Il 4 giugno il Senato ha approvato definitivamente la conversione in legge del decreto “Sicurezza”, che il 28 maggio aveva ricevuto il via libera della Camera. In entrambe le aule il governo, dopo un iter ricco di ostacoli iniziato a novembre 2023, ha posto la questione di fiducia sul decreto, per limitare drasticamente il dibattito parlamentare ed impedire di modificare ulteriormente il testo. Durante il voto in Senato, alcuni parlamentari del Partito Democratico, del Movimento 5 Stelle e di Alleanza Verdi-Sinistra si sono seduti in mezzo all’aula, in segno di protesta, bloccando momentaneamente i lavori.
Il provvedimento fortemente voluto dal governo in materia di sicurezza prevede 39 articoli che introducono 14 nuovi reati e nove aggravanti di delitti già esistenti, oltre a varare un nutrito pacchetto di tutele per le forze dell’ordine, ampliare i poteri dei servizi segreti (seppur in misura nettamente inferiore rispetto alla proposta originale) e vietare la produzione e la commercializzazione della cannabis light.
I voti a favore sono stati 109, i contrari 69, un astenuto. C’è stata qualche lieve modifica sui punti più contestati del disegno di legge, anche a seguito dell’interlocuzione tra il governo e il presidente Mattarella, che sul disegno di legge originario aveva espresso obiezioni e critiche. Ma una delle misure più contestate del disegno di legge originario è stata inclusa anche nel decreto-legge: da ora in poi non sarà più obbligatorio il rinvio della pena per donne incinte o che hanno figli con meno di un anno, che diventerà invece facoltativo.
Il decreto Sicurezza: cosa prevede e perché fa discutere
Tutto l'opposto, insomma, di quanto successo a inizio giugno 2022, quando la Camera dei deputati aveva approvato, in prima lettura con 241 voti favorevoli e 7 contrari, un disegno di legge che mirava proprio da evitare che i bambini piccoli finissero in carcere con le proprie madri o, in certi casi, con i padri. Il provvedimento, proposto dal deputato PD Paolo Siani, escludeva, infatti, la custodia cautelare in carcere per le donne incinte o per le madri con figli conviventi di età inferiore a 6 anni. Questo vale anche per i padri, ma solo nel caso in cui la madre sia deceduta o impossibilitata ad assistere i figli.
Inoltre, per le donne con bambini, veniva promosso il modello della casa-famiglia, che nelle intenzioni sarebbe dovute essere individuate tramite convenzioni con gli enti locali e, solo in casi eccezionali, si sarebbe dovuto ricorrere a istituti a custodia attenuata (ICAM). I bambini, quindi, nelle intenzioni di tre anni fa, non sarebbero dovuti vivere in carcere, ma in speciali strutture "protette" dotate di sistemi di sicurezza non riconoscibili e pensate per ricreare un’atmosfera il più possibile simile a quella di un normale ambiente familiare.
Il testo, inoltre, innalzava da 3 a 6 anni l’età dei figli per le cui madri sarà possibile richiedere il rinvio dell’esecuzione della pena. Dieci anni prima, nel febbraio 2012, sullo stesso tema c'era stata un appello del Comitato Madri per Roma Città Aperta alle allora ministre della giustizia Paola Severino e dell'Interno Anna Maria Cancellieri per chiedere che l'Italia si adeguasse all'Europa e considerasse la detenzione delle donne con figli come l'ultima delle soluzioni, per favorire, invece, le alternative al carcere e perché ci si occupasse come Stato dei particolari e specifici bisogni delle donne detenute.
"Le case protette saranno l'unica scelta per far scontare la pena a una donna in gravidanza o con un bambino fino a sei anni di età, salvo esigenze cautelari di eccezionale rilevanza", spiegava Siani tre anni fa, quando la proposta sarebbe dovuta passare al vaglio del Senato. Si sarebbe trattato di una legge importante dal punto di vista dei diritti umani che sarebbe andata di pari passo al carattere riabilitativo della pena, e per andare incontro sia il benessere psicofisico dei bambini sia il diritto alla genitorialità. "Il Parlamento - diceva allora Siani, "vuole lottare per tutte le persone innocenti, in primis i bambini. È una questione di civiltà".
Tre anni dopo è successo tutto il contrario. Il nuovo decreto-legge, infatti, prevede la detenzione per donne incinte e madri, che sia per una custodia cautelare o uno sconto di pena, anche se specifica che essa debba avvenire obbligatoriamente in un Istituto a custodia attenuata per madri (ICAM), cioè in quei particolari tipi di carcere pensati per sembrarlo un po’ meno e attenuare l’esperienza del carcere per i bambini e le bambine. Finora la legge prevedeva il rinvio obbligatorio della pena per donne incinte o con figli con meno di un anno, prevedendo il carcere solo in casi di «eccezionale rilevanza», e preferibilmente (ma non obbligatoriamente) in un ICAM. Gli ICAM – così come le sezioni nido delle carceri ordinarie, aree detentive allestite per i bambini – servono ad alleviare in qualche modo l’esperienza del carcere ai figli piccoli delle detenute.
Le conseguenze per i bambini e il parere degli esperti
Il modello di custodia attenuata che si segue può avere effetti positivi sulle detenute e sul loro percorso di reinserimento della società, ma parliamo comunque di un carcere: per quanto attenuata, e in molti casi gestita con competenza e attenzione, la detenzione viene in ogni caso percepita dai bambini, con potenziali conseguenze negative sul loro sviluppo. Per questo chi si occupa di detenute con figli ritiene che sia sempre necessario il ricorso a misure alternative, come la detenzione domiciliare o le case famiglia protette, in grado di far scontare la pena alle detenute ma anche di garantire ai figli e alle figlie un’infanzia il più possibile assimilabile a quella dei bambini liberi.
Il ddl approvato ieri va in direzione, dicevamo, contraria a queste linee di pensiero. In una visione vicina a quanto detto sempre il 4 giugno dal senatore di Fratelli d’Italia Gianni Berrino, capogruppo in commissione Giustizia, che ha fatto un intervento in aula molto criticato dalle opposizioni durante la discussione sul “decreto Sicurezza”. Berrino ha detto che "le donne che fanno figli per poter rubare, non sono degne di farlo". Dopo le accese proteste dell'opposizione, Berrino ha aggiunto: "I giudici che giustamente avete detto che sono indipendenti reputeranno se un bambino forse sta più sicuro in carcere che a casa con i genitori che li concepiscono per andare a delinquere".
Il carcere per le madri
In Italia quando una donna veniva arrestata e aveva figli piccoli non poteva essere semplicemente messa in carcere. Se i figli avevano meno di un anno era obbligatorio il rinvio della pena, se ne avevano meno di tre il rinvio era facoltativo. A quel punto la donna poteva decidere di affidare i figli a qualcuno e di entrare in carcere, oppure di tenerli con sé, possibilità prevista dalla legge 354 del 1975, la prima tra quelle che in Italia hanno regolamentato la condizione delle detenute madri.
Oggi, con soddisfazione della maggioranza che s'è spesa parecchio per questa legge, le cose sono cambiate nel modo che abbiamo visto. E viene da dire che spesso, quando si parla di carcere, i toni sono polarizzati e temi complessi rischiano di essere semplificati. Il tema delle detenute madri è uno dei migliori punti di partenza per ragionamenti molto più ampi: quello della detenzione femminile, di donne detenute in un sistema abitato e pensato soprattutto da uomini, quello della maternità, quello dell’esecuzione della pena, del partire dalla persona, prima che dal reato, e del vedere la pena come funzionale al reinserimento nella società, non alla punizione. Riflessioni non pervenute in questo ddl sicurezza.