È piuttosto probabile che, durante la pandemia di Covid-19, vi siate imbattuti nel dibattito se il virus colpisca più gli uomini delle donne. Se ne è parlato parecchio, in effetti, riaprendo una discussione che ora più che mai vale la pena di essere approfondita: la questione di genere nella medicina. Che le donne subiscano discriminazioni in ambito medico non è una novità, basti vedere le problematiche legate all'aborto o alla violenza ostetrica, spesso frutto di stereotipi e retaggi sessisti. Ma c'è anche un'altra questione cruciale: fatta eccezione per le peculiarità del loro apparato riproduttivo, tradizionalmente le donne dal punto di vista fisiologico vengono assimilate gli uomini e così si tende a non guardare alle loro caratteristiche e ai loro bisogno specifici. Questo rende impossibile differenziare quando necessario terapie e prevenzione in base al genere e a risentirne non sono solo le donne. La scarsa inclusione femminile, infatti, lascia un vuoto nella scienza medica che potrebbe portare a scoperte utili per la salute di tutti: come sempre, discriminazioni e esclusioni si rivelano dannose per l'intera società! Ecco perché questa crisi sanitaria non può che confermare l'importanza della Medicina di genere e mostrare come essa risulti essenziale per la ripartenza e il futuro del nostro Paese. Di questo abbiamo parlato con la dottoressa Alessandra Carè, responsabile del Centro di riferimento per la medicina di genere dell'Istituto Superiore di Sanità.

"La medicina di genere rappresenta una 'nuova' dimensione della medicina da inserire in tutte le aree mediche", spiega Carè, "Mettere in luce le differenze tra uomini e donne vuol dire aumentare le nostre conoscenze e affrontare le diverse patologie nel miglior modo possibile per ogni singola persona". Le differenze - basate sul sesso, e dunque sulle caratteristiche biologiche, e sul genere, cioè sulle caratteristiche socio-culturali ed economiche - esistono e i numeri ce lo confermano. "I dati epidemiologici", prosegue infatti la dottoressa, "ci dicono piuttosto chiaramente che essere uomo o donna ha di per sé un effetto sullo stato di salute e di malattia di ogni persona. Le donne ad esempio vivono più a lungo degli uomini, ma se si considerano gli anni di vita in buona salute, il vantaggio viene perso".

Il punto, però, è che per molti anni la medicina non ha affatto considerato queste differenze di genere e, in questo modo, i test in vitro, la ricerca farmacologica, ma anche gli studi clinici, tendono a basarsi principalmente sull'organismo maschile - visto come il "default"- dando origine a dei notevoli bias. "Le donne consumano più farmaci", spiega Carè ,"e, di conseguenza, sono più soggette a reazioni avverse, anche perché ancora oggi sono sottorappresentate nelle diverse fasi degli studi clinici. In particolare nelle fasi iniziali, volte principalmente allo studio della sicurezza di un farmaco e in parte effettuata su volontari sani, le donne non superano il 20-25%". Di conseguenza, come conferma il report Prospettive di genere e salute. Dalle disuguaglianze alle differenze dell’Università degli Studi di Torino, i farmaci sono spesso calibrati sul peso medio di un uomo (70 kg) e così, in molti casi, "i profili di sicurezza nella donna vengono evidenziati solo dopo la commercializzazione del farmaco".

Secondo Carè un esempio "paradigmatico" delle differenze di genere sono le malattie cardiovascolari: "Sebbene considerate un problema maschile, le malattie cardiovascolari restano la principale causa di morte per la donna, rappresentando circa un terzo della mortalità (dati WHO). In particolare, l’insorgenza di queste patologie nella donna aumenta con l’età, soprattutto dopo il cambiamento ormonale della menopausa, e ha un ritardo nella comparsa della malattia di 10 anni rispetto all’uomo". Alla base di questo quadro ci possono essere diverse cause, come ad esempio "una sottostima dei sintomi da parte delle donne stesse e dei medici, accompagnata quindi da ritardi nella diagnosi e nei trattamenti terapeutici". Un altro problema, poi, è la differenza nei sintomi. "Nell’infarto spesso le donne non sperimentano il classico dolore al braccio sinistro, mentre viene avvertita nausea e mancanza del respiro", spiega la dottoressa e infatti la giornalista Caroline Criado-Perez riporta nel suo libro Invisibili (acquista ora su Amazon, ndr) che la possibilità per le donne di ottenere una diagnosi errata di infarto è addirittura del 50%. Esistono però anche esempi al maschile: "l’osteoporosi", prosegue Carè, "è considerata un problema femminile, in realtà in Italia si stima che colpisca circa 4 milioni di donne, ma che anche 1 milione di uomini ne soffra". Per gli uomini, però, manca la prevenzione e dunque i casi di mortalità, ad esempio per frattura del femore, sono maggiori.

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Come fare quindi? Serve un approccio che in primis includa le donne, che tenga conto del fattore genere a partire dalla formazione medica - e quindi dalle Università - e che lo renda parte integrante della mentalità a tutti i livelli. La buona notizia è che in Italia le cose stanno andando in questa direzione. "L’interesse per la medicina di genere sta finalmente crescendo e all’aumentare del numero di medici e ricercatori che hanno fatto proprio il concetto, sono aumentati anche gli uomini - e non solo le donne - che vi si avvicinano", spiega Carè. Nel 2018 è stata approvata la legge 3/2018 (messa in atto grazie al decreto attuativo approvato a maggio 2019, ndr) che per la prima volta in Europa garantisce l’inserimento del parametro "genere" nella medicina, che dovrà quindi considerare tale determinante sia nella sperimentazione clinica dei farmaci che nella definizione di percorsi diagnostico-terapeutici, oltre che nella formazione di studenti e professionisti della salute.

"In attesa dell’istituzione ufficiale dell’Osservatorio previsto dalla legge", spiega Carè, "alla fine di gennaio si è riunito per la prima volta il Tavolo dei referenti nominati dalle Regioni per l’applicazione del Piano nazionale sulla Medicina di Genere. Alla riunione, organizzata del Ministero della Salute e del Centro di Riferimento per la Medicina di Genere dell’ISS, è emersa l’importanza di creare una rete di collaborazione tra le istituzioni centrali - come il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità - e i referenti regionali che, a loro volta, formeranno un gruppo di lavoro all’interno del proprio territorio per portare l’approccio di genere nella sanità del singolo ospedale".

A livello di visibilità poi questa pandemia ha aperto ulteriori porte alla medicina di genere mostrando quanto sia importante sostenere tale approccio per la ripartenza del nostro Paese. Specie ora che abbiamo vissuto sulla nostra pelle le conseguenze di una crisi sanitaria, possiamo renderci conto che, solo con un approccio inclusivo che indaghi le differenze di genere tra uomini e donne a livello medico, saremo in grado di comprendere davvero - senza zone d'ombra - gli effetti della pandemia su individui e comunità e sviluppare interventi efficaci. "Le differenze di genere evidenziate in questa pandemia hanno sicuramente dato un’ulteriore spinta a questa variabile", conferma la dottoressa, "se ne è parlato e se ne parla molto e una corretta divulgazione è fondamentale. Sesso e genere rappresentano sicuramente un elemento importante alla base della diversa suscettibilità e gravità della malattia, e in prospettiva possono indicare i migliori trattamenti terapeutici per ciascuno".

Per quanto riguarda il coronavirus nello specifico, Carè ci spiega che, secondo i dati italiani, il virus colpisce in modo leggermente maggiore le donne (54% vs 46%), ma è la letalità ad essere diversa, poiché il numero di decessi negli uomini è quasi il doppio (17,7% vs 10,4%). Anche se il perché deve ancora essere chiarito, questo è il punto interessante che mostra come valga la pena seguire questa strada. "Sicuramente differenze biologiche, fattori genetici ed epigenetici e ormoni sessuali, hanno un ruolo importante", continua la dottoressa sottolineando come le donne abbiano un sistema immunitario più efficace (che le rende allo stesso tempo più esposte alle malattie autoimmuni). "Ma non dobbiamo dimenticare le abitudini e gli stili di vita dei due sessi", aggiunge parlando di come, ad esempio, le donne tendano a essere più attente all'igiene personale.

Secondo Carè, dunque la Medicina di genere "Rappresenta un obiettivo strategico per i sistemi sanitari" e la speranza è che si possa davvero fare tesoro della crisi che stiamo vivendo per ottenere una sanità più equa e inclusiva. "L’attenzione al genere", conclude, "costituisce un passo importante verso la razionalizzazione delle cure e quindi delle risorse economiche con vantaggi per tutti i cittadini, uomini e donne".

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