Oggi è un giorno di lutto e dolore? Si piange la sorte di tutte le donne e le ragazze assassinate dai loro stupratori occasionali o fidanzati feroci o mariti deposti? No, abbiamo smesso di piangere da un pezzo. Abbiamo incominciato ad agire e reagire. Agire come? Raccogliendo soldi.
L’esempio più ardimentoso e solido è quello della fondazione Una nessuna centomila, presieduta da Giulia Minoli. È nata all’indomani di un grande concerto che ha visto sul palco, a titolo gratuito, tutte le cantanti italiane più famose: Giorgia, Emma Marrone, Gianna Nannini, Laura Pausini, Elisa, Fiorella Mannoia... Sono stati raccolti due milioni di euro abbondanti. E sono stati distribuiti fra i centri antiviolenza, privilegiando il sud, dove la percentuale di donne che lavorano è più bassa e quindi la dipendenza economica dal maschio violento più pesante (mi preme dirvi che nel maggio 2024 il grande concerto si rifarà, questa volta all’Arena di Verona. Io ci andrò). Anche l’anteprima del film C’è ancora domani, di e con Paola Cortellesi, ha fruttato i suoi bei 30.000 euro: per volontà della stessa attrice-regista s’è fatta un'anteprima a pagamento (dai 25 euro in su il biglietto).
Le cose stanno andando così: si fa cassa con il proprio talento. E si aiutano le altre a difendersi. Credete che una donna non se ne accorga d’aver sposato l’uomo sbagliato? In genere lo sa perfettamente e vorrebbe andarsene, ma non può perché non ha un lavoro o ha un lavoro sottopagato. I femminicidi si combattono con i soldi, credetemi, anche se non è chic: con i soldi, non con le lacrime, anche se spesso le lacrime sono inevitabili. Ci sono le case rifugio da finanziare: devono diventare luoghi gradevoli, dove ciascuna ha il suo spazio e c’è qualcosa di bello da guardare, per non sentirsi povere come si sentono le vittime. Ci sono progetti da finanziare per prevenire delitti spesso annunciati, ma mai evitati. Sono molti i personaggi del mondo della cultura che hanno messo a disposizione nome e impegno: da Anna Foglietta a Ornella Vanoni, da Paola Turci a Claudia Gerini.
Mi piace l’idea che non si debba più combattere con la burocrazia, i bandi, i giochi di alleanze e opposizioni. Mi piace che non ci si debba più sfinire nelle attese, quei tremila giorni inconcludenti cui ti obbliga ogni percorso istituzionale. Mi piace la certezza dell’onestà di tutte. Mi piace che le donne più fortunate vadano in soccorso alle donne più sfortunate. Mi piace pensare che quello di Una nessuna centomila rappresenti il modo femminile di fare politica: guardare con attenzione, vedere dove si annida la sofferenza, la paura, costruire solide barricate di soldi, di leggi, di infrastrutture... e aiutare, empatiche e concrete come sappiamo essere noi.
Sono molte le cose che si possono fare. Per esempio aprire una sartoria, farsi regalare stoffe pregiate da gente come Gucci, e tagliarle, cucirle, lavorarle, quelle che sanno con quelle che imparano. E poi presentarsi sul mercato. Forti di un raffinato lavoro artigiano. Con un guadagno vero, non assistenziale. Ma, soprattutto, con una gratificazione che cancelli un po’ dell’autosvalutazione prodotta dall’aver subito il disprezzo del proprio compagno. Perché quando riesci a lasciare l’uomo che ti picchiava o ti umiliava o ti perseguitava, non è la fine di una storia d’amore. È l’inizio di una vita nuova.