It’s couture season. Mini atlante dei trend avvistati sulle passerelle parigine, giorno 3
L’Alta Moda al suo meglio. Demna saluta con rigore, Glenn Martens esordisce con audacia. In mezzo, le silhouette imbottite di Viktor & Rolf e quelle inquietanti di Robert Wun. Giro di boa con brivido.

C’è la parigina chic in dolcevita e pantaloni a sigaretta. C’è la diva di Hollywood in sottoveste e cappotto in visone in realtà piume ricamate. C’è la debuttante in abitino di organza rosa candy e diadema in testa by Lorraine Schwartz. C’è il bodybuilder in completo sartoriale fatto a Napoli che finisce per vestire a pennello tutte le fisicità, comprese quelle smilze di chi arriva in pedana dopo lui perché “non è il capo a definire il corpo, bensì il corpo a definire il capo”. C’è Cristóbal; nel rigore del taglio, nell’ossessione di una perfezione irraggiungibile, nei virtuosismi di un pizzo guipure progettato senza cuciture, nella sacralità di un nero che tinteggia un completo ipertrofico. E, infine, c’è lui; Demna, con i suoi archetipi e i suoi tic, con la sua vita raccontata in passerella a guisa di una botanica di paillettes che evoca una tovaglia della nonna, a guisa di un bomber in seta tecnica il più leggero possibile, o una sneaker in pelle di vitello scamosciata già bella che pronta sullo store couture della maison, in un’accessibilità che pare un ossimoro. I nomi del team che ha concesso la visione radicale sostituiscono il soundtrack e dopo anni di mancati saluti, il take a bow finale. In felpa, t-shirt consunta e pantaloni mimetici. Demna dice addio a Balenciaga e ci ricorda cos’è la Moda che “vive ai margini del domani, guidata non da ciò che conosciamo ma dal brivido di scoprire ciò che verrà. È l'espressione del nostro bisogno di evolvere, di dare un senso al cambiamento prima che arrivi, di vestire il futuro prima che abbia un nome”. Così, con una lettera scritta a mano che accoglie gli ospiti di uno show già finito nella storia.
Non si sa se nei manuali finirà anche quello di debutto di Glenn Martens chez Maison Margiela ma la prima prova, nel terreno scivoloso della linea Artisanal, è ottima. Lui, invece, sceglie l’anonimato che è nel DNA della griffe fondata dal designer più sfuggente, mette maschere alle modelle che non si come facciano a camminare, il volto impacchettato da un cellophane soffocante, da incrostazioni preziose, da metalli pesanti, da veli di seta alata, da patchwork di pelle, da intagli di fiori che chissà quante ore di confezione hanno richiesto all’atelier. Forse risibili, in confronto a quelli necessari per progettare la teoria di look che sfila sulle note di Disarm degli Smashing Pumpkins, tra le pareti screziate da collage di carta del luogo che ospitò l’ultimo défilé di Martin, ossia l’attuale polo culturale Le Centquatre e una volta il più grande centro funerario di Parigi. Sagome impacchettate da PVC, da mastodontici drappi di velluto metallizzato, da métissage di pelli riciclate, goffrate e dipinte a mano, da trompe-l’œil che mimano le pitture simboliste di Gustav Moreau, o ancora da collage di nature morte olandesi del XVII secolo. Decostruzioni e ricostruzioni, ganci all’eredità del gigante anonimo e all’ultimo genio, ravvisabile in corsetti che strizzano l’anima e in una ferocia creativa su abiti, giacche, gonne e cappotti materici, su un jersey drappeggiato, liquido e leggerissimo che avvolge il corpo di dee fantasma.
Insomma, il giorno tre di Haute Couture regala il brivido oltre i trend che pure emergono. Tra la sartoria affilata di Balenciaga e l’upcycling materico di Maison Margiela, tra i tocchi artsy (e inquietanti) di Robert Wun e le silhouette gonfiabili e concettuali di Viktor & Rolf, tra l’iper-décor di Elie Saab e Zuhair Murad che riaccendono il sogno dell'Alta Moda. In scroll-down, il bigino con le tendenze direttamente dalle passerelle Haute Couture Autunno Inverno 2025 2026 del giorno tre. In attesa del gran finale.
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