Matteo B. Bianchi è davvero instancabile, è scrittore, autore televisivo, direttore della casa editrice Accento, particolarmente attenta ai giovani esordienti e insegnate di scrittura creativa. Con il suo penultimo romanzo, La vita di chi resta ha affrontato un nodo cruciale della sua esistenza, la perdita del suo ex. Ha impiegato più di vent’anni prima di trovare il coraggio di scriverlo. Oggi con Il romanzo che hai dentro (Utet, pp 256, euro 19), porta questa sua esperienza al servizio di chi desidera parlare del proprio passato, sia per chi vuole lasciare un ricordo ai familiari, senza alcun intento letterario, sia per chi sogna di diventare un autore. Un manuale chiaro e coinvolgente che offre tanti consigli per trasformare la propria vita in una storia avvincente.
Ci sono modi molto semplici per parlare del nostro passato.
Io ho cercato di proporre un libro adatto a tutti, anche a chi non ha grande dimestichezza con la scrittura. Per questo ho fatto l’esempio del pittore americano Joe Brainard: era in vacanza e si stava annoiando. Così iniziò ad annotare alcuni ricordi della sua infanzia, breve frasi, non particolarmente elaborate, come “Mi ricordo la mia prima sigaretta. Una Kent. Su una collina. A Tulsa, in Oklahoma. Con Ron Padgett.” Il libro Remember uscì nel 1970 con una piccola casa editrice e riscontrò un successo incredibile. Devo ammettere che quando lessi le prime pagine non ne capì il vero valore, ma poi, man mano che procedevo con la lettura, mi coinvolgeva ed emozionava sempre di più. Una sola frase non dice molto, ma l’insieme di tutti quei pensieri crea nel lettore sensazioni incredibili. Questo per dire che chiunque di noi può elaborare il proprio passato, senza avere talenti specifici. Io stesso ho realizzato un’edizione italiana del libro, che ho presentato in piccoli teatri. Lo leggevo e poi chiedevo al pubblico di cimentarsi in questo esercizio: ne sono usciti pensieri sorprendenti.
Non è stato l’unico autore a provare questo genere di scrittura.
Nel 2007 Lisa Nola ha pubblicato Listography – Your Life in Lists (Listografia– La tua vita in liste) con una serie di suggerimenti che il lettore poteva usare come voleva, parlando degli amici, delle case in cui aveva vissuto, dei rimpianti, di come era cambiato negli anni... Il libro è diventato un best seller, ha venduto più di 1 milione di copie, tanto che successivamente è uscita una collana con numeri tematici dedicati alla musica, ai viaggi, ai libri...
A volte basta davvero poco per suscitare emozioni.
Senza dubbio. Lo dimostra l’esperimento di una rivista americana, Smith magazine: ha pubblicato memoir in sei parole, piccole frasi evocative, scritte dagli stessi lettori, come questa di Dan Vance “Ho studiato troppo, vissuto troppo poco.” I testi erano tristi, ironici, dolorosi, ognuno poteva scegliere lo stile più adatto.
Ci può insegnare qualche trucco?
Prima di tutto deve esserci il desiderio di mettersi in gioco. Se si parla della propria famiglia, non si può scrivere con il freno a mano tirato perché si ha paura di esporsi. Certo si possono cambiare dei dettagli, per rendere meno riconoscibili le persone che potrebbero offendersi, ma si devono esprimere tutte le emozioni. Poi il racconto non deve essere mai didascalico, un errore tipico degli esordienti. A nessuno interessa l’elenco di azioni prevedibili, bisogna attirare l’attenzione del lettore. Invece di “non andavo d’accordo con i miei genitori”, “avevo solo cinque anni quando mio padre mi punì duramente...” Poi bisogna decidere da dove partire, selezionare episodi interessanti, magari cambiando la struttura cronologica. Se si è reduci da un divorzio e si vuole tratteggiare la figura dell’ex marito non potremo parlare solo dei suoi difetti, ma anche delle ragioni che ci hanno portato al matrimonio, per dare una visione più completa del suo carattere e dell’evoluzione del rapporto. È molto utile anche lavorare sul linguaggio, utilizzando espressioni e modi di dire che catturino l’attenzione.
Ci sono autori che si divertono a mescolare verità e finzione. La chiamano autofiction.
Veronica Raimo è un esempio perfetto di questa tendenza. Nel suo romanzo Niente di vero offre già dal titolo diverse possibili interpretazioni, sia che il racconto sia completamente falso, sia l’idea che sia la sua storia, perché vero può essere considerata l’abbreviazione di Veronica. Descrive la sua famiglia come un gruppo di persone disfunzionali, con un tono caustico, che ci lascia sempre in bilico fra realtà e finzione. Altrettanto brava Teresa Ciabatti, che nel suo libro più famoso, La più amata, racconta la sua infanzia a Orbetello mescolando realtà e finzione. Ne viene fuori un personaggio antipatico, rancoroso, meschino. Lei dice che si tratta di una sorta di alter ego, a cui ha attribuito una sfrontatezza che lei non ha.
Discorso completamente diverso per i romanzi autobiografici di J.T. Leroy, Sarah e Ingannevole è il cuore più di ogni cosa in cui raccontava di una madre che lo obbligava a prostituirsi. È diventato un best seller fino a quando si è scoperto che l’autore non è mai esistito, era tutto falso. In questo caso non solo si è rotto il patto con i lettori, ma si è trattata di una vera truffa.
Lei è famoso per i suoi libri autobiografici.
Io ne ho scritti tre. Ho esordito con un racconto sulla mia esperienza come obiettore di coscienza in un collegio che ospitava bambini con problemi di psicosi. Poi è arrivato Generations of Love, sulla mia adolescenza di ragazzo gay che cerca di vivere la propria sessualità in modo sereno e infine l’ultimo, su come sia riuscito a sopravvivere al suicidio del mio ex. L’ho scritto per dare conforto a chi ha vissuto esperienze simili e per spiegare a chi è stato più fortunato il percorso emotivo e psicologico che ho dovuto affrontare. Purtroppo è un argomento di cui non si parla mai, nei rarissimi casi in cui questo avviene, non ci si focalizza mai su chi resta, sul dolore che devono affrontare le persone che continuano a vivere dopo che un loro caro si è tolta la vita. Ho provato a dare voce a tutti loro senza nascondere nulla, anche i momenti più tragici, quando mi sembrava di impazzire e volevo solo distaccarmi dal resto dell’umanità. Ho parlato dei miei tentativi di trovare consolazione nelle droghe che ho preso in quel periodo. Mi hanno scritto in tanti per ringraziarmi, si riconoscevano nel mio percorso. Alcuni hanno guidato per ore solo per venire a una mia presentazione e potermi conoscere. Altri hanno alzato la mano e hanno trovato il coraggio di raccontare la loro esperienza, per la prima volta si sentivano autorizzati a parlarne in pubblico.