La sua stella ha attraversato il cielo dell’arte contemporanea lasciando una scia talmente luminosa che ancora brilla. È Chiara Fumai, artista scomparsa nel 2017 che rifiutava di registrare le sue performance per non congelare l’irripetibile momento in cui l’artista e lo spettatore si incontrano e condividono un’esperienza. Nonostante ciò il suo messaggio è rimasto vivo e brillante, un invito a rifiutare la narrazione dominante e a sperimentare se stessi e la propria molteplicità nel mondo.

L’opera d’arte lei la viveva intensamente anche sul piano autobiografico e addirittura tramite il proprio corpo. Non a caso molte delle sue performance erano interpretazioni – o forse meglio dire reincarnazioni – di donne del passato nelle quali l’artista si immergeva trasformandosi fisicamente in loro, per ridar voce alle loro istanze. Tra di esse la donna barbuta degli spettacoli freak vittoriani, Annie Jones, che durante un’esibizione a Palazzo Mincuzzi nel 2010 leggeva le lettere dei suoi ammiratori. E Eusapia Palladino, la medium di Minervino Murge le cui sedute spiritiche fecero scalpore in mezzo mondo. E ancora la rivoluzionaria tedesca Ulrike Marie Meinhof, la femminista italiana Carla Lonzi, l’attivista Valerie Solanas, la circassa Zalumma Agra del Circo Barnum. Lo scopo era ridare visibilità a donne marginalizzate di cui riscopriva il contributo che, ciascuna a modo loro, ha apportato alla rivoluzione sociale della propria epoca.

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Roberto Serra - Iguana Press//Getty Images

Chiara Fumai, chi era l'artista performativa italiana

Nata a Roma nel 1978 e cresciuta a Bari, Chiara Fumai ha studiato architettura al Politecnico milanese e poi si è specializzata in Arti Visive alla Fondazione Ratti. Ha esordito nell’arte performativa cominciando dalla musica. Il suo alter ego si chiamava Pippi Langstrumpf e mixava la disco italiana degli anni ’80 a sonorità electro-techno più cupe, creando suggestioni musicali nuove e inattese. La stessa cosa avrebbe fatto da lì in avanti con la sua arte focalizzata su linguaggio e immagine usando video-art, performance e fotografia per riflettere sulla cultura mediatica, il potere della comunicazione e la posizione delle donne nel mondo dell’arte e nella società in generale.

Anziché usare testi propri, ha creato alchimie nuove usando testi altrui montati per trovare un nuovo messaggio. Che una delle ultime opere si chiami Poems I Will Never Release è rivelatorio di questo approccio. La frase è riportata sull’abito di una bambola di stoffa che l’artista considerava il suo autoritratto. È anche il titolo della monografia pubblicata da Nero che riunisce tutte le sue opere tra il 2007 e il 2017 e ne ripercorre tematiche e traiettoria artistica come DJ, performer e artista visiva.

La sua scomparsa a 39 anni, al culmine di un percorso breve ma costellato da prestigiosi riconoscimenti e partecipazioni a eventi internazionali come Documenta, ha lasciato attonito il mondo dell’arte contemporanea. Un talento lucente e spigoloso, il suo, che pungeva e intendeva pungere, o almeno lasciare di stucco e, sempre, indurre al ragionamento. Come in una delle primissime esibizioni del 2008 quando presentò una conferenza su Nico Fumai, cantante della disco italiana anni ’80, con tanto di dettagli biografici e discografia. Ma era un personaggio inventato di sana pianta ispirandosi al padre. Nel tranello caddero in tanti ma non era uno scherzo, piuttosto una riflessione sui meccanismi della comunicazione televisiva.

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Da uno spunto televisivo partì anche la sua performance più nota, Chiara Fumai legge Valerie Solanas, presentata nel 2013. Vinse il Premio Furla che dedicò a tutte le “femmine insolenti”. Nel video si vede l’artista che, parodiando il messaggio della “discesa in campo” di Silvio Berlusconi del 1994, legge stralci di un manifesto politico femminista radicale, il Manifesto SCUM di Valerie Solanas del 1967, e denuncia il maschilismo che pervade il mondo dell’arte. Sullo sfondo una frase-denuncia diventata un altro manifesto: A Male Artist is a Contradiction in Terms. Rifiutava, come artista donna, di essere sminuita e marginalizzata come tutte le donne che aveva incarnato e raccontato. Per rendere manifesta la sua posizione ha fatto ricorso al linguaggio scomodo dell’arte e a un vocabolario che non ha mai risparmiato la terminologia della rivolta, della minaccia persino, rappresentando le istanze dell’anarco-femminismo e servendosi della satira per screditare il patriarcato, rifiutare il vittimismo, appropriarsi dello spazio.

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La sua stella ci indica ancora la direzione, non si è spenta con la sua scomparsa fisica nel 2017, quando fu trovata suicida nella galleria Doppelgaenger che la ospitava. Due anni dopo il curatore Milovan Farronato l’ha scelta per il padiglione Italia della Biennale d'arte di Venezia 2019. Oggi, su richiesta della famiglia dell’artista e insieme al direttore del Centro d'arte Contemporanea di Ginevra Andrea Bellini, alla presidente Micaela Paparella e al vicepresidente Roberto Spada, cura l’Archivio Chiara Fumai che si propone di preservare e divulgare l’opera dell’artista.

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