Lidia e Giovanni dovevano collimare, corrispondere e trovare respiro vitale l'uno nell'altra. Nelle intenzioni di Riccardo Meozzi, che li ha immaginati prima e fatti agire su pagina poi, il bisogno che all'inizio della loro conoscenza questi due giovanissimi spiriti irrequieti combaciassero alla perfezione, che rispondessero ad una sorta di invocazione silenziosa, era ineluttabile. Come ineluttabile, per Meozzi, qui al suo romanzo d'esordio con questo Addio, bella crudeltà (in uscita il 12 febbraio per e/o edizioni), era anche la fine di questa storia d'amore famelica e feroce, consumata voracemente e sgarbatamente in una provincia italiana che arranca scomposta verso il cambiamento della fine degli anni Novanta. "Non hanno mai avuto speranza", mi racconta Meozzi: nemmeno in una delle, mi immagino, decine e decine di versioni di questo racconto che parla tanto di amore quanto del potere che esercitiamo, al contrario, subiamo, Lidia e Giovanni si sarebbero salvati. Perché ad Addio, bella crudeltà sta a cuore raccontarci come siamo destinati a fallire, quando ci intestardiamo a voler costruire interi mondi su fondamenta di carta velina. E quando al peso delle nostre ambizioni si somma anche un evento imponderabile e devastante, essere spazzati via è invendibile.

Quando hai iniziato a pensare che la malattia potesse essere l'innesto per raccontare tanto altro?
La verità è che a me serviva per un switch narrativo, e mi serviva perché a un certo punto l'equilibrio di potere fra i due protagonisti, Lidia e Giovanni, si sarebbe in qualche maniera dovuto invertire, ribaltare. E avevo bisogno della cosa più naturale possibile per far sì che questa cosa si realizzasse, come può essere, appunto, la malattia. In quel periodo parlavo tantissimo con amici e colleghi di come andavano le cose nella loro vita di coppia, e, in particolare, di com'erano andate in passato, quando stavano con altre persone. E per tutti c'era questo leit motive per il quale a un certo punto, per disagi vari, o di natura fisica o di saluta mentale, si erano ritrovati dall'altra parte della barricata, in una situazione dove si sentivano colpevolizzati di non tenere in giusta considerazione l'altra persona. E questo perché comunque, nella loro singolarità, mantenevano dei desideri: desiderio di andare avanti nella vita, ma anche desideri che riguardavano tutta la sfera sessuale, la sfera relazionale. Dall'altra parte, invece, avevano delle persone che erano, anche se talvolta per giustissime ragioni, ferme. Quindi all'interno dell'economia narrativa, mi sembrava che fosse una cosa sensata inserire uno stravolgimento com'è la malattia, soprattutto perché è una cosa che può letteralmente succedere dall'oggi al domani.

E prima di far entrare la malattia, che libro era Addio, bella crudeltà? Una storia d'amore con uno sbilanciamento di potere?
Esatto, fondamentalmente sì, l'idea era che questo potere si rimbalzasse da una parte all'altra durante tutto l'arco narrativo. Poi però mi sono reso conto che, quanto meno per me come lettore, poteva essere più interessante raccontare proprio come la cosa si poteva invertire definitivamente. Quindi all'inizio hai la protagonista, che è Lidia, che prende il sopravvento, mentre tutti i capitoli che parlano del passato della coppia mostrano come, invece, quel sopravvento, quel potere, lo avesse sempre avuto lui, Giovanni.

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Anna Chiara Dallatorre
Anna Chiara Dallatorre

Questa tra Lidia e Giovanni era una storia che fin dall'inizio era per te destinata, in un modo o nell'altro, a finire? Non ha mai avuto speranza a questa coppia?
No, non c'è mai stata speranza (ride). L'ho proprio immaginata già finita. Anche perché, di base, quando uno deve parlare di queste cose, quando racconta questo genere di storie, si tratta storie che partono proprio dal momento in cui sono finite, e penso a tutte quelle che ho letto e che ho amato, il lungo e il largo: o raccontavano cose già finite o che stavano per finire. Poi la morte ha tutto un suo senso molto specifico, nel libro. Tantissime persone tendono ad elaborare la fine di una relazione come se fosse un lutto vero e proprio, no? Ecco: io era interessato a far sì che queste due cose fossero letteralmente la stessa. Se sto facendo uno spoiler pace, ma tanto immagino che si capisca fin da subito che Giovanni non farà una bella fine.

No, infatti lo capiamo dalle primissime pagine, quindi non vale come spoiler. Dicevi che le cose che hai letto e amato parlano di amori che non perdurano: mi citi qualche autore e qualche titolo?
Un libro bellissimo che ho già citato che in realtà ha molto a che poco fare con il tema, ma si tratta sempre di equilibri di potere all'interno di sistemi chiusi, come può essere una coppia o una famiglia, è Ninna Nanna di Leïla Slimani, che è uscito nel 2016 in Italia, ed è una viaggio psicologico profondo che scandaglia la personalità disturbata di una donna che si insinua in una famiglia. Poi, ovviamente, Il rosso e il nero di Stendhal e tantissime opere che ha pubblicato Yasmina Reza, sia di narrativa sia di drammaturgia, tra cui l'ultimo libro, bellissimo, che è Serge. Paradossalmente, nel periodo della scrittura ho ascoltato tantissimo rap italiano dagli anni dieci in poi, dai Dogo a Massimo Pericolo, perché cercavo anche nella musica il racconto, spesso molto pesante, della fine delle relazioni. E poi, ricordo di aver visto, sempre in quel periodo, Anatomia di una caduta, che ha delle somiglianze tematiche, e soprattutto mostra come il racconto di come le cose siano andate in una coppia cambi drasticamente a seconda di chi lo porti avanti. Infine, cito, per il suo senso di grande dolcezza e di pietà verso se stessi e chi sopravvive, Blue Nights di Joan Didion, dedicato alla figlia scomparsa. Un grandissimo libro sul senso della perdita.

Parlami della cornice temporale del tuo romanzo, e cioè gli anni Novanta, veicolo di alcuni dei momenti che fanno più sorridere, e cioè quelli legati al grande mistero che avvolgeva i primi cellulari e lo spauracchio dei costi esorbitanti del loro utilizzo.
Tra l'altro è stato fatto un fact checking pesantissimo su quella roba lì! D'improvviso eravamo tutti nel panico perché nessuno si ricordava nello specifico come funzionavano le cose. E a quanto pare, prima ancora delle schede telefoniche, pagavi un abbonamento con il gestore, che costava cifre esorbitanti. Però se la cornice narrativa aveva i suoi limiti, per me aveva un senso molto specifico. Il libro, infatti, è molto legato al concetto di vedersi a vicenda. Io inizio a percepire me stesso perché c'è qualcuno che mi vede per quello che sono, perché mi immagina, perché mi fissa, e ha sempre gli occhi puntati su di me. E volevo che Lidia e Giovanni avessero tutto ciò come punto focale. Ambientare la storia nella contemporaneità, o anche con un lieve sfasamento, implicava il moltiplicarsi delle loro immagini e della loro visibilità, attraverso il web e i social. Oltre a ciò io come autore, o meglio come lettore, perché dei libri ne ho scritto uno, ho il problema che se qualcosa è temporalmente molto vicino a me, temo di leggere e di raccontare qualcosa che non rimane, qualcosa che poi con il passare del tempo diventa estremamente superfluo. Ed era una cosa che volevo evitare per concentrarmi su altro.

Nei ringraziamenti tu dici che sai che è complesso affezionarsi ai due protagonisti del libro. Come si arriva a scegliere questa complessità, questo tipo di difficoltà in più, rispetto alla "comodità" che possono avere dei personaggi amabili?
I due personaggi non sono mai cambiati nella loro caratteristica psicologica, da quando li ho pensati a quando poi è stato il momento di metterli in pagina. Avevo bisogno che Lidia fosse sostanzialmente una ragazza incredibilmente sciapa e che all'apparenza non avesse alcuna vita interiore, e che lui fosse, invece, dirompente, aggressivo, in quella maniera molto sbagliata, questo ci tengo a sottolinearlo, con la quale quali vengono caratterizzati certi tipi di uomini. E volevo che questo fosse molto evidente soprattutto su Giovanni, per poi gradualmente sfumare in quella specifica condizione che ti porta a dire "sì, è un pezzo di merda, è un orribile pezzo di merda, però gli sta anche capitando una cosa dolorosissima". E contemporaneamente, ecco che anche lei diventa una figura negativa, perché utilizza il ruolo di cura come copertura per iniziare a spadroneggiare, a rivalersi. Questa è la complessità che volevo rendere, perché credo che i personaggi, ma anche le persone nella vita reale, passino il 90% del loro tempo a muoversi in enormi zoni grigie, mentre al contempo che ci vendiamo agli altri come migliori di quello che siamo.

Un po' quello che dicevi prima sul racconto delle relazioni passate: ascoltare come ci dipingono gli ex e metterlo a confronto con quello che, invece, raccontiamo noi di noi stessi, potrebbe essere scioccante per la distanza abissale tra le due storie.
Sì, credo poi che ultimamente le persone quando hanno delle relazioni e poi quelle relazioni finiscono, tendono a riesumarle, rivederle, ricontarle e paradossalmente è molto più complesso, così, riuscire ad esprimere un qualche parere che sia obiettivo riguardo se stessi, riguardo ciò che si è avuto o ciò che, banalmente, una persona ha desiderato durante quella relazione lì. E parlando di desideri, nel libro Lidia, per esempio, ha un enorme desiderio sessuale, per il quale si sente costantemente in colpa. Io credo, però, che i desideri siano sempre legittimi, sono gli altri, è la relazione che abbiamo con gli altri che ci fa sentire male per i nostri desideri e per ciò che realmente vogliamo. E credo che questa sia la cosa più moralmente ed eticamente ambigua dei miei personaggi.

Spiega.
L'esplorazione che lei che lì fa del suo desiderio è un'esplorazione perfettamente sensata che ognuno ha il diritto di fare. La sua sofferenza non è tanto generata dal fatto che lei scopra di avere quel desiderio lì ma dal fatto che quel desiderio sia letteralmente tagliato in due perché non può realizzarlo con Giovanni. Quindi l'altra persona le sta negando dei momenti di felicità, ma non perché vuole, ma perché semplicemente perché non può e se lei razionalmente lo può anche comprendere, come per tutti, o quantomeno come capita a me, non riuscire a vivere coerentemente appieno il proprio desiderio è fonte di dolore ed enorme frustrazione.

Anche le famiglie, soprattutto quella di Lidia, sono luogo di frustrazione, di non comprensione. Come mai hai voluto aggiungere anche questa "scomodità"?
Questa è una buona domanda perché anche io, a posteriori, mi son detto "cavolo, un minimo di felicità a sti due gliela potevo dare". Ma in realtà il punto era proprio che li volevo far collimare. E perché ciò potesse avvenire, lei doveva uscire da un contesto dove non è visibile e nelle famiglie solitamente diventi invisibile nel momento in cui non solo non riesci a farti capire ma anche quando gli altri non hanno alcuna capacità d'ascolto nei tuoi confronti. Volevo proprio che lei avesse una spinta fortissima per desiderare di formare una coppia, e quindi potenzialmente una nuova famiglia. E di solito, almeno questo è stato per anni il mio pensiero, si desidera un nucleo familiare proprio quando quello di origine è doloroso. Giovanni, invece, vede Lidia, seppur in questa maniera decisamente errata.