Attesissimo al Salone del Libro di Torino (l’anno scorso i fan per ascoltarlo hanno fatto due ore di coda), Joël Dicker è uno degli scrittori internazionali più amati in Italia. Ogni suo nuovo romanzo va dritto in cima alle classifiche (oltre 20 milioni di copie vendute nel mondo) e così è successo anche con l’ultimo, La catastrofica visita al museo (La nave di Teseo). Un risultato non scontato, dato che l’autore svizzero dopo tanti thriller ha sorpreso i lettori con una storia delicata, narrata da una donna che ripercorre una vicenda della propria infanzia con la voce e l’ingenuità di quando era piccola. Al centro della trama, alcuni ragazzini che indagano (dopotutto il gusto per il mistero resta nel suo Dna) su un inspiegabile incidente, e una serie di eventi che porterà al gran finale cui allude il titolo. Abbiamo raggiunto Dicker tramite Zoom a Ginevra, dove vive, per parlarne con lui.

Dopo tanti thriller, un’avventura per tutti. Perché questa scelta?

Semplicemente per il desiderio di non fare sempre la stessa cosa. Volevo un cambiamento, esplorare nuovi orizzonti.

L’io narrante è una bambina. Com’è stato calarsi nella sua personalità, ingenua e schietta?

In realtà, non mi sono immerso completamente, perché non credo che gli scrittori facciano come gli attori, che si mettono nei panni degli altri. Mi sento più come un regista: quando scrivo, sono sempre un po’ disconnesso, faccio un passo indietro. Oppure, come un pittore che osserva e cerca di riprodurre ciò che vede. Il pittore non si traveste da albero, quando lo dipinge: per lo scrittore è lo stesso.

Nel romanzo i bambini smascherano di continuo le contraddizioni degli adulti. Siamo messi così male?

Non so se ce la caviamo male, la questione, piuttosto, è sapere se siamo capaci, come i bambini, di riflettere sulle nostre azioni e di metterci in discussione per migliorarle o modificarle. I bambini hanno una visione del mondo lontana dal cinismo degli adulti e questo fa una grande differenza. Sono capaci di vedere le cose in modo ingenuo, nel senso buono del termine, così riescono ad andare oltre, mentre gli adulti spesso si bloccano dicendosi: “È sempre stato così”, “È il destino”. Ma il destino ha poca presa sui bambini.

la catastrofica visita allo zoo di jöel dickerpinterest
La Nave di Teseo
La catastrofica visita allo zoo, di Jöel Dicker (La nave di Teseo)

È un libro divertente, ma affronta anche temi molto seri e importanticome la democrazia. Come mai questa scelta?

Perché, appunto, è un argomento importante, e ho scoperto che trattandolo attraverso lo sguardo di un bambino, è possibile motivare il lettore a una riflessione autentica, senza che la avverta come una predica. Del resto, ai bambini concediamo molta libertà di parola e accettiamo che possano perfino punzecchiarci, fa parte della magia dell’infanzia. Un’occasione perfetta, quindi, per parlare di democrazia, ma anche di rispetto per gli altri, senza essere moralisti.

I protagonisti sono “bambini speciali”, ma non è specificato in che senso. È voluto?

Sì, perché è un invito a chiedersi: cosa è speciale? E cosa è normale? Dove è esattamente il confine? È proprio questo il nodo centrale della storia. Si è trattato, quindi, di creare un’allegoria della differenza che è uno dei temi del libro.

Leggendo si ha la sensazione che, in realtà, siano piuttosto dotati...

Ogni lettore immagina ciò che vuole.

Nella postfazione, lancia un appello alla lettura, minacciata dai cellulari onnipresenti. Teme che i libri diventeranno obsoleti?

A volte abbiamo l’impressione che appartengano al passato, come il fax e i francobolli, invece è il contrario: sono molto moderni. La mia idea è proprio ricordare che viviamo in un mondo digitale, il che è positivo, ma anche fatto di libri, non si tratta di essere pro o contro: è una combinazione di entrambi. La lettura su carta è essenziale per lo sviluppo del nostro cervello, per la formazione delle prossime generazioni. I giovani hanno bisogno di essere lettori bilingui: digitali e di libri.

Anche l’intelligenza artificiale ha invaso le nostre vite: non la preoccupa il fatto che potrebbe rubare la professione agli scrittori?

Associamo sempre l’intelligenza artificiale a una forma di pigrizia, ma quale scrittore non vorrebbe scrivere il proprio libro? A motivare, poi, non è il libro in sé, ma l’eccitazione che regala la scrittura, almeno è così per me, quindi non mi aspetto affatto che l’IA ci rubi il mestiere, né ho alcun desiderio di affidare il mio all’IA o a qualcun altro. Non avrebbe senso.

Il successo di un romanzo si costruisce in tante fasi: ideazione, scrittura, editing, l’incontro con i lettori... Quale preferisce?

Sono momenti diversi, tutti fantastici. Incontrare i lettori è la realizzazione di un legame che dura, l’editing è la riscoperta del tuo testo, ma sono il culmine di qualcos’altro. È la scrittura la fase più importante: l’invenzione, immaginare la storia, costruirla. È ciò che mi piace di più ed è il motivo per cui faccio questo lavoro.

Qual è la domanda che i lettori le fanno più spesso?

Quando uscirà il prossimo libro? È una domanda meravigliosa, perché significa che i lettori lo stanno già aspettando, ma allo stesso tempo “terrificante”, nel senso che arriva di solito appena esce il mio ultimo libro, su cui ho lavorato due anni, e che loro hanno già letto.

Ha una routine particolare quando lavora a un romanzo?

Scrivo sempre nel mio piccolo studio, con la porta chiusa a chiave. E ascolto musica con gli auricolari, così mi isolo in una doppia bolla. Non potrei mai scrivere in un bar pieno di gente e rumore, ho bisogno di uno spazio quasi asettico.

Che musica ha ascoltato per La catastrofica visita allo zoo?

Spotify mi dice che ho ascoltato molto The Script, una band irlandese, ma è casuale. Metto gruppi che mi piacciono, ma poi la musica va in loop. Per me, in realtà, è un rumore di fondo, qualcosa che mi avvolge.

Lei è anche editore dei suoi libri in lingua francese per tutto il mondo. È importante avere il controllo completo sulle proprie opere?

Dipende, c’è a chi piace avere qualcuno che lo coccoli, lo prenda per mano. Non è il mio caso però, e non è per questo motivo che ho creato la mia casa editrice. Il mio editore è morto: gli volevo molto bene e dopo, essendo rimasto senza, ho deciso di creare una mia casa editrice. È così che è andata.