Sono passati 30 anni da quel primo maggio del 1994, quando la sua Williams si schiantò al settimo giro contro un muro della curva del Tamburello a Imola: andava a 211 chilometri orari e l'impatto fu devastante. Ayrton Senna morì qualche ora dopo in ospedale, a 34 ani. Sua nipote Bianca, allora, ne aveva 14. Oggi è ceo di Senna Brand e responsabile della fondazione benefica che porta il nome di suo zio (la incontriamo in occasione del lancio del nuovo cronografo che Tag Heuer ha dedicato al pilota, nel trentesimo anniversario della sua scomparsa, il Carrera Extreme Sport Cronograph Tourbillon x Senna).

Ayrton Senna non c'è più da tanti anni eppure è considerato il più grande pilota di sempre ed è ancora un ambassador Tag Heuer. Perché la sua immagine ha una tale potenza?
Mio zio, come pochi altri, aveva qualità incredibili sia dentro che fuori dalla pista. Come pilota, il suo talento, la sua precisione, la capacità di guidare anche in condizioni avverse, la sua determinazione, la concentrazione e l’ostinazione conquistarono i fan che lo seguivano a ogni gara. Quando iniziò a correre nella Formula 1, il nostro Paese stava attraversando un periodo di instabilità sociale, economica e politica. Ayrton portò speranza al Brasile. Quando sventolava la bandiera verde oro, sul podio, era un’ispirazione per la nostra gente, era come se stesse dicendo loro: non mollate, non molliamo. Aveva anche un’umanità speciale, desiderava davvero trasformare il Paese e portare un po’ di gioia. Queste caratteristiche creano una connessione eterna che stimola la gente a cerca-re di diventare la migliore versione di se stessa: è il testamento principale che ci ha lasciato.

Cosa rappresenta per lei?
La forza interiore che tutti abbiamo, una sorta di istinto di sopravvivenza che ci porta a non abbandonare i nostri sogni. Lui per me è il simbolo che ci connette a quel potenziale che ognuno di noi ha. Dentro e fuori dai circuiti, faceva tutto con passione e dedizione.Questi valori sono vivi, lo mantengono vivo nella memoria di chi lo ammirava e di chi l’ha scoperto dopo la morte. Sono la forza trainante di tutto quello che porta il suo nome, come i brand Senna e Senninha, il lavoro dell’Ayrton Senna Institute, fondato da mia madre, sua sorella, 30 anni fa, che ha aiutato più di 30 milioni di bambini e ragazzi in più di 3000 città del Brasile.

display of a racing helmet inside a glass case
Courtesy TAG Heuer
Bianca Senna

Nella serie Senna, su Netflix, gli altri piloti lo vorrebbero a capo del loro sindacato, poi purtroppo non ce ne fu il tempo.
Sì, come pilota Ayrton si impegnava per migliorare il mondo dei motori, si batte-va per la sicurezza dei piloti, voleva che avessero più peso politico, considerati i rischi che correvano. Era molto competitivo ma allo stesso tempo aveva un forte senso della giustizia.

Era un campione in molti sensi insomma.
Ha un palmares impressionante. Ha iniziato a correre a 4 anni, a 13 coi go-kart. Vinse tre campionati brasiliani, una coppa Sud America e due campionati di San Paolo. Nel 1981 e nel 1982 ha vinto la Formula Ford (categorie 1600 e2000). Tre campionati di Formula 3 inglese, l’ultimo step prima di approdare in Formula 1. E lì, nell’elite degli sporta motori, Senna ha vinto tre campionati del mondo, nel 1988, nel 1990 e l’ultimo, nel 1991, con McLaren.

Una frase che le diceva spesso?
Mi diceva sempre di non mollare mai, qualunque cosa volessi, a dispetto di tutto.

Che fratello è stato per sua madre? Da quel che si vede nella serie, sembravano molto legati.
Amava stare in famiglia. Ogni volta che aveva una pausa tornava in Brasile e ci chiedeva di ritrovarci, di stare insieme. Lui e mia mamma erano legatissimi, si rivolgeva sempre a lei quando aveva un problema, quando qualcosa lo preoccupava. Erano amici oltre che fratello e sorella.

C’è un aneddoto di famiglia che lo definisce bene?
Mia mamma Viviane ci dice sempre che era velocissimo anche nell’apprendimento. Lei è sempre stata un’introversa, amava leggere e studiare. Ayrton era l’opposto. Una volta, a lei bastava un punto in un esame per passare all’anno successivo mentre a lui ne servivano 5. Viviane studiò per settimane, lui 15 minuti ma lo passò.

Siete stati coinvolti nella serie? Se sì, come? L'avete vista? Cosa ne pensate?
Sì, abbiamo collaborato. La cosa principale che ci hanno chiesto è stato portare testimonianza del lato più privato della personalità di Ayrton. Era molto riservato e pochissime persone hanno avuto modo di conoscerlo quando era davvero se stesso, in totale relax. Nella serie, Gabriel Leone è molto bravo a trasmettere anche gli aspetti più intimi del suo carattere che lo rendevano così unico. È impressionante, non riuscivo a staccare gli occhi dallo schermo...Mi sono commossa più volte. Mi è venuta la pelle d’oca, ho sentito l’adrenalina delle gare, la tristezza, la rabbia e la gioia di Ayrton. Un ottovolante di emozioni.

Conserva qualcosa che glielo ricorda?
Sì, il suo orologio preferito, quello che si vede anche nella serie.