Il volto delle cose che prima o poi arriveranno nella nostra vita, ce lo dà chi le ha vissute prima di noi. La menopausa, nel mio caso, non ha una bella faccia. Le donne della mia famiglia l'hanno maledetta in tutte le lingue del mondo, più altre sconosciute. Perché è toccato loro tutto il repertorio: vampate, insonnia, secchezza vaginale, sbalzi d'umore, fame nervosa, lacrime. Una spera di essere l'eccezione, ma rimane una speranza coadiuvata da preghiere, perché di informarmi sulla percentuale di probabilità che ciò che in questo campo è toccato a tua madre toccherà anche a te, non ho alcuna intenzione. Quando, un anno fa, durante la visita ginecologica di controllo, la dottoressa m'ha detto che "siamo ancora lontane", ho accantonato l'argomento. Poi è vero che soffrendo tantissimo durante il ciclo mestruale, ogni tanto la invoco, ma i momenti di scarsa lucidità non vengono conteggiati, io credo, nelle invocazioni quelle vere. Ma c'è una cosa implacabile che ci ricorda che il tempo passa, pure se lo stile di vita ci dice che non siamo tanto cambiate rispetto a vent'anni fa, e questa cosa sono le conversazioni con le amiche. Che scandiscono con esattezza millimetrica le varie fasi della vita. Vent'anni fa parlavamo di cambiare città, di che facoltà scegliere, di mettersi con uno e fare sul serio, di uscire, e poi di uscire, e di dove andare quando alla fine si usciva. Poi abbiamo cominciato o a lasciarci soffrendo o a lasciarci godendo, a convivere, a fare viaggi importanti, a sposarci, fare carriera, finire in burnout, cadere in depressione, volerci sempre più bene, continuare ad uscire, fare le vacanze solo ragazze, e poi rimanere incinte, sposarsi, separarsi. Abbiamo iniziato a scambiarci nomi di specialisti bravi, e vai da quel dermatologo, e non andare da quel gastroenterologo, nomi di psicologi e di maestri di tennis.
Poi abbiamo cominciato a pensare alla menopausa. In modo diversi. Non ho amiche in menopausa, ma ho amiche che raccontano di quella collega "che mentre ti parla, si alza all'improvviso e si spoglia. Apre le finestre, sbuffa, si ferma. Dice che le sale il sangue alla testa e va in tilt, come una centralina rotta che non risponde ai comandi. Racconta che quando le vampate arrivano è come bruciare. Di notte si alza dal letto tra le lenzuola fradice e si deve fare una doccia. Anche più volte a notte". E poi c'è il team Naomi Watts, 55 anni, che lo scorso anno ha scritto: “Perché la parola menopausa spaventa? È solo una fase naturale della vita, che riguarda circa metà della popolazione e che, indirettamente, coinvolge l’altra metà. Quando avevo quasi 30 anni ero finalmente pronta per iniziare a pensare di creare una famiglia, ma la parola “menopausa” ha fatto saltare i miei piani. Ero in anticipo rispetto alle mie coetanee, ma nessuno sembrava disposto a parlarne. Anche i medici avevano poco da dire. È come un codice non scritto di silenzio: le donne dovrebbero farcela da sole basta, perché è così che lo hanno fatto le generazioni precedenti. Per fortuna i tempi sono cambiati. Penso che sia giunto il momento di parlarne. Invecchiare è un privilegio e un momento in cui possiamo sentirci orgogliose delle nostre esperienze, senza vergogna. Credo che far parte di una generazione capace di cambiare le cose sia emozionante. E non dobbiamo più affrontare tutto questo da sole. Non dobbiamo vergognarci di essere in menopausa. La menopausa non è la fine”. Sono tante le celebrities, soprattutto oltreoceano, che da Watts in poi hanno iniziato a scardinare i tabù legati alla menopausa, con conseguente senso di vergogna, paura di parlarne, perimenopausa, dubbi, timore di non essere più apprezzate. Michelle Obama, Gwyneth Paltrow, Drew Barrymore e l’ex calciatrice Abby Wambach lo hanno fatto. E anche in Italia inizia a muoversi qualcosa: a maggio 2023 Paola Barale ha pubblicato il libro Non è poi la fine del mondo, nel quale racconta la sua menopausa e anche Martina Colombari ne ha parlato in un video piuttosto apprezzato qualche tempo fa. Parlarne, ovviamente, non significa negare che i sintomi legati alla menopausa possano essere debilitanti. Soprattutto sul posto di lavoro.
Secondo uno studio britannico il 69% sperimenta ansia e depressione, l’84% soffre di insonnia, il 73% sente la mente annebbiata. Così una lavoratrice su 10 lascia il posto di lavoro (circa 333.000 donne secondo Fawcett Society), mentre il 14% ha riduce l'orario e passa al part time. Spesso, tra l'altro, questo avviene in una fase in cui le donne hanno finalmente raggiunto livelli alti nella loro carriera. In Italia una ricerca di Essity su un campione di 500 donne in menopausa o in post menopausa, mostra che il 71% è impiegato durante questa fase della vita (45% full-time, 26% part-time). Questo significa che gli ambienti lavorativi dovrebbero tenere conto di questa condizione magari prevedendo dei permessi retribuiti in modo da non spingere le donne a lasciare il lavoro. Ad esempio, come racconta il New York Times, in Gran Bretagna, alcuni luoghi di lavoro hanno pensato a ventilatori da scrivania per le donne con sintomi della menopausa, uniformi che consentano una maggiore traspirazione, ma anche cambi di turno, pause e lavoro flessibile da casa.
Ma molte lavoratrici affermano di non avere programmi e attenzioni di questo genere da parte del datore di lavoro e di non avere altra scelta se non quella di abbandonare il proprio posto. Nel marzo 2016, racconta in un lungo reportage BBC, Madhu Kapoor ha deciso di dimettersi dal suo incarico nel dipartimento governativo britannico dove aveva lavorato per 23 anni. "Ho amato quello che ho fatto, ed ero leale e impegnata", ha detto la 58enne, del nord di Londra. "Ma non stavo più riuscendo a gestire la la situazione e ho pensato che la cosa migliore da fare fosse andarmene." Madre di due figli aveva circa 45 anni quando iniziò a manifestare per la prima volta i sintomi della perimenopausa. Soffriva di sudorazioni notturne, palpitazioni cardiache ed emicrania che la lasciavano debole e letargica. Faceva fatica a concentrarsi sul lavoro e aveva paura di partecipare alle riunioni periodiche che facevano parte del suo lavoro di specialista del reclutamento. "Ho perso tutta la mia fiducia. Pensavo di non essere brava in niente", dice. Ma quando ha condiviso come si sentiva con il suo gruppo dirigente, dice di non aver ricevuto la rassicurazione o il sostegno emotivo che stava cercando. Circa sei mesi dopo quella conversazione, decise di licenziarsi. Sebbene la sua famiglia fosse scioccata, sentiva di non avere scelta. "Non sapevo a chi rivolgermi".
Il tema della menopausa sta diventando meno tabù in alcuni paesi, poiché campagne di base come Menopause Mandate e Let's Talk Menopause aiutano ad abbattere lo stigma e creare consapevolezza. Tuttavia, dicono gli esperti, il suo impatto professionale sulle donne (e su chiunque sia in menopausa) rimane in gran parte irrisolto. In un sondaggio della fine del 2023, un'azienda che fornisce prodotti e servizi sanitari sul posto di lavoro del Regno Unito, SimplyHealth, ha intervistato più di 2.000 donne lavoratrici di età compresa tra 40 e 60 anni. Il 23% ha preso in considerazione l'ipotesi di dimettersi a causa dell'impatto della menopausa e il 14% ha affermato che stava pianificando di licenziarsi. E se il problema resta irrisolto, potrebbe avere un impatto su milioni di lavoratrici che prendono quella stessa decisione di andarsene. Inoltre, anche per le lavoratrici che non lasciano il lavoro, il costo finanziario dei giorni di malattia, delle ferie non retribuite e delle opportunità mancate a causa della menopausa diventa astronomico. I ricercatori della Mayo Clinic stimano che le perdite delle donne ammontino a 1,8 miliardi di dollari all’anno solo negli Stati Uniti. Alcuni datori di lavoro hanno notato l’urgente necessità di sostenere queste lavoratrici, molte delle quali ricoprono posizioni di leadership, e hanno introdotto programmi di sostegno specifici per la menopausa. Eppure gli esperti dicono che il cambiamento deve avvenire più velocemente, altrimenti altri milioni di lavoratrici come Kapoor potrebbero ritenere di non avere altra alternativa se non quella di licenziarsi. Secondo la Facoltà di Medicina del Lavoro di Londra, quasi otto donne su dieci entrano in menopausa mentre sono ancora al lavoro. La maggior parte di esse tra i 40 e i 58 anni, con la fase di transizione in cui gli ormoni iniziano a fluttuare – chiamata “perimenopausa” – che dura fino a otto anni. Tre quarti di loro avvertiranno almeno alcuni degli effetti come sudorazione notturna, affaticamento, mal di testa, dolori articolari e ansia, che sono i più comuni tra i 34 sintomi riconosciuti dal punto di vista medico. E per il 25% delle persone questi sintomi erano debilitanti, con un impatto significativo sulla loro vita quotidiana. Nonostante la diffusione del problema, le lavoratrici in menopausa riferiscono di sentirsi raramente supportate. Tamsen Fadal, giornalista, autrice e attivista per ill sostegno alla menopausa residente negli Stati Uniti, ritiene che il numero di donne che si sentono costrette a smettere a causa della menopausa sia sotto documentato e sottostimato. "Dobbiamo chiederci, quando le donne lasciano il posto di lavoro a questa età, quante di loro non parlano del perché. Questo è il vero problema." Il fatto che molti team dirigenziali rimangano dominati dagli uomini contribuisce alla decisione di rimanere in silenzio sul posto di lavoro. Dato che gli uomini occupano ancora la maggioranza delle posizioni di leadership nella maggior parte dei settori, può esserci una mancanza di comprensione o empatia nei confronti della menopausa come problema sanitario critico. Alcune aziende stanno lavorando per cambiare, ripensando le loro suite di benefit per contribuire a fornire sistemazioni e programmi migliori per le donne in menopausa. Adobe, Bank of America e Bristol Myers Squibb sono tra i pochi grandi datori di lavoro globali che ora offrono vantaggi specifici per la menopausa, come l’accesso a consulenze mediche specialistiche private, congedi retribuiti e terapia ormonale sostitutiva (HRT) coperti da piani di assicurazione sanitaria. Anche le aziende più piccole stanno cominciando a comprendere l’importanza di questi programmi e ad adottare approcci simili. Tuttavia, c’è ancora molto lavoro da fare. Alcuni luoghi di lavoro sono proattivi nel fornire supporto, ma altri non credono che sia necessario oppure non sanno da dove cominciare. In Italia attualmente solo il 6% delle donne ha dichiarato di poter usufruire di permessi specifici per i disturbi legati alla menopausa e di questi solo il 3% è retribuito. Di conseguenza il 13% ha raccontato di aver dovuto prendersi dei giorni di ferie a causa dei disagi collegati alla menopausa. Rachel Grocott, CEO dell’organizzazione benefica per l’equità mestruale Bloody Good Period, ha commentato: “Questi dati sull’impatto dei sintomi mestruali e della menopausa sul posto di lavoro sono scioccanti ma purtroppo non sorprendenti. Sentiamo continuamente di come il dolore e altri sintomi, una cultura del presenzialismo e una mancanza di istruzione per tutti, di tutti i sessi, sia sul ciclo mestruale che sulla menopausa, abbiano un impatto reale sulle persone che lavorano. I datori di lavoro dovrebbero adottare un approccio globale alle politiche, alla cultura e alla comunicazione sul posto di lavoro, per garantire che i bisogni delle donne e delle persone che hanno il ciclo mestruale e che sperimentano la menopausa siano adeguatamente supportati. Ciò include lo sviluppo delle conoscenze di tutti, il dialogo aperto e l’apporto di modifiche, ad esempio fornendo prodotti per il ciclo, mettendo in conto la necessità per le donne di pause e di tempi di riposo e considerandoli requisiti basilari".