L'estate in cui, al tramonto, tra i cespugli del residence a Porto Garibaldi, frazione di Comacchio, vidi volare un colibrì. E quella durante la quale, al bar dello stesso complesso di bungalow, un vecchio seduto accanto al tabellone dei gelati mi disse che, oltre gli scogli, nuotavano le sirene. Quando credevo che le lucciole nel campeggio di Pietra Ligure fossero sciami di fate – come quelli di Labyrinth, il mio film preferito – e che, in ognuna delle roulotte parcheggiate all’ombra della pineta, stesse rintanato un serial killer o una creatura infernale. Avevo sei anni, otto, dodici, e la realtà era infinita.
Sono soprattutto questi i mesi in cui torno allo scrigno perduto dell’immaginazione, al tempo in cui ogni cosa fremeva, misteriosa ed esuberante, creando connessioni tra gli esseri e i regni. Stare nel mondo accogliendo tutto, captando i legami che la prospettiva strumentale allena a occultare: la frenesia del dibattito e il ricatto dell’autopromozione sottraggono legittimità a quella gioia. La rendono fuori luogo, inservibile, colpevole. Mi riprometto di non assecondare più le leggi della prestazione, della pura visibilità. D’ora in poi, mi dico, quando si tratterà di proporre temi e argomenti, voglio tornare dove è tutto è iniziato. Alle fiabe, agli animali, alle streghe, alle fate, alle supereroine. Alle trasformazioni, agli innamoramenti per gli elementi naturali, ai lampi incomunicabili, alla salvezza del gioco.
Se sono finito a scrivere, è per quel genere di prodigi. Per trattenere qualcosa di quelle piccole, sacre, assurde conversazioni che sono state il mio primo rifugio. L’epoca attuale vuole altro: tesi e in allerta, restiamo schiacciati sui trend topic e le logiche identitarie. Posizionarci e ripeterci, aderire all’ossessione della settimana, del giorno, dell’ora: ci comprimiamo, contundenti, fino a farci mere estensioni del mezzo. Fino a dimenticare quel che ci accendeva, staccava da terra. Fino a scordarci del centro, vasto e pulsante, di ciò che siamo.
Non sarà che quest’apatia, e la disillusione, la rabbia, il senso di sopraffazione che abbiamo dentro e intorno, arrivino anche da qui? Dalla rinuncia alla gioia, ai richiami segreti che ci rendono questa persona, e non un’altra. Dal credere di non avere più il tempo, né il diritto, di seguire ciò che è improbabile, struggente e alato.
Jonathan Bazzi è uno scrittore italiano, il suo ultimo romanzo è Corpi minori (Mondadori).
L'immagine che ha ispirato il suo racconto fa parte del progetto Manual of how to become a good girl della fotografa Vanessa Lucrezia Francia, classe 1994. Scatti di famiglia, foto d'archivio, autoritratti e istantanee condivise sui social, accompagnate da didascalie a volte descrittive, altre ironiche o cupe, compongono un percorso di crescita intimo e personale che parte dall'infanzia, quando i gesti sono più liberi e spontanei.