Per la prima ricerca di Google, in sintesi massima (ovvero quel che troviamo pre-approfondimento del link) Alessandro Michele è ancora l’ex direttore creativo di Gucci. Ma Michele lo è stato fino al 24 novembre 2022, e quasi due anni dopo lo fa notare in quella che era la sfilata più attesa di Parigi: il suo debutto in 85 look per la Primavera Estate 2025 nella maison Valentino dopo la ricchissima anticipazione della Cruise di quest’anno. Il motore di ricerca, noi e l’abitudine a Michele dovremmo fare switch. E nel dibattito troppo utile al momento - ovvero quello in cui la moda inizia un periodo storico che le chiede di cambiare pelle, di leggere chi è la stra grande maggioranza dei consumatori, non le nicchie del lusso - Alessandro Michele scava nell'ingombrante tema della nostalgia cercando appigli nell’oggi. La location, si è visto e letto ovunque, avrebbe teso una mano a questo: un pavimento di specchi frantumati, una distesa di mobili antichi coperti da teli bianchi, una luce che proietta ombre (di arredamento e modelle) e la “Passacaglia della Vita” che suona e viene cantata in italiano, francese e inglese in sottofondo (l'invito era uno spartito che ha goduto del tempo).

valentinopinterest
Alessandro Lucioni/launchmetrics.com/spotlight
valentinopinterest
Alessandro Lucioni/launchmetrics.com/spotlight

I vetri rotti, il rumore di qualcosa che si può infrangere, gli spettri che sfilano tra ricordi, ossessioni e allucinazioni non coprono il saper fare di Alessandro Michele: che poi è un suo fare cultura attraverso il raggiungimento di quella fetta di consumatori di cui sopra, che la Moda ha dimenticato da un pezzo. Un paradosso per il lusso visto di blouson di paillettes smeraldo su cui sono appoggiate nappine in tessuto dorato, stole che richiamano il tema dei mantelli reali di zibellino, lingerie e vestaglie da camera di chi, così abbigliato, fugge per strada da un edificio che sta per crollare. Il sogno è il metodo di Alessandro Michele, ma non è sogno fine a se stesso: vi è un ampio margine di studio che tutti gli riconoscono, e questo “serve” anche per arrivare a concepire dame in fuga dal pensiero della fragilità, refrain con cui lo stilista romano ha disseminato l’attesa fino a questo memento. È fragile il nostro rapporto con la memoria, nel bene e nel male vogliamo avere un affetto esplicito con il passato. E le paure, ogni tanto, vanno mostrate e vestite: anche se poi non avremo quei capi nel nostro armadio (staremo a vedere la strategia dei cartellini della maison in parte ora partecipata da Kering), gusto o non gusto, chi vede ombre e chi vede luce, chi vede insieme di strati chi ne intercetta uno in mezzo a tutto quel caos. Qui la curiosità attrae.

valentinopinterest
Alessandro Lucioni/launchmetrics.com/spotlight
valepinterest
Andrea Adriani

Michele è andato a prendere immagini e abiti che Valentino Garavani ha creato a cavallo tra metà degli anni 60 fino ai ricchi e dissacranti anni 80, che coincidono agli anni di dominio di Valentino quale brand sì del rosso da imperatore ma anche degli azzardi di stivali pitonati e dipinti, delle giacche stondate e frizzanti di colori e richiami quasi da brocantage (tema che gli under 25 maneggiano molto bene sulle piattaforme di re-selling e nei negozi fisici di vintage), alcune ultime follie di piume lunghissime su tese larghe. E poi fiocchi in vita, fiocchi alle caviglie, fiocchi a chiudere giacche stampate nell’altra mania di quegli anni, i pois. Questi micro puntini bianchi su neri e viceversa tinteggiano lunghi abiti con balze e bustini strizzati, il rosso Valentino su bluse di seta abbinate a longuette nere, il rosso di Valentino su abiti dall’opulenza spiegata o su blazer maschili rigidi e pertinenti (dei look maschili notevoli il tailoring a fuoco immediatamente).

valentinopinterest
Andrea Adriani
valepinterest
Andrea Adriani

Il dibattito su quanto sia una sfilata da marchio registrato "Alessandro Michele" e quanto sia il nuovo corso di Valentino è abbastanza fine a se stessa e al circuito moderno della critica di moda. L'errore più grande, amplificato nei due anni di assenza di Michele dal giro di poltrone dei designer, è stato quello di aver creato un campionato con tesserati di una squadra e non di un'altra, dove gli stilisti sembrano politici con programmi economici per erodere il debito pubblico della moda e non con atelier in cui disegnare "anche" prodotti da vendere e indossare. In due anni di stop, per patti di non concorrenza e scelte in bilico di Michele, lo spazio che lui stesso aveva creato è rimasto vacante: e non è uno spazio di maison in cui lavorare ma di modalità del farlo. Alcuni stilisti hanno intrapreso una strada più netta, aperto nuovi capitoli e dialoghi con il presente perché la Moda (e il suo sistema fatto di negozi, editoria, consumer, etc) in questi due anni ha maturato un'urgenza ben diversa dai numeri fantasmagorici di prima e non stupisce che Alessandro Michele, invece, si sia ri-seduto su qualcosa che maneggia con cura da decenni.

vintagepinterest
Andrea Adriani