Anno 1158, Inghilterra. Marie, sgraziata e imponente sul suo cavallo, arriva al convento dove sarà rinchiusa. Ha 17 anni. La sua rabbia disperata si trasformerà in ambizione, il luogo dell’odiato esilio diventerà – sotto la sua guida – un regno prosperoso. Un’isola di sole donne. Ispirato alla figura storica di Marie de France, personaggio dai contorni sfocati, poetessa, probabilmente badessa, è uscito in Italia Matrix (Bompiani), il nuovo romanzo della scrittrice statunitense Lauren Groff. Una storia potente, sostenuta da una lingua ricchissima, il racconto di una specie di utopia separatista femminista – gli uomini tagliati fuori, le donne al comando – la cui protagonista, imperfetta e complessa, sembra consegnarci inevitabilmente alcune domande.

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Edward Berthelot//Getty Images

Come sarebbe il mondo, se fosse delle donne? Guerre, pandemie, riscaldamento globale: il matriarcato ci potrebbe salvare?

«Vorrei che fosse così, ma temo di no», dice Lauren Groff. «Le donne sono state educate a dare valore a ciò che gli uomini apprezzano. E siamo umane, con difetti, ambizioni, come gli uomini, quindi non c’è motivo di credere che un’utopia separatista ci salverebbe. Tuttavia ci sarebbe un’assistenza sanitaria migliore, e quindi la vita potrebbe essere un po’ migliore». Alcune cose cambierebbero, insomma – l’organizzazione dei tempi e delle mansioni, tanto per dirne una – ma altre no. «Penso spesso», puntualizza l’autrice, «che coloro che cercano per tutta la vita di sovvertire le strutture di potere oppressive tendano, una volta raggiunto il potere, a replicare quelle strutture di potere sugli altri, come fa Marie (senza riconoscerlo) nel mio libro». Come dire, con estremo realismo, che noi, alla fine, faremmo come loro. Forse un vero rinnovamento non è possibile altro che nelle storie dei romanzi? «Questa è una domanda tremendamente difficile», dice Groff. «Penso che il rinnovamento sia possibile. A questo punto, se l’umanità vuole durare, sarà necessario. Ho dei figli, e quindi la mia disperazione è un po’ meno forte della speranza che devo nutrire per poter vivere in un mondo con un futuro che si fa rapidamente più buio. La narrativa è un luogo in cui sperimentare il rinnovamento. E questa è una delle sue molte glorie».

Siamo state educate a dare valore a ciò che apprezzano gli uomini, quindi non c'è motivo di credere che l'utopia separatista funzionerebbe. Lauren Groff



Un mondo dove le femmine hanno il potere, e i maschi stanno sullo sfondo della storia. La natura, in questo senso, non ha preconcetti. «L’evoluzione premia chi riesce ad adattarsi meglio all’ambiente e a generare più discendenti. In questo senso è difficile dire chi sia “dominante” fra maschi e femmine: entrambi devono fare la loro parte per avere una prole e questa parte varia da specie a specie», spiega Barbara Gallavotti, biologa. Papà cavalluccio marino, ad esempio, accoglie in una tasca sul ventre le uova della femmina e le protegge fino alla schiusa. Invece la mantide religiosa se può, alla fine dell’accoppiamento, divora il maschio. Fra molti uccelli la cura della prole è equamente condivisa, mentre tra i mammiferi è soprattutto la madre a investire nell’allevamento. «Guardare alla natura è estremamente interessante», precisa Gallavotti, «ma non deve spingerci a trarre conclusioni sulla nostra specie, perché ogni essere vivente ha strategie di sopravvivenza uniche». Esistono esempi di matriarcato tra gli animali? «Ne esistono moltissimi», dice Gallavotti. Dalle formiche, alle orche, agli elefanti. E poi c’è il pesce pagliaccio, il Nemo di Walt Disney. «Vive in gruppi, formati da una femmina dominante e da un maschio con il quale la femmina si riproduce, oltre che da alcuni giovani maschi», spiega Gallavotti. «Se però la matriarca del gruppo muore, il maschio con cui si riproduceva va incontro a un cambiamento e diventa femmina. In effetti tutti i pesci pagliaccio nascono maschi, e diventano eventualmente femmina solo in seguito». Nemo suggerisce più di una riflessione su svariate questioni di genere, ma la scienza non può davvero aiutarci a sbrogliare le nostre questioni. «Purtroppo abbiamo continue evidenze del fatto che essere donna non impedisce di commettere crimini orrendi. Però le donne, in genere, sembrano essere più portate alla collaborazione e al raggiungimento del risultato, e meno alla competizione», spiega Gallavotti. Non è solo una questione di genere, ovviamente. Ma anche di modelli culturali: «Non sono gli uomini il problema, ma la celebrazione di una mascolinità inutile e fuori tempo. Comunque, visto che è così difficile raggiungere la parità, come minimo varrebbe la pena di fare la prova di invertire i ruoli».

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Courtesy of Press Office
Alcuni modelli della collezione P/E 2022 di Dries Van Noten.

Da qualche parte, in qualche tempo, qualcuno la prova l’ha fatta. «Testimonianze storiche e anche contemporanee di società matrilineari ci suggeriscono tutte la stessa impressione: se le donne occupano posizioni di autorevolezza e di prestigio la società assume dei tratti strutturalmente diversi, è più pacifica, il benessere collettivo è maggiore, l’organizzazione dei ruoli e del lavoro più efficiente»: Giorgia Serughetti, filosofa, spiega che il grande problema, a oggi, è la disuguaglianza tra generi nell’accesso alle risorse. E che, se facessimo noi le regole del gioco, ci sono molte probabilità che il sistema funzionerebbe meglio. Come la mettiamo con le dinamiche di potere? «Non stiamo parlando di una semplice riedizione del patriarcato a ruoli invertiti: non cambierebbe nulla, altrimenti», dice Serughetti. E fa un esempio: «Nella regione cinese dello Yunnan, il popolo mosuo, una delle ultime società matriarcali al mondo, ci mostra con chiarezza che lì dove le donne comandano, l’uomo non è però assoggettato». In questa piccola enclave a guida femminile nemmeno la matriarca ha privilegi particolari, non esiste la proprietà privata, la libertà sessuale è assoluta, non c’è dominio sul maschio, ma collaborazione. Un sogno.

Nel nuovo risveglio delle donne manca l'atto politico per eccellenza, il sogno. Bisognerebbe rimettere in circolo un po' di audacia visionaria. Barbara Alberti



La Storia però, lo sappiamo, è andata in un’altra direzione. «Qualcosa si è perduto, a un certo punto del quale non abbiamo nemmeno più memoria», conclude Serughetti. «Viviamo in un tempo nel quale è difficile anche solo immaginare che le regole del gioco possano cambiare. Però ogni volta che noi donne facciamo una “bolla” e stiamo tra di noi, lo sentiamo: assaggiamo un desiderio che non è trasparente neanche a noi stesse, una specie di nostalgia. Intravediamo una direzione. Ed è lì che dobbiamo tendere». Pensare in grande. «Nel nuovo risveglio delle donne credo che manchi l’atto politico per eccellenza, l’utopia (il gesto, il sogno)», spiega Barbara Alberti, scrittrice. «Tempo fa ho fatto un esperimento: sono andata in giro per la città chiedendo alle donne quale fosse la loro notte ideale. Su cento, appena due fantasticavano rispettivamente di Brad Pitt e Alessandro Gassman. Tutte le altre confessavano un solo desiderio: dormire. La verità è che siamo stanche morte. Che le giovani donne, se hanno avuto la debolezza di figliare e lavorano, sono spezzate dalla fatica. Non hanno il tempo né di immaginare utopie, né di conoscere quei momenti tutti al femminile che erano, per quelle della mia generazione, i collettivi». Come sarebbe un mondo delle donne? «Mi viene in mente un romanzo di fantascienza femminista, Ma dove sono gli uomini? Mizora, una profezia (Agenzia di Viaggi Visionari), che immagina un “mondo di sotto” dove gli uomini sono spariti, estinti, e le donne fanno tutto da sole, compreso riprodursi, campano 200 anni e sono felicissime. L’ha scritto nel 1880 Mary Ellen Breadley Lane, il marito della quale non seppe mai che fosse lei l’autrice misteriosa. Ecco, sarebbe importante rimettere in circolo un po’ di questa audacia visionaria», dice Alberti. Poi ammette: un mondo senza uomini sarebbe forse noioso, di sicuro però un sistema a conduzione femminile sarebbe meno violento. E qui è definitiva: «Lo dico? Loro, i maschi, sono governati da quell’attrezzo che hanno in mezzo alle gambe. È una faccenda di aggressività e di insicurezza. Il potere è loro. E se noi ci accontentiamo della pura forma, di cambiare le finali delle parole, non abbiamo speranza».

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