“Io non ho paura del nulla, perché in quello ci vivo, ma ho paura della vita”. Le parole sono quelle di una ragazza di 16 anni ricoverata per disturbi alimentari. L’anonimato è d’obbligo, ma questa frase, nella sua brutale schiettezza, racconta molto di quello che sentono le persone che si ammalano di Dca. A loro, a quanti si prendono cura di figli, parenti e amici malati, ma anche a tutti coloro che di queste patologie sanno pochissimo si rivolge la nuova campagna di Ambra Angiolini, lanciata in collaborazione con Animenta e Danone, dal titolo “Non è il cibo il mio disturbo alimentare”. Un'iniziativa che punta a sensibilizzare le persone sui Dca, la cui causa non va ricercata a tavola, ma nelle pieghe più profonde dell’anima.

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Ambra Angiolini presenta la nuova campagna di sensibilizzazione sui disturbi alimentari.

“I ragazzi che si ammalano vogliono vivere, ma hanno paura della vita perché non sanno come starci, nella vita. E questo li porta alla malattia” spiega Ambra Angiolini, che da adolescente ha sofferto di bulimia e che da tempo lavora come volontaria tra i pazienti di alcune strutture, proponendo laboratori che aiutano i giovani a esprimere le proprie emozioni. “Spesso il peso del cibo ci schiaccia. Si arriva a tavola con foga, ma è in quel pezzo di strada che ci separa dal piatto che può esserci una soluzione, quando ognuno trova una risposta dentro di sé e capisce come vivere nel proprio corpo senza sentirsi imprigionato” spiega dopo la proiezione dello spot, un lungo piano sequenza che inquadra una tavola imbandita, al di sotto della quale è rannicchiata una ragazza, interpretata dall’attrice Beatrice Fiorentini, che a fatica trova la forza per alzarsi da terra. Quando ci riesce, sulla tovaglia è rimasto solo un piatto vuoto che riflette la sua immagine e attorno pezzetti di carta che danno voce e parole ai pensieri intrusivi di inadeguatezza, disistima e paura che dominano la mente di chi vive un disagio profondo, spesso non adeguatamente accolto dalla società. L’invito al pubblico è quello di sedersi all’ultima tavola, quella di chi soffre di disturbi dell'alimentazione, per rendersi conto di cosa significhi sentirsi affamati d’amore.

Una narrazione rispettosa e garbata, mai patetica, che non rinnega l’importanza di un’alimentazione corretta, secondo quanto sostenuto dalla comunità scientifica, ma che non si ferma alle evidenze e suggerisce un’indagine più profonda, rimettendo al centro la persona che soffre. “Io la mia cura l’ho trovata nel teatro, la dimensione giusta per le mie emozioni, che erano sempre troppo grandi per i contesti sociali. Ero sempre sbagliata con la mia bulimia di amore” racconta la conduttrice tv, che è riuscita a colmare quel bisogno dopo la gravidanza della primogenita Jolanda, che “si è insediata in una pancia disastrata e ha aggiustato un po’ tutte le cose”. “Di sentimenti si ha un disperato bisogno, ma abbiamo bisogno anche di sistemarli. Chi si ammala li ha un po’ più grandi perché il sentimento è qualcosa di enorme — spiega —. Quando io mi sono ammalata e sono arrivata ad un livello di depressione importante, non c’era neanche un nome per questi disturbi. Ricordo che una volta in bagno trovai un post-it che mi aveva lasciato mia madre – l’aveva attaccato all’altezza del gabinetto perché lo vedessi – e mi aveva scritto che qualsiasi cosa avessi fatto mi avrebbe sempre amato. Una frase semplice, scritta da una persona che mi amava nonostante tutto, e che aveva provato a immedesimarsi nel mio disagio, piegandosi per attaccare quel biglietto. Io non sono un medico, sono solo una che ci è passata, ma ho capito che spesso ai nostri figli chiediamo di essere come vogliamo noi, ma l’amore è una casa dove si sta anche quando non ci piacciamo tanto. E che abbiamo bisogno di quelle che io chiamo ‘tracce d’amore’. La somma di biglietti come quello che mi lasciò mia madre può creare un dialogo che funziona. Se in ogni luogo chiedessimo ad un ragazzo di lasciare tracce d’amore, quel luogo lo vedremmo pieno di sentimenti e di noi”.

Ed è quello che Ambra e i volontari di Animenta, associazione no-profit volta alla sensibilizzazione e supporto dei disturbi alimentari, fanno nei loro laboratori con i pazienti. “I post-it non sono solo carta. È la nostra verità lasciata come un’eredità positiva. Quando ho fatto un corso di volontaria all'Ospedale civile di Brescia mi è stato detto: non si entra mai nella stanza di chi sta affrontando il male, ci si ferma sulla soglia, si guarda il letto, che è il suo mondo, e si aspetta che venga concesso il permesso di entrare. Ai genitori dico: proviamo a non dare ordini. ‘Esci, mangia, fai’. Quelli sono solo comandi. I disturbi alimentari non hanno a che fare con la mancanza di volontà. Proviamo a fermarci sulla soglia per capire qual è la ‘tavola finale dei nostri figli’. Per capire se, a poco a poco, possiamo arrivare dove stanno male. Chi si ammala fa un percorso difficile e quando arriva nei centri pesa pochissimo perché sente che la propria vita vale poco. Sono persone che stanno scomparendo – a quello stadio il rischio di mortalità è alto –, noi cerchiamo di trasformare le loro ferite in finestre dalle quali tornare a vedere l’alba”.

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Ambra Angiolini e le sue "tracce d’amore", insieme al team che ha collaborato alla realizzazione della campagna di sensibilizzazione.

Alla realizzazione del progetto ha partecipato anche la figlia Jolanda, che nonostante i suoi 20 anni tocca con maturità le corde giuste, invitando a combattere l’indifferenza: “Non sapevo che mamma avesse sofferto di Dca, l’ho scoperto dal suo libro. Quando non conosciamo qualcosa tendiamo a ignorarla, ma poi scopriamo che ci riguarda da vicino. Chiudere gli occhi e ignorare gli altri è sbagliato. Prima di arrivare a questo punto si può cercare di aprire la testa e il cuore perché riguarda sempre tutti. Un abbraccio, una parola gentile, un momento dedicato possono fare tanto. Grazie a voi che siete venuti qui non per giudicare, ma per capire”.

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