Un po' di contesto, per capire che tipo di paese sia, oggi, la Spagna, quando si parla di parità di genere. Tema che non solo è parte dell'agenda di governo: ne è una priorità. Il primo ministro Pedro Sanchez, classe 1972, a capo del partito di sinistra Psoe dal 2018, anno del suo insediamento, non ha lasciato che sulle questioni di genere fossero deluse le aspettative degli elettori. A inizio mandato aveva messo come priorità del nuovo governo eletto l'indurimento delle pene per chi commette violenza sessuale, e poco dopo ha proposto una netta modifica della legge in materia di stupro, di modo che possa essere severamente punito qualsiasi atto sessuale a cui non sia stato dato un consenso esplicito. E ancora, a novembre 2021 la ministra della Sanità, Carolina Darias, ha firmato una legge che rende disponibile il trattamento gratuito per la fertilità per le donne, indipendentemente dal loro orientamento sessuale o stato civile, e anche per le persone transgender che possono rimanere incinte. Ma non è tutto: solo un mese dopo, la Spagna ha istituito un vero e proprio Osservatorio statale sul femminicidio, su spinta della ministra per le Pari Opportunità, Irene Montero.
Ma il cambiamento era cominciato prima di Sanchez: dal 2008 al 2010, quando il premier si chiamava José Luís Rodríguez Zapatero, fu presa la decisione di istituire per la prima volta un ministero dedicato alle politiche femministe che approvò due provvedimenti importanti per i diritti delle donne in Spagna: la legge per la parità effettiva fra uomini e donne (nel 2007) e la legge di protezione integrale contro la violenza di genere (nel 2004), una norma destinata a diventare un riferimento in Europa. Il merito dell'attuale capo di governo è stato quello di raccogliere quel testimone, e procedere spedito verso altre riforme, con un'attenzione particolare alle politiche famigliari. Dal 2021, infatti, in Spagna è stata approvata una legge che concede il congedo genitoriale anche per i papà di 16 settimane e, attenzione, a stipendio pieno. Le prime 6 settimane sono obbligatorie subito dopo la nascita, mentre le successive 10 sono facoltative e i genitori possono scegliere se utilizzarle a tempo pieno o part time. La Spagna offre, dunque, il congedo più generoso tra i Paesi OCSE e così, eppure con grandi differenze tra le regioni, circa la metà dei neo-padri spagnoli, potendo frazionare il tempo, resta a casa quando la madre torna al lavoro. Non stupisce, dunque, che la notizia di oggi arrivi da qui. Una mamma single che vive in Spagna a Murcia ha visto, infatti, riconosciuto dalla Corte suprema spagnola il diritto a un doppio permesso di maternità, uguale a quello che spetta a una famiglia con due genitori.
Un caso che crea un precedente: la decisione è stata presa sulla base del principio che ogni bambino o bambina deve avere pari diritti. Quindi figli di genitori single devono avere garantito lo stesso periodo di cura e assistenza parentale di bambine e bambini con due genitori. La mamma single spagnola, dipendente pubblica, aveva fatto ricorso al Tar perché sul lavoro le era stato negato il doppio congedo. L’alta Corte spagnola le ha dato ragione, mettendo al centro i diritti di bambine e bambini, che devono essere uguali, e che quindi i bambini nati in famiglie monogenitoriali non devono essere discriminati o trattati in modo diverso rispetto ai bambini nati in famiglie biparentali. E ha esteso il permesso di maternità da 16 a 32 settimane per la mamma single, stabilendo anche che avrà un risarcimento per i giorni di cura che in passato le sono stati negati. La mamma spagnola, Silvia Pardo Moreno, aveva presentato ricorso per trattamento discriminatorio nei confronti della figlia, rispetto ad altri bambini e bambine di famiglie con due genitori.
"È ovvio che la durata e l'intensità della necessità di prendersi cura di un neonato sono le stesse, indipendentemente dal modello familiare in cui è nato", ha affermato l'Alta corte regionale. SPM ha dichiarato a El País di aver capito che la figlia "avrebbe dovuto avere gli stessi diritti che avrebbe avuto se fosse nata in una famiglia con una madre e un padre. Ma quei diritti non sono stati riconosciuti quando è nata". SPM ha aggiunto di essere onorata di aver combattuto per questa causa e di aver dimostrato che "i figli di famiglie monogenitoriali sono uguali agli altri bambini". Il suo avvocato, Miguel Ángel Fructuoso, ha detto che restava da vedere come la corte avrebbe attuato la sua decisione, dato che SPM aveva partorito tre anni fa. Ha detto al giornale spagnolo che pensava che avrebbe potuto essere risarcita per il congedo che le era stato negato in precedenza. "Sul tema dei diritti e anche culturalmente la Spagna si conferma sempre parecchi passi avanti rispetto all’Italia – ha fatto notare al Corriere della sera l’economista Azzurra Rinaldi, professoressa di economia politica all’Università Unitelma Sapienza di Roma e direttrice della School of Gender Economics - . Una sentenza giusta e doverosa, sono queste le misure concrete di sostegno alla genitorialità che invogliano a fare più figli".
Secondo l’economista, però, quella spagnola è una sentenza di difficile applicazione in Italia. "I genitori single in Italia non sono proprio contemplati. Sembra prioritario per il governo italiano rincorrere il tema della 'famiglia tradizionale', qualcosa che oggi non esiste più. Le politiche italiane per la famiglia sono distopiche e inefficienti, distanti dal mondo reale e dalla vita concreta delle persone. Non ha nemmeno senso parlare di famiglia, è più corretto parlare di 'famiglie' che nella società attuale sono tante e di diverso tipo". Questa sentenza, sottolineando la parità di diritti alla nascita, si ispira a un principio sancito in modo esplicito dalla Costituzione spagnola. I giudici spagnoli, cioè, hanno dato valore all’articolo 14 della Costituzione che prevede esplicitamente il divieto di discriminazione alla nascita, sancisce cioè la piana uguaglianza di tutti i cittadini fin dalla nascita. Un articolo che consente ai giudici un appiglio più forte che in Italia, stabilendo che la famiglia in cui si nasce non può essere causa di discriminazione. La Costituzione italiana invece nell’articolo 3 individua come causa di discriminazione razza, religione, sesso e opinioni politiche: la nascita non è esplicitato ma inserita nelle “condizioni personali e sociali”, cioè viene dedotta. Una differenza fondamentale.