Dai capolavori polinesiani di Paul Gauguin, tra le campiture lumeggiate su abiti esotici, tra i segni netti di un primitivismo carico di mistero, alla vestizione di The Jungle Princess, ossia Dorothy Lamour nell’omonima pellicola del 1936 che, con la complicità dell’acuta costumista della Paramount Edith Head, diede il là alla voga tropicale sul grande schermo. Di indossare tutti quei sarong – in 11 film, tra gli anni Trenta e Quaranta – pare che l’attrice fosse talmente stufa da averne messo uno al rogo, eppure questo non bastò ad evitare che passasse alla storia come Sarong Girl, sdoganando in Occidente l’indumento venuto da lontano. Brezza estiva nel dress code da città, ciclica cotta della moda che ne apprezza la varietà di styling, questo rettangolo di tessuto origina in Malesia, indossato indistintamente da uomini e donne dal corpo avvolto in fantasie lussureggianti e cariche di significati. Forma e modelli del sarong, in effetti, raccontano molto dell’indossatore e della comunità dai cui proviene; ricamato con fili d’oro o d’argento si usa solo per occasioni speciali, mentre in Indonesia, ad esempio, i colori sgargianti e le trame più complesse sono appannaggio dei soli reali. Insomma il pareo, così com’è comunemente chiamato da noi il capo, non è un semplice capriccio à la mode, bensì un abito tradizionale dalle molteplici simbologie.
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Il pareo tra cultura e appropriazione, il caso Zara
Zara, ad esempio, inserendo nel catalogo dell’estate 2018 una gonna in madras tabacco da annodare alla vita dal prezzo di cartellino di ottanta euro, finì per essere tacciata di appropriazione culturale, con tanto di giornali che fecero notare come l’originale indumento, prodotto da artigiani locali, costasse in realtà una manciata di euro. E dire che ben prima del colosso low cost, se ne videro a bizzeffe sulle pedane di prêt-à-porter. Marc Jacobs legittimò il grunge per Perry Ellis, scrivendo un pezzetto di storia della moda e venendo al contempo licenziato, con camicie da boscaiolo e sovrapposizioni (im)probabili, tipo quella di un pareo viola su pantaloni stampati, indossati nel mitologico défilé del 1993 da una giovane Tyra Banks.
Dal grunge di Jacobs all’eclettismo di Gaultier
L’anno successivo, invece, Jean Paul Gaultier mandò in pedana “una visione sorprendente di armonia interculturale”, così come scrisse Vogue, tra piercing a dosi massicce, marsine settecentesche e corsetteria, gonnelle sopra i pantaloni e un cospicuo ventaglio di sarong sfoggiati, come fatto in passerella da Christy Turlington, a guisa di gonna con sneakers simil Converse e top tattoo dai segni tribali che furono il leitmotiv di Les Tatouages.
Galliano, Ungaro, Prada: quando il pareo è haute couture
Ricamati e doppiati a tuniche plissé debito dell’opera di Mariano Fortuny i sarong della passerella del ‘99 di John Galliano, lussuosissimi quelli sulla pedana couture di Emanuel Ungaro della Primavera Estate 2002; tableau orientaleggiante carico di parei in chiffon di seta stampata, indossati a mo’ di foulard sopra gonne o pantaloni di una collezione tanto opulenta quanto leggera, mentre botaniche e caleido, furono le mini annodate come parei della Resort di Prada del 2010, in un guardaroba tutt’altro che severo.
Il ritorno del pareo sulle passerelle maschili 2025
Oggi? Nel 2025 a (ri)accendere i riflettori su questo capo sono state – e a riprova della genesi genderless del sarong – proprio le recenti passerelle maschili, una su tutte quella del Dries Van Noten by Julian Klausner, secondo atto del talentuoso designer alla guida della maison. Tra le pareti disadorne di un ambiente ruvido è andato in scena uno show colorista come da migliore tradizione dell’ex Antewrp Six: 62 look di una partitura ritmata da sarong sopra i pantaloni e in combinazione a blazer, camicie, t-shirt o coat, ad ingolosire anche il côté femminile di pubblico. Del resto, lo stesso Dries ne è sempre stato grande fan, mettendolo addosso a donne come a uomini, in quel mix and match di tinte e stampe che era ed è tra i suoi molti talenti.
Un layering che è arrivato anche sulla passerella dell’estate 2025 di Etro che l’ha pensato crochet in opposizione al long dress arancio, e per cui vanno matte anche it girls e celebrità, se è vero che con simil sarong annodato alla vita sono state avvistate di recente Kyle Jenner nella sua lunga vacanza mediterranea, e Alexa Chung che ha mostrato come ravvivare la mise più sottrattiva del mondo con la semplice glossa di un pareo-foulard.
Perché piace? Perché porta il sapore di mare anche in città, perché offre infinte modalità d’indosso – come top, come gonna, come abito, stratificato come fatto da Van Noten –, tra il vezzo e la funzione di un capo antichissimo che ha solcato i mari per rimanere (ciclicamente) nel guardaroba occidentale. Da annodare e sognare di acque terse del Pacifico.