Un'inchiesta del Sunday Times ha recentemente fatto luce su un fenomeno sempre più frequente: il reclutamento da parte delle agenzie di modelle provenienti da alcuni dei più grandi campi di rifugiati al mondo. Sottratte a condizioni di estrema povertà, spedite Europa con vitto e alloggio pagato e la prospettiva di una carriera nello scintillante mondo della moda, praticamente un sogno che si realizza. Eppure, la commovente storia di riscatto e salvezza che potremmo immaginarci ha piuttosto i connotati di una favola oscura. Sì, perché per una modella che ce la fa – come è avvenuto in passato per Adut Akech, Alek Wek, Halima Aden –, per centinaia di altre il sogno si infrange in pochi giorni o settimane e si ritrovano costrette a tornare indietro non solo senza soldi, prospettive né speranze ma addirittura piene di debiti.
Il reportage si concentra sul campo profughi di Kakuma, nel nord del Kenya. Dobbiamo fare un esercizio di immaginazione per comprendere condizioni di vita tanto lontane dalle nostre: qui si concentrano rifugiati provenienti da paesi tra i più poveri al mondo, la Somalia e il Sudan, completamente lacerati dalle guerre civili. Costruito nel 1992 e gestito dall'UNHCR, è un vero micro-cosmo con scuole (oltre cinquanta) ed esercizi commerciali ma la situazione è decisamente precaria: l'acqua pulita è un bene prezioso e razionato, così anche l'elettricità, le abitazioni sono strutture di fango e lamiera, e ad oggi ci sono quasi 300 mila persone, più di quanto sarebbe consentito, con gravi ripercussioni sulle condizioni igieniche e alimentari – le razioni di cibo non bastano, vengono costantemente ridotte e molti vivono con un pasto al giorno. Per le donne, poi, le cose sono ancora più complicate: non solo viene loro negata l'istruzione ma moltissime sono vittime di violenze, maltrattamenti, costrette a matrimoni forzati. Qualsiasi giovane ragazza in una situazione simile, di fronte all'opportunità di diventare ricca e famosa in Europa farebbe carte false. E proprio sulla miseria e la disperazione lucrano alcune agenzie di modelle che, facendo leva sulla richiesta crescente da parte delle case di moda per modelle africane in virtù di passerelle più inclusive, "pescano" da qui astri nascenti che sono pronte a scartare alla prima occasione.
Come vengono reclutate le modelle nei campi profughi e di chi è la responsabilità
Secondo il Times, i marchi di moda, peccando di negligenza, si affiderebbero totalmente a enti locali e model agency poco affidabili e così si arriva a tristi conseguenze che hanno tutti gli aspetti della truffa. L'iter è più o meno sempre il seguente: recruiter africani visitano il campo profughi in cerca di un volto che buchi lo schermo, promettono alla prescelta fama, soldi e successo e, una volta passate la selezione, un'agenzia le paga i documenti necessari per uscire dal campo e lavorare all'estero. Si procede quindi a comprare alla futura modella un biglietto aereo dopo di che viene caricata su un volo per una delle capitali della moda europee. Qui, vivrà in hotel con una piccola somma – dai 70 ai 100 € alla settimana – per pasti e necessità varie ed eventuali. Durante la sua permanenza, a spese dell'agenzia, la modella in questione si sottoporrà a tutti i casting possibili sperando di approdare a una collaborazione fruttuosa, magari con un brand del lusso. Se questo non accade, se per qualche motivo il suo volto non risulta più idoneo con gli standard e le richieste attuali del settore, ecco che la sua meteora si spegne ed è costretta a tornare in Kenya. Se fosse solo la delusione derivata dal sogno infranto però ci sarebbe poco di male, se non altro avrebbe avuto una possibilità. Il problema è che a questo punto, l'agenzia esige il rimborso di tutte le spese che ha dovuto sostenere – cifre che, per persone provenienti da situazioni di estrema miseria, sono quasi sempre impossibili da ripagare.
Su Instagram, la pagina @runwaystofreedom è nata proprio con lo scopo di supportare modelle rifugiate e migranti che sta portando avanti la discussione sul tema e raccontando anche testimonianze dirette delle modelle. Una storia è quella di Nyabalang Gatwech Pur Yien, raccontata proprio nel podcast del Times in seguito all'indagine: l'agenzia Select (la stessa che lanciò Sienna Miller) l'aveva portata a Parigi ma non era andata come sperato, tornata dunque in Kenya si è scoperta in debito con loro per 2.769,46 euro, che non era naturalmente in grado di rimborsare. “Sono i soldi che mi hanno dato per vitto, alloggio e volo. Mi hanno detto che se volevo lavorare con qualsiasi agenzia, avrei dovuto restituire i soldi", ha spiegato. Oggi Nyabalang Gatwech Pur Yien lavora come cuoca a Nairobi e manda soldi a Kakuma, dove vivono ancora la madre e figlia di sette anni. Matteo Puglisi, CEO di Select, dice che la sua agenzia è sempre molto chiara in fase di contratto sul fatto che il trasferimento in Europa non sia permanente e che non ci siano garanzie di successo, ma le dichiarazioni delle "vittime" raccolte dal Times affermano il contrario.
Si tratterebbe quindi di propaganda per "un futuro migliore" e informazioni fumose, quindi, che fanno leva sull'ingenuità delle modelle, sulla loro inesperienza e vulnerabilità nonché sulle loro condizioni di vita precarie: il problema etico dietro pratiche del genere è evidente e getta luce su un sistema malato, dove i valori sono completamente capovolti e perfino gli obiettivi positivi come la maggior inclusione in passerella vengono presi d'assalto da sciacalli pronti a lucrare sulla sfortuna altrui. Ci si dimentica troppo spesso che si ha a che fare con degli esseri umani, come ricorda proprio la sopracitata Nyabalang Gatwech Pur Yien, "se il mondo vuole modelle dai campi profughi, dovrebbe prendersene cura. Non siamo spazzatura, siamo esseri umani, abbiamo bisogno di essere trattati come esseri umani, con dignità".