Cresciuti a Willowdale, in Ontario, e passati per New York con gli studi alla Parsons School of Design, i gemelli Dean e Dan Caten, trent’anni fa hanno scelto l’Italia come terra d’adozione e trampolino di lancio per il loro marchio. Nel 1995 a Milano nasce Dsquared2, che dal primo show fissa come ideologia una forza irriverente, controbilanciata dalla rigorosa sartorialità italiana, oltre che da alcuni precetti estetici tipici della tradizione canadese e dal glamour sfrontato della queer culture. Molti i momenti iconici di questi 30 anni: dai look per Madonna con il cowboy style di Dont’ Tell Me a Christina Aguilera per lo Stripped Tour, Beyoncé, Rihanna e Justin Bieber, fino a vestire la Juventus e il Manchester City. Una trasversalità che si manifesta anche con Ceresio7, Pools&Restaurant e Ceresio7 Gym&Spa, estensione al lifestyle dello spirito della maison. Quella di Dean e Dan è una mescolanza di elementi, che nel linguaggio della moda, vengono tacciati come opposti: lusso e streetwear, maschile e femminile, provocazione e funzionalità. Dsquared2 è, senza filtri, ciò in cui hanno sempre creduto i gemelli Caten, ovvero l’impellenza di rendere mainstream l’espressione di sé stessi, senza alcun compromesso. Figli di immigrati italiani, cresciuti in una famiglia numerosa, con nove fratelli, Dean e Dan hanno vissuto un’infanzia tra sperimentazione artistica e il capire verso cosa veicolare il loro incontenibile entusiasmo. Un approccio compreso e spalleggiato da Julie Enfield, modella e mentore del duo, supportandoli nella passione per la moda e nell'esprimere la propria creatività.

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D.R.
Dean e Dan Caten da bambini nella città natale di Willowdale, in Ontario, Canada. A sinistra.

Che tipo di giovinezza avete vissuto in Canada?

Dean: La nostra infanzia non è stata né terribile né facile. C’è una storia divertente: nostro padre aveva un negozio di tessuti che a un certo punto è fallito. Quindi ha trasferito tutti i materiali a casa, "convertita" a magazzino pieno di stoffe, bottoni e cartamodelli. Quelli sono diventati i nostri giocattoli.

Dan: Passavamo ore a inventare vestiti, senza nemmeno renderci conto che stavamo già costruendo la nostra identità stilistica. Giocare con quei tessuti ci ha insegnato a sperimentare, a mescolare cose che non sembrava potessero avere senso, ma che poi davano vita a qualcosa di nuovo e inaspettato. La nostra creatività nasce da lì, dal caos colorato della nostra casa.

Che influenza ha avuto la cultura italiana sulla vostra visione?

Dan: Nostro padre cercava il sogno americano e si è trasferito in Canada dall’Italia per provare a realizzarlo. Noi abbiamo chiuso il cerchio, tornando qui per inseguire il nostro sogno, che era invece tutto italiano. Volevamo lavorare nella moda, sentirci vivi, ed essere parte di quell’industria Made in Italy che ci aveva sempre affascinato. Da piccoli l’Italia ci sembrava solo un posto lontano; quasi solo metaforico e irreale. Ma crescendo abbiamo capito che sarebbe stato il luogo in cui saremmo dovuti andare per diventare quelli che volevamo essere e concretizzare quello che immaginavamo.

Dean: L’Italia è il cuore del nostro brand. Il modo in cui gli italiani vivono la moda è unico. È passione, è artigianalità, è cultura. Abbiamo portato in Dsquared2 quell’energia, quella bellezza che non è mai superficiale. Volevamo che il nostro brand avesse lo stesso spirito: giocoso, ma con una struttura solida e credibile dietro.

Avete anche vissuto per un breve periodo a New York.

Dean: New York è stata una scossa. Siamo andati lì per una summer school alla Parsons nel 1983, ed è stato il momento più incredibile della nostra vita. Non abbiamo dormito per sei settimane perché avevamo l’ansia di perderci qualcosa. Lo Studio 54 era ancora in vita e c’erano club come lo Xenon dove abbiamo conosciuto Janice Dickinson e Andy Warhol. Lì ci siamo resi conto che la moda non era solo un sogno, ma che sarebbe anche potuta diventare una vera carriera. Ci ha aperto gli occhi su ciò che volevamo fare davvero.

Dan: New York ci ha insegnato a essere spudorati. Non avevamo paura ad avvicinare la gente e di parlare con chiunque. Eravamo giovani, ingenui, ma determinati. Quella città ci ha fatto capire che la moda non era solo un’idea lontana, era qualcosa di concreto che potevamo realizzare. Da quel momento non ci siamo più fermati.

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Un look della collabo Dsquared2 e Bettter, Fall Winter 2025.

Il vostro stile viene esasperato durante le sfilate, e poi smitizzato entrando in negozio. È un’antitesi voluta?

Dan: Sì, perché non abbiamo mai concepito una moda fatta solo di show: da sempre vogliamo che, alla fine, i capi siano veri. Anche se le nostre sfilate sono spettacolari, i vestiti devono essere concreti. Abbiamo iniziato creando quello che avremmo voluto indossare. Siamo uomini minuti e ai tempi era difficile trovare abiti che ci stessero bene addosso. Così sono stati creati capi funzionali, che ci potessero fare sentire confident.

Dean: Volevamo da subito mescolare il casual con il sofisticato, perché la gente non può essere sempre formale. Poi la nostra regola con i vestiti è semplice: se noi non li indosseremmo, a sua volta non li inseriremmo mai in passerella. È una questione di autenticità. Vogliamo che le persone si sentano se stesse nei nostri abiti.

Il vostro ultimo show ha celebrato i trent’anni di attività fondendo gusti diversi, anche con realtà che sembrano diametralmente opposte.

Dean: Perché ci piace collaborare con designer che potrebbero anche sembrare incongruenti al nostro prodotto. Ad esempio, con Luca Magliano è stato fantastico; abbiamo trovato un equilibrio perfetto tra il suo mondo e il nostro. È stato un incontro tra sensibilità diverse che ha prodotto qualcosa di autentico e nuovo, senza snaturare nessuno dei due.

Dan: Il casting, i look, tutto mostrava un po’ di lui e un po’ di noi. È stato elettrizzante. Collaborare con chi è diverso ci arricchisce. Ci sfida a vedere la moda da una prospettiva nuova. È questo che tiene vivo il brand. È stata una bella sperimentazione anche con Bettter e Vaquera, gli altri due brand con cui abbiamo collaborato per lo show anniversario.

La fluidità di genere è un vostro argomento, anche prima che diventasse una questione espansa nella moda e nella vita civile. Da cosa nasce?

Dean: Da ragazzini non ci sentivamo esattamente al sicuro. Dovevamo camminare e muoverci in un certo modo per non attirare l’attenzione della gente. Poi siamo venuti in Italia e ci siamo sentiti più liberi. Qui la mentalità era più aperta; ci guardavano magari con curiosità ma non con odio. Mettere una parrucca e ballare ci faceva sentire noi stessi. Oggi il mondo sta cambiando; la gente si esprime come vuole ed è bellissimo vedere meno tabù. Per noi la fluidità di genere è naturale; non è costruita perché è ciò che siamo.

Dan: Esatto. Amiamo mescolare maschile e femminile: ragazze aggressive e sensuali, ragazzi più femminili ma super sexy. È tutta una questione di espressione sincera; ci viene spontaneo. Vogliamo che chi indossa i nostri vestiti si senta libero di esprimersi, senza etichette. Non c’è nulla di più sexy di una persona sicura di sé, indipendentemente dal genere.

E in questo scenario il discorso corpo-nudità è diventato di conseguenza un tema cruciale?

Dean: Noi amiamo la bellezza in tutte le forme. Non parliamo solo del classico ragazzo con il six pack perfetto. Abbiamo scattato una campagna con Steven Klein, avendo per modello un ragazzo per nulla palestrato, sotto la doccia, ed era sexy da morire. Ci piacciono anche i ragazzi filiformi, quelli più rock, i personaggi non convenzionali. La moda deve celebrare tutti i tipi di corpi. È il carattere a renderti irresistibile, non solo la perfezione fisica.

Quando uno show risulta sbagliato?

Dan: Quando una modella cade, perde una scarpa, succede un incidente. È accaduto anche a noi, una volta quattro modelle sono scivolate una dopo l’altra. Per fortuna c’era Fergie in prima fila e tutti hanno pensato fosse una gag riferita al suo video Clumsy, dove lei cadeva appunto dalla passerella. Poi ci sono gli show sbagliati perché la collezione non funziona, la musica non va bene, il casting non è centrato. Tutti questi elementi contano. Lo senti subito se c’è qualcosa che non va.

Avete mai pensato di lasciare la moda?

Dean: Scherzando diciamo sempre: spiaggia, un drink e una montagna di soldi. Ma la verità è che non potremmo mai fermarci. Questo lavoro ci tiene vivi. Ogni collezione è una nuova sfida; un nuovo inizio. Abbiamo appena dato il via a un nuovo capitolo di Dsquared2 e sentiamo che il meglio deve ancora arrivare.

Dan: La moda è la nostra vita. Ci ha portati qui e ci ha resi chi siamo. Per ora, appendere i tacchi al chiodo non è nei nostri piani. Siamo ancora qui, vivi e affamati. E non abbiamo intenzione di fermarci.