Quando a Sonia (nome di fantasia) venne diagnosticata, durante alcuni controlli, una traslocazione genetica (ovvero un'alterazione della struttura dei cromosomi che ha una frequenza nella popolazione molto elevata: ne è portatore un individuo su duecento, il che significa che una coppia su cento è a rischio, a ogni concepimento, di generare feti con anomalie cromosomiche, ndr) che la poneva ad altissimo rischio di aborto, decise di seguire un percorso di Procreazione Medicalmente Assistita.

La PMA in Italia oggi: tra opportunità e limiti normativi

In Italia sono circa 77mila le coppie che decidono di accedere a trattamenti di procreazione medicalmente assistita. Nel nostro Paese e non solo, visto che altre 13mila sono quelle che si recano all’estero, in Stati dove la fecondazione assistita è più evoluta o aperta a più persone. Per quanto l’infertilità tocchi sempre più persone, non soltanto in Italia dove una coppia su cinque si stima sia infertile, sono poche quelle che sanno di preciso che cosa si possa o non si possa fare. Spesso ci si affida, come fossimo a inizio Novecento, al passaparola.

La normativa italiana sulla procreazione assistita, infatti, è radicalmente cambiata rispetto al 2004, ma la persistente confusione legislativa non ha favorito la strutturazione e la normalizzazione della PMA in Italia, anche se questo non vuol dire che la PMA da noi sia arretrata, anzi. Il risultato è che molti considerano la PMA ancora oggi un tabù e, siccome non se ne parla, molti che ne avrebbero bisogno non sanno sempre quali siano le opportunità a disposizione.

Quasi tutte le pratiche di PMA sono oggi accessibili in Italia e, da gennaio 2025, sono entrate anche nei livelli di assistenza garantiti dal SSN. Tutte, ma non per tutti. Se, infatti, nel corso di questi vent’anni la giurisdizione è arrivata a contemplare (quasi) ogni procedimento di PMA – non era così all’inizio –, continua ancora oggi a escludere dall’accesso donne per sopraggiunti limiti di età (quarantasei anni è il limite); donne single e/o lesbiche, oltre che gli uomini gay.

Per descrivere le tecniche di PMA si usa il gergo “livelli”. Il primo è l’inseminazione intrauterina; il secondo corrisponde alla fecondazione dei gameti “in vitro”, cioè in laboratorio e, a seconda che i gameti siano della coppia o il risultato di una donazione singola o doppia si parla di fecondazione omologa o eterologa; il terzo, il più complesso, prevede l’aspirazione chirurgica anche dello sperma. La donna che effettua una PMA omologa o un’eterologa con la sola donazione del seme si sottopone a una stimolazione ovarica farmacologica che consente di produrre più ovociti di quanti se ne producono ogni mese (uno o due) e poi si prelevano con un piccolo intervento chiamato pick-up.

Per tornare alla nostra testimonianza, questo è proprio il caso di Sonia, che si è sottoposta a 5 cicli di stimolazione, e al termine della stimolazione, scopre, dopo le analisi genetiche, che anche i pochi ovociti prodotti hanno generato dopo la fecondazione delle blastocisti (embrioni ai primi giorni di vita) “malate”. Il professor Pasquale Bilotta, che seguiva Sonia e il suo compagno nel percorso di PMA, le consiglia allora di effettuare una fecondazione eterologa con relativi tentativi di transfer.

Il dolore psicologico della PMA

Ad un certo punto di questo complesso percorso, dopo che Sonia aveva vissuto sulla sua pelle il dolore del fallimento del terzo ciclo di stimolazione, si accorge di trovarsi in uno stato di profondo sconforto e depressione dal quale capisce di non poter uscire da sola. Sonia aveva bombardato il suo corpo di ormoni, l’aveva affidato alle mani di medici e infermieri che l’hanno trattato come una macchina rotta da far ripartire, l’aveva martoriato con aghi, prelievi, esami, cannule. Mentre il suo cuore andava in frantumi e lentamente lei si perdeva.

Perché nessuno dice il senso di fallimento che si prova ogni volta che un tentativo è andato a vuoto? E la rabbia che cresce verso chi un bambino ce l’ha e non è meglio di te. Non lo merita di più. E le ossessioni che si scatenano, le più disparate, verso l’igiene, verso le malattie, verso il contatto con gli altri, come se ogni cosa potesse compromettere la riuscita del tentativo successivo. Mentre inizi a isolarti. E l’intesa col tuo partner s’incrina, a forza di mesi, anni, di sesso a comando e tenerezze finalizzate. Visite mediche, referti, rinunce e soldi che se ne vanno. Pazienza che lentamente si esaurisce, lasciando spazio solo all’attesa. È un percorso difficile, per le donne anche dal punto di vista fisico, mentre per gli uomini, molte volte, la fatica sta nel nascondere la propria fragilità. Si prova disorientamento, frustrazione, rabbia, paura, sentimenti che possono dividere.

Sonia si sentiva esattamente così, quando ha capito di avere bisogno di aiuto e s'è decisa ad affidarsi al servizio di supporto psicologico del centro Alma Res e alle cure del dottor Callopoli. “Il supporto avuto dal dott. Callopoli è stata la mia salvezza in quel periodo – racconta oggi Sonia – perché non riuscivo a parlare di quello che provavo con nessuno nemmeno con il mio compagno, mia madre o amici cari che so che mi avrebbero sostenuta; il problema era mio e lo volevo affrontare da sola ma in questo modo ho finito per isolarmi. Inoltre, col passare del tempo, mi sentivo anche in colpa verso il mio compagno perché lui non aveva nessun problema per la mancata gravidanza: sono arrivata anche a suggerirgli di andarsene e trovare una nuova compagna con cui non avrebbe dovuto affrontare questo calvario per diventare papà. Il fatto è che sentivo che si trattava di un problema mio e non un problema di coppia”.

Il ruolo del supporto psicologico nel percorso di fertilità

A febbraio 2019 Sonia comincia un percorso di supporto psicologico che l'ha "letteralmente salvata dallo sconforto più buio e mi ha dato la forza di risollevarmi e di affrontare così il percorso di PMA per riuscire finalmente a diventare madre. Ho combattuto un anno da sola, quando avrei potuto subito affidarmi al sostegno psicologico offerto dal centro. Per questo oggi consiglio a tutte le donne che devono affrontare il difficile percorso della PMA di chiedere aiuto e non aver timore evitando anche di sottovalutare l’aspetto psicologico ma affrontandolo senza pregiudizi di sorta”. Dopo essersi affidata alle cure del centro Alma Res, Sonia e il suo compagno sono riusciti finalmente, nel 2020, a diventare genitori di una bambina. “Ancora oggi – conclude Sonia - il sostegno psicologico gratuito fornito dal centro Alma Res è stato, ed è per me, fondamentale dato che sto cercando di avere anche una seconda gravidanza”.

Il peso invisibile della sterilità sulla coppia

Non è facile comunicare certi dolori e in più spesso le donne non si sentono capite. Né dai medici né dal compagno, che escludono a priori dai propri tormenti. L’uomo dal canto suo per una forma di difesa a volte tende a portare “fuori da sé” il problema, etichettandolo come femminile. Ci sono storie di intimità perduta per sempre, storie di donne che dopo mesi e anni di bombardamenti ormonali, prelievi, attese infinite, ansie, finiscono col vedere il marito come un nemico e non come un alleato. La storia di Sonia e quella del suo compagno è quella di una donna e di una coppia che non si sono arrese. Ma è soprattutto la storia di un lavoro di squadra, di supporto e di ascolto. Che però per avere il suo lieto fine deve prevedere per forza di cose un passaggio: chiedere aiuto a chi lo può dare.