A leggere i dati sul gender pay gap in Italia, la carriera lavorativa delle donne appare inevitabilmente come una tubatura rotta che lentamente, dal primo impiego fino alla pensione, continua a perdere acqua. Le donne italiane si laureano di più e con voti più alti ma, dal loro ingresso nel mondo del lavoro, iniziano a sorgere le disparità. Secondo il rapporto OCSE Education at Glance, le ragazze tra i 25 e i 34 anni hanno meno probabilità di ottenere un lavoro rispetto agli uomini e, anche quando lo ottengono, guadagnano meno dei loro coetanei maschi. Intorno ai trent'anni, mediamente, entra poi in gioco il tema della maternità e una ricerca condotta su dati INPS del settore privato tra il 1985 e il 2018 ha rivelato che, 15 anni dopo la nascita del primo figlio, l’aumento salariale registrato dalle madri è del 57% inferiore rispetto alle donne senza figli con caratteristiche simili, mentre il tasso di abbandono è del 12% superiore. Il divario non si colma mai: continua fino alla pensione.
L'ultimo Rapporto annuale dell’INPS presentato oggi alla Camera mostra infatti che le donne italiane vanno in pensione più tardi degli uomini e guadagnano di meno, ricevendo assegni inferiori.
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Il gender gap nelle pensioni
Complessivamente, dal report emerge un numero di pensionati stabile fermo a circa 16,3 milioni per una spesa pensionistica totale di 364 miliardi di euro, di cui 355 miliardi di euro di pensioni erogate dall'INPS. Le donne rappresentano il 51% dei pensionati totali, quindi la quota maggioritaria, eppure percepiscono solo il 44% dei redditi pensionistici per un totale di 161 miliardi di euro contro i 204 miliardi degli uomini.
Considerando che c'è chi riceve più di una prestazione, il reddito pensionistico lordo medio, secondo l'INPS, è di 1.861 euro al mese. Gli uomini, però, percepiscono il 34% in più: 2.143 euro in media contro 1.595 euro per le donne. Sono gli effetti di carriere femminili tendenzialmente più povere e frammentate, che portano le donne anche ad andare in pensione più tardi. Nel 2024, infatti, l’età media di pensionamento delle donne ha superato quella degli uomini di un anno e 5 mesi.
Le ragioni del divario
"I dati del report INPS sul gender gap pensionistico non sono affatto una sorpresa per me, ma sono la fotografia delle diseguaglianze di genere che ancora permangono nel mondo del lavoro", spiega a Elle.it Mara Ghidorzi, Gender Expert di Fondazione Libellula, un network indipendente di realtà che puntano a prevenire e contrastare la violenza di genere e ogni forma di discriminazione. "Le carriere delle donne sono infatti costellate da continue interruzioni e da stipendi comunque più bassi rispetto a quelli degli uomini a parità di mansioni e di livello". A pesare sulle carriere femminili è soprattutto il carico di cura legato alla maternità in assenza di welfare e asili nido che spinge molte donne a lasciare il lavoro o a passare a forme part time riducendo gli introiti. "Le donne sono costrette molto spesso a scegliere se poter lavorare o essere madri", aggiunge Ghidorzi, "Per esempio, nel 2022, sono state 44.000 le donne lavoratrici che hanno lasciato il lavoro per difficoltà a conciliare queste due sfere".
Secondo l'esperta, dunque, la cosiddetta child penalty "non vede i suoi effetti soltanto nel mondo del lavoro, ma anche quando una donna finalmente raggiunge i requisiti per andare in pensione". "Quindi", sottolinea, "se sommiamo le forme di part-time e le interruzioni di carriera, vengono fuori assegni pensionistici più bassi e un'età di pensionamento più avanzata".
Che possibili soluzioni?
Come spiega Ghidorzi, per invertire la rotta diventa fondamentale "lavorare sul maschile" con un maggior coinvolgimento degli uomini nelle responsabilità di cura. "A oggi soltanto il 22% dei papà sceglie di utilizzare il congedo parentale rispetto all'88% delle donne", osserva l'esperta di Fondazione Libellula, "E un utilizzo più paritetico del congedo, per esempio, lancerebbe anche sul lavoro il messaggio che la cura non è solo un problema delle donne, ma è una responsabilità dei genitori. Questo creerebbe anche meno discriminazioni, per esempio, in fase d'assunzione".
C'è, però, a suo dire anche un altro tema, più sottile, che non va sottovalutato e riguarda il rapporto tra le donne e le tematiche finanziarie, ancora caratterizzato da notevoli tabù. "Molto spesso", riflette Ghidorzi, "noi donne stiamo le prime ad aver paura, imbarazzo, nel chiedere un aumento sul posto di lavoro o nell'informarci anche sui nostri diritti come lavoratrici. Siamo anche poco informate su tutta una serie di aspetti legati agli investimenti finanziari che comunque sono molto utili per diversificare anche le entrate, appunto, economiche".