gray lasciava che il ritratto invecchiasse al posto suo – e, infatti, in questa “scissione”, il sottotono distopico fa pensare più a Severance e Black Mirror che a Oscar Wilde.

i digital twin creati con intelligenza artificiale sono il futuro del modelingpinterest
@bof / Instagram

L’AI nella moda: rivoluzione o trovata pubblicitaria?

A gettare fuoco sul dibattito intorno ai modelli creati con l’AI si è aggiunto anche Vogue Business che, ad aprile 2025, ha pubblicato una serie di articoli intitolata “The Future of Appearance”, tutta corredata da immagini di modelle e modelli creati con ChatGPT – come riportano le didascalie delle stesse. Ma i modelli in AI non sono una novità. In questi anni sono stati tantissimi i brand che hanno sperimentato con questa tecnologia: Levi’s, Nike, Zalando, ma anche nomi del lusso come Louis Vuitton e Hugo Boss. Nella seconda metà del 2024, Mango ha fieramente presentato una campagna pubblicitaria realizzata interamente in AI. “È tutta una questione di creare contenuti nel modo più veloce possibile” aveva spiegato il CEO Toni Ruiz a Bloomberg. E forse, è da ricercare proprio qui l’origine (e al contempo la più grande conseguenza) socio-culturale di questa transizione: oggi tutto esiste per diventare “content”. L’arte, la moda, il pensiero, le velleità nate per nutrire l’otium creativo, tutto ciò che dovrebbe arricchire l’esperienza umana viene privato di umanità e diventa performativo prima ancora di essere creato. Ogni idea porta con sé in nuce la sua potenziale adattabilità mediatica – e il requisito fondamentale diventa la rapidità garantita con cui poter sfornare il prodotto-immagine per metterlo sul mercato con il minor sforzo possibile.

Inclusività sintetica: una contraddizione in termini?

Lalaland è un’azienda che si occupa della creazione di modelli con l’intelligenza artificiale e che tra i suoi clienti vanta nomi come Zalando e Levi’s. Il suo fondatore, Michael Musandu, ha spiegato di recente a The Guardian come l’uso di queste tecnologie possa contribuire a portare avanti il discorso sull’inclusività in un settore che, nonostante i passi avanti, manca spesso di rappresentare la diversità. Ma giustificare l’uso di modelli realizzati con l’AI per promuovere la diversità non dovrebbe suonare, per dirla alla Miyazaki, come “un insulto all’umanità stessa”? Perché i corpi reali non dovrebbero bastare a fornire un manifesto fedele della realtà? In che modo un software può ergersi a paladino dell’inclusività quando, nel farlo, crea immagini fittizie e modellate per ottenere un look specifico, dando potenzialmente adito a nuovi standard di bellezza che, ancora una volta, rischiano solo di incasellare la nostra visione in un’idea di perfezione che, di fatto, non esiste? Se l’obiettivo è rappresentare la realtà, in tutte le sue imperfette e bellissime sfumature, cosa potrà mai esserci di meglio della realtà più nuda e cruda? Sono domande retoriche – è ovvio che la motivazione non sia “la rappresentazione” ma il semplice binomio “minore investimento, maggiore ricavo” – ma è importante soffermarvisi per non lasciare che tutto ci scivoli addosso.

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Courtesy of Mango
La campagna di Mango

Tra nostalgia e revival: si può fermare il tempo?

Due anni fa, Levi’s aveva annunciato l’introduzione di modelli e modelle realizzati con l’AI in favore di una maggiore rappresentazione in termini di taglie e fisicità, generando, all’epoca, tanto clamore da dover subito fare un passo indietro. Ma oggi i tempi sembrano più maturi: siamo tanto quotidianamente inondati da immagini realizzate con l’intelligenza artificiale – sui social, nei poster degli eventi, sulle copertine dei romanzi anche delle case editrici più note – da farci sempre meno caso e questa nuova trovata di H&M, che avvalendosi del consenso delle modelle elimina di fatto il dibattito circa la natura etica dell’uso dell’AI e le sue implicazioni in termini di copyright, ha tutte le carte in regola per spostare l’asticella ancora un po’ più in su. Molti marchi saranno già pronti a seguire a ruota il suo esempio, acquistando la disponibilità (infinita) delle digital twin di modelle più o meno famose a una frazione irrisoria di quanto pagherebbero la presenza fisica e il tempo (limitato) dell’originale, tra l’altro tagliando tantissimo i costi sul servizio fotografico, con tutte le figure coinvolte. Ma esiste anche un altro risvolto a cui finora non si è accennato: sarà quindi possibile non solo fermare il presente, ma anche tornare indietro nel tempo? Se le supermodelle del passato un giorno decidessero di abbracciare la stessa procedura, potremmo vedere Kate Moss e Naomi Campbell di colpo tornare ventenni negli ADV (un po’ come Tom Hanks in Here)? Nostalgico, interessante ma decisamente non necessario in un’infrastruttura (e non si parla più solo di moda, ma di entertainment in generale) che fatica a ritrovare originalità e novità. Insomma, si rischia di rimanere ancora più incastrati in questo loop di infiniti revival, remake e ritorni che viviamo da anni.

Il futuro della moda senza l’uomo?

È probabile che [questa strategia] influisca sulla modalità di creazione del content, ma non so prevedere esattamente come” ha detto Louise Lundquist, business developer di H&M, a Business of Fashion, eppure non è così difficile prevedere i tagli in termini di risorse umane che questa scelta implicherà per tutto il sistema moda: meno casting director, meno stylist, meno fotografi, meno editor, meno modelli. Come sempre, è la componente umana a rimetterci – proprio quella che, con la sua visione unica della realtà, dovrebbe imprimere valore nella moda e nell’arte. D’altronde, c’è già passata l’industria del cinema di Hollywood, che nel 2023 ha reagito con una serie di scioperi proprio per combattere l’introduzione dell’AI in sostituzione di diversi ruoli. In effetti, l’AI oggi può fare tutto; può scrivere, può tradurre, può creare immagini, video, parlare con la scioltezza di una persona reale e imitare in tutto e per tutto, ma forse si è perso il focus: perché ci ostiniamo a volerla utilizzare per imitare l’umano a tutti i costi, anziché usarla per estenderci oltre le nostre possibilità? Per quasi tutte le finalità sopra elencate, è deleteria negli stessi confronti del piacere e della libertà di espressione, ma per altre, come la generazione di modelli e modelle, le sue implicazioni sono addirittura dannose nel riplasmare la società in cui viviamo.

Moda, AI e il paradosso dell’inclusività efficiente

Il rischio è che l’introduzione massiccia di modelli AI contribuisca a gonfiare un sistema moda già fin troppo commerciale e autoreferenziale, che vuol farsi portavoce della diversità ma agisce solo nell’ottica dell’efficienza, che invoca l’inclusività ma la affida a un software, che parla di rivoluzionare il sistema ma non è disposta a pagare (letteralmente) chi porta il valore aggiunto dell’umanità.