Al Municipio VI di Roma, in zona Tor Bella Monaca, nel territorio della periferia Est della Capitale (che è anche l'unico a guida centrodestra), il mini-sindaco Nicola Franco di Fratelli d'Italia ha deciso di creare un servizio per gli uomini maltrattati. Uno sportello, gratuito, che dovrebbe fornire ascolto e supporto a maschi che starebbero subendo abusi di vario genere. Il documento, però, diventa problematico nel momento in cui adotta come cornice esplicita il concetto di “alienazione parentale”, una teoria ampiamente contestata, che descrive un genitore (spesso la madre) intento a manipolare i figli contro l’altro (di solito il padre).

La sindrome da alienazione genitoriale o sindrome da alienazione parentale è un concetto che venne introdotto per la prima volta negli anni Ottanta dallo psichiatra forense statunitense Richard Gardner, e descritto come una dinamica psicologica disfunzionale che si attiva nei figli minori coinvolti nelle separazioni conflittuali dei genitori. Secondo Gardner questa sindrome sarebbe il risultato di una presunta “programmazione” dei figli da parte di uno dei due genitori (definito “genitore alienante”) che porta i figli a dimostrare astio e rifiuto verso l’altro genitore (definito “genitore alienato”). In poche parole sarebbe un incitamento ad allontanarsi da uno dei due genitori, portato avanti intenzionalmente dall’altro genitore attraverso l’uso di espressioni denigratorie, false accuse e costruzioni di “realtà virtuali familiari”.

Nella delibera, si legge che “le donne esercitano soprattutto la violenza psicologica sugli uomini, che può sfociare in vera e propria alienazione parentale”, e che lo stalking femminile sarebbe “caparbio e silente”, ma capace di “logorare psicologicamente” la vittima.

A scatenare le polemiche e gli attacchi all'iniziativa, arrivati da esponenti del Pd e da diverse associazioni femministe, è stato proprio il riferimento all’alienazione parentale: una teoria priva di validazione scientifica, rigettata dal Parlamento europeo, dal Comitato ONU CEDAW e persino dal governo Meloni, che nel Libro Bianco sulla violenza maschile contro le donne l’ha definita espressamente “non scientifica, inaccettabile come argomentazione processuale” e “dannosa per i diritti di donne e minori”.

Di questo e più in generale dell'opportunità di creare spazi anche per maschi in situazioni di pericolo abbiamo parlato con Mara Ghidorzi, Gender Expert di Fondazione Libellula (un network di aziende, persone, scuole e comunità unite dalla volontà di prevenire e contrastare la violenza di genere e ogni forma di discriminazione, nda), e Francesca Panigutto, Head of Marketing & Communications della stessa Fondazione.

Partiamo dall'iniziativa, al cui annuncio sono subito seguite critiche anche molto aspre. Secondo voi che cosa ha fatto scattare questa polemica?

MG: Io penso che il tema non sia la messa a disposizione di un centro d'ascolto per uomini, perché, anche se in misura molto, molto, minore anche questo è un problema. E dico in misura minore perché qui i numeri sono netti, ovvero la statistica ci dice che poco meno del 20% degli uomini subisce violenze di genere, e di questi nell'85% dei casi chi agisce violenza contro gli uomini sono gli uomini stessi. E quindi parliamo principalmente di violenza all'interno di coppie omosessuali. Per questo tipo di situazioni in Italia ci sono già centri di ascolto rainbow, ce ne sono a Roma, Milano, Torino. Ed è giusto, perché non si può negare un tipo di violenza che, pur meno frequente, comunque esiste. Nessuno vuole sottovalutare questo tema.

I numeri sono netti: nell’85% dei casi chi agisce violenza contro gli uomini sono uomini.

La notizia che arriva dal Municipio VI, invece, ha fatto un po' di scalpore perché è stata un gesto provocatorio. I fondi messi a disposizione per questo centro d'ascolto, in realtà sono stati inseriti in un provvedimento più ampio in cui si parla anche di alienazione parentale. E quindi questo centro d'ascolto è stato collegato a forme di violenza psicologica che gli uomini subirebbero da parte delle mogli e madri dei figli. Se parliamo di alienazione parentale, qui cambia tutta la narrazione, perché anche la Cassazione ci ha detto che è una teoria priva di qualsiasi fondamento scientifico.

Penso dunque sia questo il vero tema. La strumentalizzazione di un problema di violenza che esiste, per, in qualche modo, fomentare delle ideologie che non hanno nulla di scientifico. Infine, se vogliamo essere super partes, la stessa ministra Rocella nel Libro bianco per la formazione sulla violenza contro le donne dice proprio che l'alienazione parentale non esiste, quindi non è un problema di destra o di sinistra, ma di manipolazione della realtà.

Se fosse stata un'iniziativa scevra di quella voce, cioè se lo sportello di aiuto fosse stato lanciato senza citare l'alienazione parentale, come lo avreste valutato?

MG: Io penso che anche gli uomini debbano avere dei momenti di ascolto, che debbano poter accedere a delle forme di socializzazione di genere, perché fanno più fatica a esprimere le loro debolezze, le sofferenze, gli abusi subiti, pensiamo anche a tutti gli abusi infantili, avvenuti magari in contesti familiari. Ci sono tantissimi bambini e ragazzi che hanno subito abusi e fanno fatica a parlarne, per cui certo, penso che ci sia bisogno di sportelli al maschile.

Anche perché abbiamo lavorato tanto sulla necessità di dire le cose, dal punto di vista delle delle donne, dell'avere il coraggio e la forza necessarie per parlare e denunciare. Ecco, forse la stessa cosa, lo stesso lavoro sull'imparare a dire anche qualcosa di cui magari ti vergogni, pur senza averne alcuna colpa, non la si sta facendo sul fronte maschile?

MG: Guarda, hai toccato un tema importantissimo, perché anche come Fondazione in qualche modo siamo partiti proprio dal dare voce alle donne che subivano violenza di genere. Però nel corso dei nostri anni di lavoro ci siamo resi conto che a un lavoro di empowerment, di ascolto, di ricostruzione e di stereotipi sulle donne era necessario affiancare un lavoro parallelo sul maschile. E infatti, da quest'anno abbiamo deciso di concentrarci su questo tema, anche in collaborazione con realtà e associazioni che hanno come centro gli uomini, e i loro bisogni. E penso che sia fondamentale perché questo sistema, questo modello, deve prevedere la costruzione del presente e del futuro lavorando insieme. Come si lavora sul lato femminile, è fondamentale anche lavorare sul lato maschile. Proprio decostruire quelle gabbie in cui anche i maschi sono inseriti: la gabbia della razionalità, la gabbia dell'autocontrollo, la gabbia della forza, la gabbia del non riconoscimento delle emozioni. È un tema importante e mi spiace che venga strumentalizzato.

Decostruire le gabbie in cui i maschi sono inseriti è fondamentale.

FP: Pur mantenendo tutto quello che facciamo sul femminile, e che continuiamo a fare con forza e senza fare un passo indietro, i progetti più importanti di Fondazione Libellula oggi riguardano proprio l'ascolto sul maschile. Abbiamo infatti deciso di fare un percorso congiunto con Osservatorio maschile (associazione di lunga data che mette a disposizione di ragazzi e uomini dei tavoli d'ascolto, nda) proprio per indagare entrambi i generi, ascoltarli e fornire loro gli strumenti utili per decostruire tutte queste gabbie, tutti questi atteggiamenti, tutto questo auto sabotaggio. Il nostro network è composto da 190 aziende nelle quali facciamo formazione e riusciamo a parlare a moltissimi uomini, ma con questa partnership con Osservatorio vogliamo amplificare sempre di più le voci e raggiungere una platea più ampia possibile.

Una domanda sulla pervicacia di certi messaggi: secondo voi c'è un problema di raggiungimento di alcuni ceti sociali? Esiste questa situazione per cui a volte sembra che ci si parli sempre un po' fra di noi?

FP: No, in realtà no. Io credo che sia un tema di linguaggio e di come ci poniamo in ascolto. Quando siamo in azienda, spesso l'obiettivo che ci diamo è trovare il giusto linguaggio, e per questo ci affidiamo a delle competenze verticali, come quella di Francesca Cavallo con il suo progetto Maschi del Futuro, per avere il giusto approccio. Perché, facendo auto analisi e anche auto critica, le volte in cui dobbiamo ammettere che qualcosa potevamo farla meglio, sono quelle in cui siamo incappati in approcci un po' giudicanti, magari proprio verso gli uomini.

MG: I dati che abbiamo sul raggiungimento di tutte le fasce sociali non sono molto attendibili, e questa è già forse una risposta, perché la maggior parte delle aziende che rispondono ai nostri servizi si trova nel Nord Italia. Facciamo ancora fatica a raggiungere il Sud. E poi sì, non si può negare che ci sono ancora delle resistenze. Come diceva Francesca, alcune volte le resistenze le togli cambiando l'approccio. E qui invece ribalto un po' una narrazione che sta passando: non è sempre vero che con una nuova generazione è meglio. E su questo stiamo per far uscire dei dati che creeranno shock.

Non sempre con le nuove generazioni va meglio, stiamo per uscire con dati shock.

Quest'ultima cosa è molto interessante, torneremo a parlarne, ma quello che mi colpisce è questo vostro mettervi in discussione, in un momento storico in cui sembra peccato mortale.

FP: La cosa migliore, e che penso contraddistingua Fondazione Libellula, è proprio mettersi in discussione. Quindi capire, ricostruire, ripartire, analizzare. Per noi è fondamentale partire dai dati, è fondamentale ascoltare, e quindi recepire, capire cosa funziona, cosa non funziona, avere proprio un vissuto di quello che succede nelle dinamiche tra generi, generazioni, in azienda e fuori dall'azienda. Lavorando così, non puoi non metterti in discussione e riallinearti su alcune cose. Poi i tempi cambiano velocemente, e quello che succede a livello sociale, culturale, influenza tutti noi, quindi va tenuto in considerazione. Credo che la capacità e l'umiltà di mettersi in discussione siano la chiave vincente.

Anche perché si tratta di avere un obiettivo comune, non di portare avanti un interesse personale.

FP: Esatto, a noi non interessano gli interessi di guerra. A noi importa delle alleanze trasformative, in cui davvero ci sia felicità e benessere per tutte le persone, senza assolutamente minimizzare le strutture di potere patriarcali che ci sono in società, e che rimangono il nostro punto di partenza. Forse però quello che non ha funzionato fino a oggi è stato l'approccio, e questo è ciò su cui ci stiamo interrogando come Fondazione Libellula.

E secondo voi è qualcosa su cui si stanno interrogando in tanti?

FP: Secondo me questa polarizzazione così forte avvenuta negli ultimi 6 mesi è la risposta, nel senso che significa che c'è stato un cambiamento e quindi c'è una paura diffusa di perdere determinati privilegi. Il nostro obiettivo è quello di arrivare a tutte quelle persone che non sono le solite già sensibilizzate sull'argomento. Quello su cui ci stiamo interrogando in questo momento insieme ad altri partner è come raggiungere le persone non ancora sensibilizzate sul tema e dove dobbiamo lavorare per quel cambiamento culturale che tanto vogliamo. Quindi, come arriviamo a una diffusione più ampia? Come arriviamo a colpire più persone possibili, uomini e donne che siano? Quindi sì, questo è il grande tema per il nostro 2025.