Le concatenazioni di eventi sono frustranti, per il loro schematismo prossimo all'ineluttabile, ma spiegano molto bene certi fenomeni sociali. Succede, per esempio, questo: riuscire a laurearsi, seppure con le dovute differenze tra facoltà, richiede tempo, oltre che mezzi (sempre di più, ve lo avevamo raccontato qui). Se si è donne, e qualora si desiderasse fare figli, quel tempo in più dedicato allo studio fa tendenzialmente slittare avanti il momento in cui cominciare a pensare in concreto ad una gravidanza. Non solo, perché a questo si deve aggiungere anche il tempo che occorre per trovare un lavoro, o meglio: un lavoro che consenta di mantenere non solo sé stessi ma anche un bambino. E i costi, com'è noto, sono pesanti. Intanto, a spanne, s'è arrivate intorno ai trent'anni o più, che da noi le donne italiane fanno il primo figlio, mediamente, a 32 anni. E gli uomini intorno ai 35. E allora ci si ferma spesso lì, al figlio unico, ma se si raddoppia, o si arriva addirittura a tre o più, scatta un altro meccanismo. Che, avrete già intuito, è il fatto che la donna lasci il lavoro per accudire la prole. Perché il welfare italiano in tema di aiuti alle famiglie è ancora fragile, nonostante l'attuale governo abbia promesso, con la manovra economica del 2024, di irrobustirlo. Quello che il premier Giorgia Meloni dice starle particolarmente a cuore è voler "smentire il racconto che l'incentivo alla natalità è un disincentivo al lavoro delle donne".

In realtà il racconto non è un racconto, ma sono dati inconfutabili. Nel 2022 il divario di occupazione tra uomini e donne si è attestato al 17,5%, ma le cose cambiano in presenza di figli minori. Nella fascia di età 25-54 anni se c’è un figlio minore, il tasso di occupazione per le mamme si ferma al 63%, contro il 90,4% di quello dei papà. Con due figli minori l'occupazione femminile scende addirittura al 56,1%, mentre crescono i padri che lavorano (90,8%), con un divario arriva a 34 punti percentuali. Il congedo di paternità, poi, è fermo a 10 giorni e il lavoro di cura continua a gravare sulle spalle delle mamme. Le donne devono ancora scegliere tra famiglia e carriera ed è stato per queste ragioni che il 2022 ha visto il minimo storico delle nascite in Italia: 392.598 registrazioni all’anagrafe. Significa, senza dover ricorrere a particolari abilità matematiche, che quasi la metà delle genitrici italiane è disoccupata. Quante per scelta, difficile dirlo. E poi succede, a quelle stesse madri che non mollano il colpo e si spaccano per tenere tutto assieme, che, per esempio, in Italia tre bambini su quattro non abbiano accesso agli asili perché non ci sono, ma toccasse la grazie di entrare al nido, per molte occorrerà anche assumere una persona che la vada a prendere e che stia con lui finché non si torna a casa. Si riprende a lavorare per avere uno stipendio che serva a pagare persone che ti permettano di lavorare. Per molte non ne vale la pena. Tuttavia, tornando alle concatenazioni di eventi, gli ultimi dati Eurostat relativi al tasso di occupazione femminile nel 2022, dicono che le donne italiane laureate sono quelle che lavorano di più (e hanno, probabilmente, meno figli) mentre quelle con un livello di istruzione più basso (che avendo abbandonato prima gli studi hanno anche fatto prima i figli) sono per il quasi 60% disoccupate. Non si sa, tuttavia, se per scelta o per necessità.

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La fotografia che emerge dalle tabelle Eurostat sull'occupazione delle donne conferma i dati pubblicati da Save The Children nel suo report annuale sulla maternità intitolato Le Equilibriste - La maternità in Italia 2023, dove si leggeva come che nel nostro Paese lavori il 62% delle donne tra i 25 e i 54 anni, con una percentuale che sale al 64,7% per le donne senza figli e crolla al 40,9% per quelle con tre o più figli. Nel rapporto tra donne e occupazione, aggiunge oggi Eurostat, più del numero di componenti della famiglia conta però il livello di istruzione delle madri. Tra coloro che hanno un solo figlio lavora il 62,6%, con oscillazioni che vanno dall’82,9% delle laureate ad appena il 42,7% di quelle con la terza media. Il tasso di occupazione complessivo tra i 25 e i 54 anni cala al 58,3% con due figli ma scende in modo significativo con tre o più arrivando al 40,9%. Nel caso di mamme di tre o più bambini laureate (ma sono pochine), ad esempio, lavora il 77,6% di quelle che hanno tra i 25 e i 54 anni, mentre la percentuale letteralmente affonda al 21,3% se si considerano solo quelle con la terza media. Se poi l'ultimo figlio ha meno di 6 anni è occupato il 73,3% delle donne con in tasca una laurea e appena il 16,7% di quelle che si sono fermate al titolo di scuola medie.

Il tasso di occupazione più alto, pari al 79,2%, riguarda, ovviamente, tutte coloro che, nello stesso range d’età, non hanno figli e sono anche laureate. Un dato che non sorprende, purtroppo, dato appunto che è assodata la correlazione tra la mancata carriera di una donna in virtù della famiglia. Ma anche quel dato in apparenze positivo del quasi 80% di laureate con lavoro, va visto in ottica europea. Che lo ridimensiona non poco. La nostra, infatti, è una percentuale di 8,6 punti inferiore alla media europea, che arriva fino all'87,8%. Una distanza ancora maggiore tra noi e l'Europa, riguarda le donne senza figli e con solo la terza media che lavorano nel 44,7% dei casi, a fronte del 56,2% in Ue. In pratica, pur in un panorama che penalizza le mamme lavoratrici, la vera discriminante sembra proprio essere il livello di istruzione. I numeri confermano, in sostanza, che dopo la maternità si rinuncia al lavoro più spesso a fronte di lavori meno pagati, perché accessibili con titoli di studio più bassi, mentre si mantiene nella gran parte dei casi il lavoro nel caso di attività più qualificate e probabilmente (anche se non è detto, ma questo meriterebbe un approfondimento a parte) meglio retribuite, in grado di coprire l'eventuale ricorso a babysitter o aiuti in casa. E per tornare di nuovo agli schemi di causa-effetto, le difficoltà economiche, sono la prima motivazione a non fare figli, secondo un'indagine di Community Research. Ma se i figli ci sono, e i soldi non sono tantissimi perché, appunto, si guadagna poco perché si fa un lavoro mal pagato, la soluzione è abbattere i costi di mantenimento dei bambini rimanendo a casa ed evitando così, rette di asili e scuole materne. Ma non è così in modo omogeneo in tutto lo Stivale. Nelle regioni dove più efficienti sono gli strumenti di conciliazione tra lavoro e famiglia, da un lato chi ha lavoro sceglie maggiormente di avere un figlio, dall’altro chi ha un figlio maggiormente si offre nel mercato del lavoro. E allora sì che la concatenazione di eventi diventa virtuosa.

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