A Erika i primi sospetti sono venuti quando ritrovarsi davanti l’ex marito ovunque andasse era diventato talmente frequente da non poter più essere un fatto puramente casuale. "Una volta in particolare", mi racconta cinque anni dopo quei fatti, "avevo prenotato una seduta da una dermatologa per fare qualche iniezione di filler, ma a lui non avevo voluto dirlo perché, conoscendolo, sapevo che avrebbe disapprovato. Così mi sono inventata un incontro di lavoro, una cosa plausibile ma vaga, solo che quando sono uscita dall’ambulatorio lui era lì, arrabbiatissimo, convinto che mi fossi vista con un amante. In quel momento ho creduto che mi avesse pedinata, ma nei giorni seguenti, quando ormai era chiaro che fossimo vicini all’epilogo della nostra relazione, ho ripensato a tutte le volte in cui una scena simile era successa, ed erano davvero troppe. Ma è stato solo quando ho cominciato le pratiche per la separazione che il mio avvocato mi ha domandato se fossi certa che non avesse installato una di quelle app che tracciano tutto. Ed eccola, camuffata da calcolatrice. Era stata con me per mesi, forse di più. E la cosa davvero avvilente è stata che lui non ha nemmeno provato a negare o a giustificarsi: mi ha solo detto “e allora?”". L’ex marito di Erika forse non sapeva, o più probabilmente fingeva di non sapere, che per la legge italiana quello che aveva fatto era un reato. Se per lui controllare la propria partner per pura gelosia era un “diritto”, per il nostro codice di procedura penale è, invece, un illecito.

Gli stalkerware (il termine nasce dalla crasi di stalking e malware, un software che consente a una persona di spiare segretamente la vita privata di un’altra persona via smartphone), come, per esempio, Spyhide, app scaricata anche da utenti italiani prima di essere ritirata dal mercato, violano la legge nel momento in cui ignorano il consenso informato. Ed è questo che le differenzia dalle app di parental control, che, invece, avvisano l’utente minorenne, attraverso notifiche e schermate apposite, del fatto di essere “sotto controllo”. Le app di stalking sono illegali perché si guardano bene dal rendersi visibili, anzi. Lo spiega molto chiaramente l’avvocato Laura Ferrarini: "Il comportamento di chi controlla il partner in modo clandestino attraverso l’installazione di software spia all’interno dello smartphone può incorrere in diversi tipi di reato. Prima di tutto, fare questa operazione all’interno di un dispositivo mobile presuppone l’accesso abusivo a una casella di posta elettronica protetta da password, reato sanzionato con la reclusione fino a tre anni. Se poi lo spy software è stato installato per intercettare il contenuto di telefonate e sms, si aggiunge il reato di detenzione, diffusione e installazione abusiva di apparecchiature atte a intercettare, impedire o interrompere comunicazioni telefoniche, punito con la reclusione da uno a quattro anni".

Pene importanti, ma servono le prove: per questo, se si scopre di essere stati tracciati, è bene non cancellare l’app, ma anzi, conservare tutto. E stare attenti ai segnali, come suggerisce sempre Ferrarini: "Ai miei clienti che sospettano di essere spiati, dico di far caso a comportamenti insoliti del telefono, come una batteria che si scarica molto velocemente, picchi nell’utilizzo di dati, aumenti inspiegabili degli orari di attività nei registri, o strane notifiche. Non sono una garanzia che sia stato installato uno stalkerware, ma sono indizi". Invisibili nella schermata Home dei telefoni delle vittime, queste app sono collegate a un altro account che riceve ciò che viene spiato: le ricerche su Google, le foto che scatta, le chiamate che fa, i messaggi che si scambia, la geolocalizzazione in diretta. Tutto, insomma.

Controllo totale, in un lampante esercizio di violenza privata-digitale: sulle donne, come ulteriore strumento di violenza di genere psicologica oltre a quella fisica ed economica; e su uomini, per controllarli a distanza, anche se in misura minore. Laura Carrer, giornalista autrice di una lunga inchiesta per IrpiMedia sull’uso di app stalkerware nel nostro Paese, spiega come anche in questo caso esista un innegabile squilibrio a sfavore delle donne, vittime in numero molto maggiore di controllo a loro insaputa. "Nei casi che ho analizzato, si tratta per lo più di donne spiate da uomini, e questo credo non dipenda tanto dalla tecnologia in sé, ma proprio dal fatto che all'interno dei rapporti di coppia l'uomo si senta nella posizione di poter esercitare un certo tipo di controllo sulla propria compagna. Un controllo che può andare dal “non voglio che frequenti determinate persone”, “non voglio che ti vesti in un certo modo”, fino al “voglio sapere esattamente sempre dove vai, con chi parli, con chi ti scambi dei messaggi”. Applicazioni di questo tipo si collocano all'interno di un corollario di strumenti che una persona, di solito un uomo abusante, utilizza, spesso impunemente, in questo desiderio ossessivo di possesso totalizzante".

C'è anche un altro aspetto interessante di queste applicazioni, ed è come vengono pubblicizzate. "Le aziende alla fine degli spot inseriscono un disclaimer che ti dice che sorvegliare una persona senza il suo consenso è illecito", continua Carrer. "Quindi l'utente è cosciente di star infrangendo la legge, e questo dovrebbe essere anche solo banalmente sotto la lente dell'antitrust come pubblicità non totalmente consona. Invece, in generale, si tende a pensare che non sia poi una cosa tanto grave. Almeno fino a che non ci ritroviamo a parlarne perché il tema entra in casi di cronaca mediatici, vedi il femminicidio di Giulia Cecchettin". La perizia forense sul telefono di Filippo Turetta, l’ex fidanzato condannato all’ergastolo per il femminicidio avvenuto nel novembre 2023, diceva, infatti, che "tra i siti visitati nel pomeriggio del 10 novembre 2023" ci fosse anche quello relativo a un software tuttora in commercio che "permetterebbe, a pagamento, di monitorare di nascosto telefoni cellulari".

Ma quanto sono diffuse le app spia? Difficile dirlo. Una ricerca di Kaspersky, azienda russa specializzata in sicurezza informatica, pubblicata a febbraio 2024, parla di 252 infezioni da stalkerware identificate in Italia. Risulta anche che il 6% degli italiani ha installato uno stalkerware sul dispositivo del proprio partner a sua insaputa. Per non parlare delle vittime palesi di stalking, obbligate dal proprio partner a scaricare un’applicazione di monitoraggio. Ma il fenomeno potrebbe essere molto più esteso: l'inchiesta di IrpiMedia ha individuato almeno altre 165 app simili attualmente in commercio, e Meta e Google hanno scoperto una vera e propria industria italiana degli spyware commerciali. Eppure se ne parla poco e, se lo si fa, si minimizza. Dall’ultimo report Digital Stalking in Relationship redatto sempre da Kaspersky è emerso che il 26% degli italiani pensa che spiare segretamente il proprio partner sia accettabile.

Questa leggerezza nell’affrontare il problema è confermata da Carrer: «Quando, dopo un lavoro di investigazione durato un anno, sono riuscita a risalire ai contatti delle donne che erano state sorvegliate dai propri partner con app spia, molte di loro davanti a questa rivelazione non si sono scomposte. E questo perché all'interno di una relazione di coppia il controllo è spesso qualcosa di normalizzato. Sembra quasi che se ci si arrabbia, allora significa che si ha qualcosa da nascondere. Si tende a confondere quello che è un rapporto in cui una persona vuole trasparenza e fiducia, in una relazione che ricerca queste cose sorvegliando l’altro. È stato parecchio scioccante sentirsi dire dalle vittime che non reputavano quanto dicevo una cosa significativa, ma penso sia frutto di una mancanza di attenzione agli effetti concreti che hanno le tecnologie digitali: non sapere cosa c'è all'interno del tuo telefono è un problema, e ignorare di essere controllato dal tuo compagno di vita, quindi qualcuno su cui riponi fiducia, è ancora più problematico». “Fiducia” è esattamente la parola usata dall’ex marito di Erika per giustificare il fatto d’averla spiata: "Non mi fidavo", mi ha scritto in un WhatsApp telegrafico, dopo aver rifiutato di parlare della vicenda al telefono. "E non fidandomi ho voluto controllare che si stesse comportando bene". Alla mia domanda se oggi, con, forse, una consapevolezza diversa, lo rifarebbe, non ha mai risposto.

Intanto negli Usa il tema del controllo dei minori, quel parental control legale anche da noi perché basato sul consenso informato, ha raggiunto un nuovo livello, passando dalle case alle istituzioni scolastiche. Nella gamma di tecnologie di intelligenza artificiale che stanno entrando nelle aule americane, si sta molto parlando dei software che cercano di rilevare autolesionismo o intenti suicidari nei messaggi dei ragazzi. Milioni di scolari americani, circa la metà secondo alcune stime riportate dal New York Times, sono ora soggetti a questo tipo di sorveglianza, i cui dettagli vengono divulgati ai genitori in base a un accordo rinnovato di anno in anno. La maggior parte dei sistemi segnala parole chiave o frasi, utilizzando algoritmi o la revisione umana per determinare se siano gravi. Così succede che durante il giorno gli studenti possono essere convocati e sottoposti a screening specifici, mentre fuori dall'orario scolastico, se non si riesce a contattare telefonicamente i genitori, gli ufficiali delle forze dell'ordine possono recarsi a casa degli studenti per controllare come stanno. "È per ora impossibile stabilire quanto siano accurati questi strumenti e misurarne i benefici o i danni, perché i dati sugli “alert” emessi restano nelle mani delle aziende tecnologiche private che li hanno creati, mentre quelli sugli interventi successivi a essi sono conservati dai distretti scolastici", spiega Ellen Barry, giornalista del New York Times. "Ci sono proteste in atto da parte di associazioni per i diritti civili che condannano questi “filtri” non solo perché azzerano la privacy, ma anche perché starebbero danneggiando studenti disabili e LGTBQ+. Tuttavia, molti counselor affermano che il software di monitoraggio li stia aiutando a raggiungere un obiettivo difficile e sfuggente: identificare quei ragazzi che stanno lottando silenziosamente con un male invisibile e raggiungerli in tempo".