Appena finito di leggere Drag Italia. Storie e sogni di ieri e oggi (di Stefano Mastropaolo, Ed. 24 Ore Cultura), ho subito pensato “è perfetto per mia madre!”. E non perché la festa delle mamme incombe – stuzzicare lei è sempre un divertente rigurgito filiale – ma perché finalmente potrebbe pronunciare, a ragione, quello che tutti i genitori gongolano nel fare: «Te l’ho sempre detto!» – e a cui, di rimando, la progenie scocciata dovrebbe mormorare: «Avevi proprio ragione tu….».
Hai ragione… a pagina 29 c’è scritto, e documentato: l’opera italiana più censurata del Novecento (dieci anni di proscrizione) – altro che Ultimo tango a Parigi – persino trascinata con ignominia in parlamento, è stata la Santa Rita da Cascia di e con Paolo Poli, capolavoro di dissacrazione e verve intellettuale quanto il Mistero Buffo di Dario Fo. Guai a toccartelo Paolino, il geniale travesti, il più bravo, il più colto, il più elegante – ti sei presa appunti delle sue battute quanto delle sue mise. Tu entravi al liceo – quel classico, ovvio, come tutti i figli della Firenze bene – e lui ne usciva, già famoso, per quella bellezza fluida diremmo oggi, per la nonchalance di ruoli e l’humour così pungente che le corazze borghesi sembravano burro. È stato anche il primo a ossigenarsi i capelli e salirci sul palco – mi dicevi, tanto per smontare la mia supposta ribellione hard blonde e permanentata.
L’unico che ti ha fatto vacillare il podio è stato Renato Zero, per il quale hai mollato me e mio fratello dalla pia nonna pur di andare al suo primo concerto fuori Roma – ma a pagina 38, in omaggio al glam rock insieme a David Bowie, mi è stato tutto chiaro. «Mi fanno sentire più libera», era il tuo commento. Come donna? «Come donna». In realtà, il saggio poco saggio di Stefano Mastropaolo, attivista LGBTQIA+ e docente di Moda e Costume, è costruito proprio come un drag show.
Potete sedervi e farvi abbagliare dalle paillettes, godendovi la sfilata di pezzi d’archivio indossati da Dominot e La Karl du Pigné o dei nuovi outfit di Dramna e La Diamond firmati Nick Cerioni (lo stesso stylist dei Måneskin e Angelina Mango) e divertirvi a citare e controcitare in una sorta di fashion battle i corpetti di Jean-Paul Gaultier, le donne angelo e aliene di Thierry Mugler, disquisire dell’überkitsch, persino giocare all’icona “non drag più drag delle drag”, perché ogni generazione ha la sua, racconta Mastropaolo, da Judy Garland a Cher, a Mina e Lady Gaga – tanto che, ancora oggi, alla domanda «Cos’è una drag?», il duo catanese Karma B risponde: «È un essere mitologico, metà uomo, metà Raffaella Carrà».
Oppure, tra uno scintillio e l’altro del libro-spettacolo, potete più ascoltare che guardare, e scoprire il cupo backstage – vien quasi da dire, più buio è stato tanto più sfavillante quel che poi esce sul palco. La marcia di Stonewall del 1969, con gay, lesbiche, drag queen e king contro i soprusi della polizia alla vigilia del celebre “primo passo dell’umanità”, etero e wasp, sulla Luna; le fughe di casa senza soldi e aiuti – di Fuxia dai bombardamenti di ormoni maschili imposti dal padre e finita grazie a una coppia francese che gestiva in Italia uno dei primi locali gay; di Vezirja da un Paese di cui non usa nemmeno più la lingua «perché certi tabù non hanno neanche le parole per esprimerli», che ispirandosi al look di un chitarrista rock giapponese riesce a raggiungere Drag Race Italia.
E poi gli arresti, le botte, le umiliazioni di vecchi e nuovi millenni, ma nessuna di loro che scelga la partitura del melodramma, se non tragi-comica. Tsunami, truccatore mancato che si definisce «uno scaricatore di porto vestito da Harajuku girl», non ha dubbi, il primo requisito di una drag è l’autoironia: «Se non sai ridere di te non riuscirai mai a far ridere con te gli altri». Dramna, che ama concludere i suoi spettacoli con un «Spero di avervi alleggerito il cuore e aperto la mente», rivendica alle drag anche un preciso compito: ricordare che innumerevoli sono le fisicità e tutte hanno la stessa dignità e bellezza. Come non essere d’accordo con quanto osserva Mastropietro, che il drag è sì una forma d’arte, una categoria di performance ma “è e sarà sempre legato a un atto politico, perché è un percorso che porta alla libertà”?