Dal 1977, il bilancio della natalità è negativo. Alla fine del 2023, l’Istat aveva registrato come per la prima volta gli italiani fossero scesi sotto quota 59 milioni: solo 393 mila nuovi nati, il 31,8% in meno rispetto al 2008, anno record dall’inizio del secolo. In Italia non si fanno più figli, e questo nonostante non si sia mai smesso di desiderarli. Letizia Mencarini insegna demografia all’Università Bocconi di Milano e ha realizzato il grafico con l’andamento delle nascite: dopo il picco della prima metà degli anni Sessanta, quando si superò il milione di nuovi nati, la linea precipita fino ai meno di 400 mila di oggi.
"È dal 1977 che la generazione di figli non sostituisce quella dei genitori - riassumeva lo scorso anno a Gente - Da metà degli anni Ottanta siamo scesi sotto quota 1,5 figli per coppia contro gli almeno due necessari a "compensare". E ora si è innescato quello che potremmo definire "effetto valanga", perché se i potenziali genitori sono sempre meno e se questi sono sempre meno interessati ad avere un figlio, noi saremo sempre meno.
Così, i demografi stimano che se nel 1961 un quarto degli italiani aveva meno di 14 anni, nel 2050 la quota sarà dimezzata, crollata a circa 6 milioni. A lanciare l’allarme è stata anche la ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella, che rivendicando l’importanza di aver aggiunto quel “natalità” alla sua carica, aveva sottolineato l’urgenza di un cambiamento culturale per fermare l’inverno demografico. Se non cambia qualcosa, la tenuta di welfare, sanità, pensioni, in pratica il sistema Paese, è a rischio.
Il paradosso del desiderio: si vogliono figli, ma non si fanno
Ma come siamo arrivati a questo punto? E chi dovrebbe farsi carico di tale cambiamento? Le imprese private sono incoraggiate a sostenere i lavoratori con bonus e agevolazioni, mentre i potenziali genitori dovrebbero forse ignorare le difficoltà economiche grazie all’estemporanea elargizione dell’assegno unico? Viceversa, l’Istat attesta che servizi primari come gli asili nido soddisfano il 26 per cento dell’utenza, dato inferiore alla media europea (35,3 per cento; ma in Francia, dove la natalità è in ripresa, la percentuale è al 50,8), mentre il congedo di paternità da noi dura 10 giorni (in Francia 28; in Germania fino a 14 mesi).
Ma torniamo alle questioni economiche, per forza di cose legate al mondo del lavoro. Ebbene, in Italia è proprio il lavoro, o la mancanza di esso, il primo fattore indicato come freno alla realizzazione piena del desiderio di avere figli. Lo rivela il Rapporto sullo stato della popolazione nel mondo 2025, dal titolo La crisi reale della fecondità, presentato martedì dall’Unfpa in contemporanea mondiale anche in Italia, assieme ad Aidos, all’Università Sapienza di Roma. Centosessanta pagine che contengono un’indagine realizzata con YouGov intervistando 14mila persone in 14 Paesi (tra cui il nostro) dove vive il 37% degli abitanti del pianeta: ordinati dal più basso al più alto tasso di fertilità, si tratta di Corea del Sud, Thailandia, Italia, Ungheria, Germania, Svezia, Brasile, Messico, Stati Uniti, India, Indonesia, Marocco, Sudafrica e Nigeria.
I risultati - illustrati da Mariarosa Cutillo (Unfpa) e discussi da Elena Ambrosetti (Sapienza), Laura Aghilarre del ministero Affari esteri e Serena Fiorletta (Aidos), insieme alla senatrice dem Sandra Zampa - confermano preoccupante la percentuale di coloro che non riescono a realizzare le proprie intenzioni di fecondità. Se da un lato, infatti, persiste un numero elevato di gravidanze non desiderate, dall’altro sono maggioranza le persone che desiderano avere due o più figli e figlie senza averne o che vorrebbero averne di più. Quasi un quinto degli over 18 interpellati (il 18%) ritiene che non riuscirà ad avere il numero di figli che vorrebbe. Se si restringe il cerchio agli over 50, ben il 31% riporta di aver avuto meno figli di quelli che avrebbero voluto, contro un 12% che afferma di averne avuti di più e un 19% che si dichiara soddisfatto.
Esplorando le ragioni alla base della mancata piena realizzazione del desiderio di fare figli, emerge che le questioni di carattere economico (finanze, casa, lavoro) sono un elemento determinante. In media, soltanto il 12% adduce infertilità, il 7% generiche barriere alla fertilità o cure mediche e il 12% malattie. Ben il 39%, invece, indica difficoltà economiche, il 19% la casa, il 12% l’assenza di servizi per l’infanzia adeguati e il 21% la disoccupazione o l’insicurezza nei confronti del lavoro. Una persona su cinque ha anche risposto che guerre, pandemie, questioni politiche e cambiamento climatico sono questioni decisive.
Il prezzo di un figlio
Anche perché la nascita del primo figlio rappresenta in Italia la seconda causa di povertà, dopo la perdita del posto di lavoro. Lo conferma Banca d’Italia che stima in 640 euro al mese, la spesa necessaria per allevare un pargolo. Si comincia da subito: nel primo anno di vita si spendono all’incirca 460 euro per la culla, oltre 1.000 euro per i pannolini, 3.400 euro per latte e pappe, 2.500 per vestiti... Alla fine, quando il piccolo avrà spento 18 candeline, dal conto corrente dei genitori saranno usciti fino a 300 mila euro, calcola ancora Bankitalia. Nel nostro Paese il costo economico dei figli si aggira intorno al doppio della media dei paesi OCSE ed è un problema che aumenta più diminuisce il reddito familiare. Altri dati OCSE del 2022, inoltre, dicevano che L’Italia è stato l’unico Paese avanzato in cui il reddito disponibile delle persone non è aumentato negli ultimi due decenni, e peggio va per il reddito famigliare. Per capirci: se il figlio è uno, il reddito disponibile degli italiani è nella metà bassa dei Paesi europei, e viene superato da quello degli estoni e degli sloveni, mentre è di poco superiore, di appena milletrecento euro, di quello dei lituani. Quindi, se tra gli anni '70 e '80 non si facevano abbastanza figli perché, tra studi e impegni di lavoro, si arrivava più tardi alla decisione di avere un bambino (in Italia l’età di concepimento del primo figlio è la più alta d’Europa), oggi oltre all’incertezza sul futuro che alla fine è la preoccupazione di ogni europeo, con il saldo in banca. Da noi le misure economiche a favore delle famiglie non appaiono come misure strutturali ma come interventi sporadici. Dovremmo seguire l’esempio della Francia dove la tassazione è regolata in base al quoziente familiare e non al reddito, come accade da noi dove gli aiuti sono proporzionali al reddito Isee, il che finisce con il penalizzare il ceto medio, suggerisce De Paolo. Anche in Germania gli aiuti sono universali, destinati a tutti. In Olanda per ogni nuovo nato il governo assegna subito un sussidio, indipendentemente da reddito o professione, cosa importante perché in Italia l’assegno familiare riguarda solo i contratti di lavoro stabilizzati.
Le Partite IVA e le famiglie invisibili
Tradotto: i genitori partita IVA sono invisibili da sempre. Eppure il numero di Partite IVA supera i 4 milioni, i dati più recenti, del 2023, indicano 4.174.782 Partite IVA registrate. Probabilissimo che tra loro ci siano diversi potenziali genitori che tuttavia, privi di qualunque sostegno e welfare, rinunciano, anche con grande dolore.
Tornando allo studio presentato in questi giorni, è interessante quanto detto da Natalia Kanem, direttrice esecutiva di UNFPA, durante la presentazione alla stampa: “Incentivare le persone ad avere figli non serve perché trascura il fatto che le persone vogliono già avere più figli – afferma - Non funziona perché la priorità adesso non è al livello dell’individuo, ma a livello di politiche”. La crisi della fecondità non è un problema di sottopopolazione o sovrappopolazione, piuttosto risiede nell’impossibilità di esercitare l’autonomia riproduttiva, che viene definita dal Rapporto come “la capacità di esercitare un processo decisionale informato e consapevole in merito alla propria riproduzione. Tale capacità richiede più della semplice possibilità di dire sì o no; richiede un ambiente favorevole in cui gli individui e le coppie possano compiere scelte libere da vincoli legali, politici, economici e normativi. Si tratta di un aspetto fondamentale dell’autonomia fisica, dell’autodeterminazione e dei diritti umani”.
Su un punto il rapporto è tranchant: le politiche che mirano a influenzare i tassi di fecondità stanno ampiamente fallendo. Tra le azioni inefficaci intraprese da molti governi sono citati gli incentivi finanziari, come i bonus bebè una tantum, i divieti all’educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole, la criminalizzazione dell’accesso all’aborto, le restrizioni all’accesso alla contraccezione. La tesi dell’Unfpa è che bisogna smettere di cercare di “correggere” i tassi di natalità e puntare invece su soluzioni basate sui diritti, con un approccio che includa alloggi a prezzi accessibili, lavori dignitosi, procreazione assistita per tutte le persone, non solo quelle abbienti, politiche che facilitino le famiglie, come i congedi parentali, parità di diritti e riconoscimento dei diversi tipi di famiglie