Mentre in Italia viene bannato ChatGPT (il software OpenAI che genera testi e simula conversazioni con l'essere umano), nel resto del mondo l’ascesa dell’intelligenza artificiale e le sue integrazioni sono incontrollabili e l’industria della moda non ne è certo esente. In generale, quello tra moda e tecnologia è un legame su cui hanno riflettuto molti direttori creativi nel corso del nuovo millennio, a partire da Alexander McQueen che già per l’Autunno Inverno 2006 portava in passerella l’ologramma di Kate Moss, per finire con gli ultimi esempi più eclatanti offerti da Coperni, tra abiti che si materializzano sul corpo delle modelle con pittura spray e cani robotici. D’altronde, è un po’ un obbligo morale per la moda, da sempre riflesso del suo tempo e avant-garde per natura, quello di cavalcare ogni nuova onda per tener fede alla connaturata innovazione che sempre le si attribuisce e, dopo le avventure nel metaverso e la corsa all’oro delle NFT, è il turno dell’intelligenza artificiale.
Il rapporto tra moda e intelligenza artificiale
Dal marketing al merchandising passando per il design, l'Intelligenza Artificiale si è rivelata uno strumento utile per la moda ormai da un po’ ma, se finora il suo impiego era rimasto relativamente dietro le quinte dei processi logistici e creativi, gli ultimi mesi hanno visto il suo modo d’uso cambiare progressivamente, rendendola una realtà sempre più ingerente nel nostro quotidiano. Sono proliferate le piattaforme gratuite che permettono di creare immagini incredibilmente realistiche e sempre più persone si sono divertite a sperimentare, dando via a vere e proprie ondate di contenuti generati con l’AI che hanno pervaso i social – tra gli ultimi contenuti "fashion fake" a far scalpore, la foto di un Papa stiloso che indossa un piumino bianco in stile Moncler o il video del casting di Harry Potter e colleghi in look Balenciaga, momenti mai verificatisi nella vita reale, ma che grazie all’AI sono esistiti per un millisecondo destinato a restare nell’etere per sempre. Il fatto che sia così facile falsificare la realtà e renderlo credibile affascina e spaventa.
L'intelligenza artificiale sostituirà la creatività umana nella moda?
E, anche per quanto riguarda il processo creativo, la questione non elude una sana dose di scetticismo apocalittico: l’AI ci soppianterà tutti rendendo l’essere umano superfluo perfino da un punto di vista di immagine o visione creativa? Effettivamente, sono preoccupazioni lecite. Ultimamente, sono scaturiti molti dubbi dall'annuncio di Levi’s di voler accostare ai modelli reali dei modelli iper-realistici generati con intelligenza artificiale entro la fine dell'anno, giustificandolo come un modo per sperimentare una pletora di combinazioni tra varie fisicità e tratti estetici. Potremmo iniziare ad abituarci all'idea di un'AI impiegata come strumento al servizio del creativo, ma cosa succede quando iniziamo a sostituire le persone in carne e ossa, l’umanità di un volto, con l’Intelligenza Artificiale? E se quello che si vanta di nascere come un modo (decisamente discutibile) per favorire diversità e inclusione – offrendo una maggior rappresentazione per tutti – finisse per generare nuovi canoni di bellezza non meno problematici di quelli esistenti? In fondo, una persona creata con l’Intelligenza Artificiale rappresenta già, per sua natura, un qualcosa di “ideale”. In che modo le immagini generate dall'intelligenza artificiale influenzeranno la nostra percezione della realtà a lungo termine? È impossibile prevederlo.
Come i fashion brand stanno usando l'intelligenza artificiale
Quel che è certo è che i brand ci credono molto e vogliono lanciarsi in questa nuova avventura: basti pensare che nel 2018 il valore globale dell'intelligenza artificiale nella moda si stimava intorno ai 270 milioni di dollari e ora si prevede una crescita fino a 4,4 miliardi entro il 2027. Alla Metaverse Fashion Week tenutasi a Marzo, per esempio, Tommy Hilfiger ha tenuto un concorso di design AI in collaborazione con DressX; il rivenditore online ASOS utilizza ormai da anni software di AI per gestire i dati dei propri consumatori e orientarli nell’acquisto facendo leva sulle loro preferenze; Zara e H&M sfruttano l’intelligenza artificiale per un’infinità di scopi che hanno a che fare con la catena di approvvigionamento, la previsione di trend futuri tramite gli algoritmi o la piena visibilità sull’inventario grazie a microchip installati nelle etichette di sicurezza dei vestiti per identificare dove si trovano determinati stili e taglie. Un’altra grande rivoluzione che molte aziende puntano a implementare entro il 2025 è l’istituzione di “magazzini intelligenti”, dove i processi logistici sono gestiti principalmente da robot e software, avvalendosi quindi dei big data, di tecnologie di intelligenza artificiale e machine learning.
Il debutto della AI Fashion Week a New York
Ad aggiungere un tassello a questo universo virtuale in fieri, cercando di creare una connessione tra la creazione di immagini effimere che non si rispecchiano in una controparte materica e vivono solo attraverso i nostri schermi e il mondo tangibile, arriva la prima AI Fashion Week di sempre, che si terrà il 20 e 21 Aprile agli Spring Studios di Soho, a New York, in collaborazione con il fashion retailer Revolve. A presentare le loro collezioni saranno designer emergenti che con l’AI creano sia collezioni che modelli. Entro il 15 aprile dovranno pubblicare online linee dai 15 ai 30 look, il pubblico (votando online e anche di persona) sceglierà 10 finalisti che passeranno alla fase successiva. Finora sono pervenuti 350 contributi e dai primi dati emersi circa il 60% dei partecipanti registratisi ha utilizzato la piattaforma Midjourney per creare le proprie collezioni. A maggio ci sarà la selezione finale dei 3 vincitori ed ecco la svolta che collega l’artificiale al fisico: alle collezioni immaginate dai designer si richiede che siano realizzabili fisicamente, perché i capi dei vincitori saranno poi messi in produzione e venduti online su Revolve. Se la paura è dunque che l’AI finisca per soppiantare i designer, la moda sembra voler fugare ogni dubbio: l’estro rimane la componente più importante nel settore e l’AI non sarà altro che uno strumento come tanti, una nuova tecnologia da cui non si può prescindere se non si vuol restare indietro, che rimane però al servizio della creatività senza soverchiarla – almeno per ora. Certo, di designer tradizionali si potrà parlare sempre meno: la figura del direttore creativo si avvicina sempre più a quella di un “curatore”. L’AI è in grado di attingere a uno scibile di immagini che non potrebbe mai fisicamente consolidarsi nella memoria umana né tantomeno tornare alla mente in contemporanea al momento opportuno: va da sé che con tutte questi riferimenti “alla mano”, l’AI può generare una quantità pressoché infinita di combinazioni estetiche (che si tratti di silhouette o figure umanoidi) senza pari, offrendo ai designer un punto di partenza per costruire le proprie collezioni, da arricchire poi con le proprie sensibilità e visione uniche.
Non manca neanche chi utilizza l’AI per ingannare l’AI. È il caso della start-up italiana Cap_able, nata nel 2019 da un’idea di Federica Didiero. Il brand sfrutta le ultime tecnologie per creare tessuti “adversarial” che, con algoritmi incorporati direttamente nella trama del stessa, riescono a confondere l’intelligenza artificiale ed eludere il riconoscimento facciale, tutelando chi le indossa. Un paradosso che ripaga l’AI della sua stessa moneta e, al tempo stesso, ci fa capire come, a prescindere dalla propria posizione al riguardo, sottrarsi al progresso è impensabile per chiunque: per non soccombere in un mondo che diventa pian piano sempre più indecifrabile, per non risultare obsoleti, per combattere per ciò che conta.