La quarta stagione della serie Netflix The Crown – conosciuta anche come la “Stagione di Diana” – il film biografico Spencer, l’opera teatrale Diana: A Musical. Ecco alcuni degli ultimi progetti hollywoodiani incentrati sulla figura di Lady Diana, a riconferma di una venerazione – talvolta sfociata in manie o perfino, nel più giovane linguaggio di moda, -core – per la donna che altrove si è definita “musa del popolo”. Una sorta di Stele di Rosetta cui torniamo più e più volte, tentando escavazioni, interpretazioni et. Al dal suo guardaroba cacofonico. Decifrare la chiave di coerenza fra abiti di meringa e tubini aderenti firmati Gianni Versace non è – in effetti – semplice, ma eccoci, ancora una volta, a parlare di lei, del suo armadio, con particolare attenzione allo stile delle estati passate data la cadenza agostana.
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Una tendenza preliminare e liberatoria
Il mondo – spesso lo dimentichiamo – ebbe solo sedici anni per conoscere la principessa Diana, corrispondente alla sua entrata ufficiale nella vita pubblica e la morte prematura sopraggiunta nel 1997. Una brevità che ha acuito il fascino e l’incanto della figura, immortale nella costellazione delle dive passate – ma che poi non passano mai. In quanto tale, le è stata dedicata una borsa – la Lady Dior – una mostra postuma – Diana: Her Fashion Story, ovvero un’esplorazione di come la principessa ha imparato a padroneggiare la propria immagine – e la vasta cinematografia che si diceva. Da timida vent’enne negli anni Ottanta, infusa di pesca nell’incarnato e di azzurro negli occhi, è diventata, nel giro di una decade, una principessa dal capello eversivamente corto: “La facemmo sedere sul pavimento in un abito da ballo bianco senza spalline e una tiara, e io le appuntai i capelli all’indietro per farli sembrare più corti. [...] una volta rimessasi i suoi abiti normali, mi chiese cosa avrei fatto con i suoi capelli se avessi potuto scegliere. Risposi subito che li avrei tagliati molto corti. Lei disse: “Allora fallo”, e così facemmo, con un sacchetto di plastica sulle spalle e ciocche che cadevano a terra”, raccontava al New York Times il parrucchiere Sam McKnight. Ed ecco la prima tendenza agostana – non tanto di moda quanto di immagine. Una tagliata di capelli per liberarsi, per avere la vita più semplice.
Una tendenza per “non farsi indossare dagli abiti”
Dopo una lunga fase di abiti cerimoniali, tiare per tenere i capelli regalmente sistemati, completi in tweed e simili, il “vero stile” di Lady Diana emerge – sostiene Donatella Versace – dopo la separazione. “Il mio ricordo più vivido della sua trasformazione in icona di stile è quando apparve sulla copertina di Harper’s Bazaar nel 1991. Sam (McKnight) le aveva tagliato i capelli corti, e indossava un abito attillato disegnato da Gianni (Versace) – blu con borchie dorate e i capelli completamente tirati all’indietro – e posava semplicemente”. A tale epoca appartengono il famigerato Revenge Dress di Christina Stambolian indossato alla festa estiva della Serpentine nel 1994, il giorno in cui il Principe Carlo confessò la sua relazione con Camilla Parker Bowles – a ben guardare, tutt’ora un’ottima opzione per le sere d’estate.
Consapevole della tensione fra l’abito e la donna – il primo non deve mai vestire la seconda, semmai deve essere indossato – Diana si rivolgeva alla sua stilista di fiducia Catherine Walker per la realizzazione di abiti ad hoc. In alcuni casi, Walker e il marito visitavano in anticipo paesi in cui si sarebbe dovuta recare per assicurarsi che si confacessero alle usanze locali. Durante i viaggi nel continente africano indossava – oltre a completi di chino e camicia per la praticità delle occasioni informali – abiti midi dai colori giallo-rosa-blu, pattern floreali, completi Safari, gonne alla caviglia abbottonate sul davanti, maglie di lino e gonne midi in cotone bianco. Altrove, sempre nella stagione calda, la vediamo con un lungo abito dalla fantasia animalier, top con scollo incrociato o all’americana, ma anche, dopo l’allontanamento dalla casa reale, in bermuda sportivi e T-shirt dall’incerta silhouette. La lente nebulosa della nostalgia può rendere deliziosa qualsiasi cosa – pensiamo al celebre maglione “black sheep” indossato durante alcune partite di polo del marito e poi fatalmente imitato ovunque. Ma in questo caso, e diversamente da quanto sostenuto dall’editorialista Alexandra Shulman, l’élan era tale da lasciare una scia dietro, cui tutt’ora si aggrappano le tendenze di moda.