È ormai un dato di fatto: stiamo per assistere al più grande trasferimento di ricchezza nelle mani delle donne che la storia ricordi. Una svolta potenzialmente rivoluzionaria della quale non c’è (ancora) percezione nell’opinione pubblica, ma con numeri da capogiro: secondo un rapporto McKinsey del 2020 solo negli Stati Uniti passerebbero in mani femminili 30.000 miliardi di dollari entro il 2030. Il Centre for Economics and Business Research (Cebr) britannico è ancora più ottimista per quel che riguarda le tempistiche, e stima che da qui al 2025 il 60% della ricchezza del Regno Unito sarà appannaggio delle donne e, in generale, la stessa percentuale riguarderà l’intero Vecchio continente. E l’Italia è già quarta nel mondo e seconda in Europa per numero di miliardarie donne. Non è un caso dunque, come ha sottolineato Gillian Hepburn, a capo delle Uk intermediary solutions di Schroders, che negli Stati Uniti, le donne siano state identificate come il segmento in più rapida crescita per i servizi finanziari.

"Anche grazie a studi come quello di McKinsey poi ripresi da Forbes e Washington Post, abbiamo iniziato a osservare meglio il fenomeno del 'grande trasferimento di ricchezza'", spiega Alberica Brivio Sforza, Managing Director Lombard Odier Group, "che avviene per un motivo puramente demografico: il grosso della ricchezza mondiale è nelle mani dei baby boomer (i nati tra il 1944 e il 1964), oggi come minimo sessantenni. Parliamo dunque di un fenomeno a brevissimo termine, che arriverà a compimento tra 5-10 anni. L’aspetto peculiare del passaggio generazionale in corso è che un’ampia quota di questa ricchezza passerà in mani femminili, perché le mogli tendono ad essere più giovani dei mariti, e con un’aspettativa di vita più lunga. Non solo: ci sono anche le figlie femmine avute dai baby boomer, il cui numero è maggiore rispetto ai maschi. Oggi, poi, siamo in un contesto culturale in cui le donne sono in grado di prendersi cura del patrimonio e vengono incluse negli assetti ereditari, mentre la storia ci insegna che in tempi nemmeno troppo lontani o si sposavano o andavano a fare le suore. In più, le donne giovani sono preparate, maggiormente in grado a prendere le redini di un’azienda, di un patrimonio".

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Edward Berthelot//Getty Images

Già nel 2021 lo studio "Il valore della donna investitrice: il contributo della consulenza finanziaria per superare gli stereotipi di genere" realizzato da Candriam (multi-specialista europeo della gestione patrimoniale con focus su investimenti sostenibili e responsabili) e Aipb (Associazione Italiana Private Banking) con Ipsos, ha messo in luce il crescente ruolo decisionale delle donne in finanza, tracciandone un preciso identikit. Donne che possono contribuire a innescare un circolo virtuoso di rilancio economico e riduzione del gap di genere. "Lo studio, che vorremmo ripetere a breve", spiega Antonella Massari, Segretario generale Aipb, "è focalizzato su un campione rappresentativo di donne di 'alto profilo', ovvero attive, con elevato standing professionale e un patrimonio finanziario personale di almeno 250.000 euro. Il private banking si occupa di una clientela che idealmente ha almeno 500.000 euro da investire, ma per trovare donne in numero sufficiente per la nostra indagine siamo dovuti scendere a 250.000. Le donne di questo segmento sono solo 60mila, equivalenti allo 0,2% della popolazione femminile, mentre nella popolazione maschile, gli investitori di alto profilo arrivano all’1%, cinque volte tanto. Qual è la principale novità emersa? Secondo me il fatto che il decisore finanziario donna tra il 2012 e il 2022 sia passato dal 13% al 26%: questo significa che il fenomeno è in corso e se la percentuale continuasse a raddoppiarsi ogni 10 anni a breve avremo veramente un 50% di donne che decidono, ovvero una certa parità". Dallo studio di Aipb emerge anche che per le donne di “alto profilo” la sicurezza - con un peso del 50% contro il 18% degli uomini - è un valore che si lega alla progettualità sul futuro, per cui tendono a investire il 60% delle proprie risorse in progetti di medio-lungo termine e funzionali a progetti di vita.

Che cosa potrebbe significare più denaro nelle mani delle donne, che sembrano avere preferenze pro-sociali più forti rispetto agli uomini? Uno studio condotto da un team di neuroscienziati tedeschi, svizzeri e olandesi e pubblicato da Nature Human Behaviour ha rilevato che la dopamina, l’ormone del benessere, aumenta nel cervello delle donne quando condividono il denaro della ricompensa, mentre aumenta per gli uomini quando lo tengono per sé. Un altruismo che quale che siano le sue ragioni - innate secondo questa ricerca, frutto delle pressioni sociali secondo altre teorie - potrebbe davvero influenzare positivamente il mondo. Anzi, già lo fa, come testimonia Alberica Brivio Sforza: "Mi ha colpito il fatto che le donne quando investono abbiano questo approccio più generoso, più improntato alla sostenibilità. Si aspettano un certo rendimento economico ma vogliono che il loro denaro migliori il mondo in cui viviamo. Pensano molto di più al futuro e al mondo che lasceremo ai nostri figli. Come Lombard Odier siamo molto avanti su questo tema, avendo iniziato a investire nella sostenibilità già nel 1997 quando nessuno ancora ne parlava e oggi siamo consapevoli del fatto che la transizione sostenibile - che si declina in climatica, sociale, naturale - sia qualcosa di enorme, paragonabile a una nuova rivoluzione industriale".

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Questo passaggio della ricchezza nelle mani delle donne, dunque, riuscirà a generare impatti virtuosi sulla società e sul mondo e saranno tangibili per tutti? "Il trend è già iniziato, vediamo molte più donne a capo di aziende e i numeri ce lo dimostrano: anch’io inizio ad avere un 25% di clienti donne che dieci anni fa non avevo. Sarà un passaggio che porterà auspicabilmente a un circolo virtuoso sul lato della filantropia, ci saranno finalmente più donne nelle stanze dei bottoni, il soffitto di cristallo sarà un po’ meno difficile da bucare. Avere denaro vuol dire potere, sedersi laddove si prendono le decisioni, che siano governative, finanziarie, aziendali, sociali, per cui io credo che questa sia per la prima volta l’opportunità di riequilibrare un po’ le cose. Le donne che entrano in possesso di grossi mezzi finanziari e dunque di potere dovranno usarlo per aiutare tutte le altre. Dal canto nostro come Lombard Odier nel 2018 abbiamo fondato il Women’s Club: l’obiettivo è quello di arrivare al 2030 con almeno il 30% delle posizioni di comando in mani femminili. In pratica si tratta di un comitato di donne, una sorta di mentoring che aiuta le più giovani a capire come fare carriera, come fare a rimanere in questo settore pur avendo figli e impegni a casa, aumentandone l’awareness. Tra l’altro, il numero di donne clienti aumenterà considerevolmente e il numero di consulenti finanziari al femminile è molto limitato ad oggi, Mentre invece, secondo me, il mondo della gestione finanziaria è il più adatto di tutti alle donne: è un settore della finanza in cui si può bilanciare una vita personale con dei figli e un lavoro comunque impegnativo, remunerativo e interessante. Quindi un’opportunità da segnalare alle giovani - un po’ come le materie Stem - che ancora in poche hanno colto".

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Ottimista con cautela è Azzurra Rinaldi, economista femminista, docente di Economia Politica presso l’Università Unitelma Sapienza di Roma, dove è anche Direttrice della School of Gender Economics: "Stiamo parlando di poche persone che detengono grandi ricchezze. Non siamo di fronte a un auspicatissimo cambiamento culturale, per cui le donne si producono il reddito e diventano ricche. No, si tratta di una questione generazionale, per cui queste grosse eredità passano alle figlie femmine o alle vedove che sopravvivono ai mariti. È vero che c’è una tendenza, che è comunque positiva, perché la quota di ricchezza detenuta dalle donne sta aumentando velocemente. È vero anche che comunque il 70% della ricchezza è ancora saldamente nelle mani degli uomini, nonostante le donne siano oltre il 50% della popolazione mondiale". Anche Rinaldi conferma la propensione femminile a usare il denaro in maniera diversa rispetto agli uomini: "È vero che le donne hanno una prospettiva che riguarda maggiormente la collettività, e quindi quello che possiamo aspettarci è un impatto positivo. Lo vediamo anche con le donne povere destinatarie di microcredito: il loro impatto è molto più legato alla comunità rispetto ai redditi che vengono prodotti dagli uomini. È vero anche il possibile impatto positivo sulla sostenibilità: per esempio, dai dati del penultimo rapporto Uniocamera sulle imprenditrici italiane sappiamo che le donne investono di più su titoli verdi e titoli legati alla sicurezza alimentare".

C’è però un ma, una prospettiva che non entusiasma Rinaldi: "Quello che vorrei è che le donne fossero libere di produrselo questo reddito e che riuscissimo a rosicchiare una quota maggiore di ricchezza mondiale perché riusciamo ad essere protagoniste delle nostre vite, anche economiche senza aspettare che muoia qualcuno di caro. Se le donne fossero messe in condizione di produrre più denaro vinceremmo tutti, oltre che tutte, e il Paese sarebbe più ricco". Il più grande discrimine nella produzione di ricchezza secondo l’economista è la genitorialità: "I dati ci dicono che in Italia il differenziale occupazionale tra uomini e donne è del 17%, ma in presenza di un figlio sotto i sei anni, quindi prima dell’età della scuola dell’obbligo, arriva a 34, quindi se io dovessi pensare ad una strategia per cui le donne possano accumulare una ricchezza prodotta da loro, interverrei sulla genitorialità. Più denaro nelle mani delle donne in generale cambierebbe tutto: la nuova consapevolezza sui consumi green per esempio deriva gran parte dalle consumatrici donne. McKinsey ci dice che dovendo scegliere un solo fattore potenziale di crescita punterebbe sul capitale umano femminile e noi le lasciamo a casa a causa dello stereotipo".

Eppure, gli stereotipi resistono e frenano quella che potrebbe essere davvero una grande rivoluzione. Per scardinarne uno particolarmente radicato Azzurra Rinaldi nel 2023 ha scritto Le signore non parlano di soldi. Quanto ci costa la disparità di genere? (Fabbri), mentre poche settimane fa è uscito il suo nuovo libro, su un tema altrettanto spinoso, Come chiedere l’aumento. Strategie e pratiche per darti il giusto valore (Rizzoli). Due vademecum che sottolineano quanto ancora nella nostra società il canone di adeguatezza della femminilità preveda che la donna non mostri segni di potere. E il denaro è potere. Quindi, conclude Rinaldi. "Aiutare le donne a capire come parlare di soldi secondo me è il fondamentale atto di empowerment". Da qui, poi, può partire tutto il resto.

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