L’EUFORIA, foneticamente universale ed estroversa, dopo aver infuso la vitalità delle vocali e la potente energia dell’arte di desemantizzazione la scrittura, alle parole rese puro segno e corpo di un alfabeto «al femminile» e femminista, deciso a sovvertire logiche e dinamiche del lessico patriarcale, non poteva non pervadere la più grande retrospettiva della pratica verbo-visuale di Tomaso Binga, nom de plume di Bianca Pucciarelli Menna (Salerno, 1931). Scelta per vibrare come "un titolo-manifesto, un augurio, una necessità politica di resistenza”, del temperamento personale («il personale è politico») e delle urgenze artistiche di una delle figure di punta della poesia fonetico–sonora–performativa italiana, è l’essenza e l’energia dell’Euforia a guidare il segno del dialogo sovversivo di Binga. Matrice e madre di una comunicazione libera e liberata da regole imposte e discriminanti, nelle diciotto sale del terzo piano del Madre di Napoli, con la complicità dell’allestimento sperimentale del collettivo multidisciplinare Rio Grande (Lorenzo Cianchi, Natascia Fenoglio, Francesco Valtolina).
La retrospettiva a cura di Eva Fabbris con Daria Khan, frutto di due anni di ricerche realizzate in stretta collaborazione con l’artista e il suo prezioso archivio, per non dimenticare e continuare a rielaborare, segue il segno che sfida convenzioni sociali e culturali. Demistificando la differenza di genere nella scrittura e nel linguaggio, con il rifiuto dell'uso del corpo come oggetto e la riappropriazione che lo sovverte, lo trasforma in soggetto attivo e autonomo, attraverso un processo di registrazione e riflessione che da corpo e poesia alla rappresentazione femminile, articolato dal messaggio di fotografie, collage, documenti e installazioni.
Il progetto espositivo, penetra l’appropriazione simbolica dello spazio di dominio maschile del linguaggio, con il corpo della donna che si fa parola, affermando la sua presenza fisica e intellettuale nella società. Il suo stesso corpo, messo a nudo dall’atto performativo che crea, dando voce e verbo alle lettere della Scrittura vivente 1974-1975, davanti all’obiettivo dell’amica-complice-fotografa Verita Monselles. Fatta eccezione per la lettera H, muta, quindi "vestita" di nero che accende la riflessione simbolica sul silenzio e sulla marginalità della donna. Un modo altro di "vedere" e "dire" il corpo femminile, con la sua identità e posizione socialmente politica.
Alla stregua della stessa fotografia affidata nel corso degli anni alla sperimentazione artistico-poetica di supporti diversi che ne moltiplicano il linguaggio, da Alfabetiere Murale (1976) all’Alfabeto poetico monumentale (2019), senza mai smettere di giocare seriamente, con l'ironia e lo spiazzamento. Sin dallo pseudonimo provocatoriamente maschile, scelto nel 1971 e in pieno fervore femminista, privando di un fonema il nome maschile (e l’avanguardia futurista Marinetti), mentre la contrazione infantile del suo nome femminile si fa cognome, per entrare nel mondo dell’arte con l'identità sessuale mascherata, parodiandone il privilegio maschile, con una riflessione pungente sulla dimensione politica dell’essere donna. Ulteriormente rafforzata dalla performance Oggi Sposi (1977), con il matrimonio simbolico tra sé stessa e il suo alter ego maschile (Tomaso Binga), che smaschera con raffinata ironia le norme di genere e di ruolo.
La linea grafica della struttura tubolare dell’allestimento che evoca la circolarità della "ring composition" poetica, attraversa decenni e linguaggi, forme e possibilità spaziali, alternando la cromia rosa e rossa, a curve improvvise e nicchie accoglienti, per le opere e l’interazione del pubblico, libero di scegliere la direzione da intraprendere, lungo il percorso, aperto, non lineare. Ideale per avvicinarsi da molteplici punti di vista, come fa la poesia, alla selezione di centoventi opere e picchi di ricerca artistica, mostrati per la prima volta o a decenni di distanza dalla loro prima esposizione.
Una scelta performativa che non lesina stimoli e provocazioni, sensoriali e mentali, facendo buon uso delle imperfezioni del linguaggio, quanto delle forme scultore di materiale di scarto, come il Polistirolo, per La cura del corpo, Donna in gabbia, o Solo gli uomini volano (ì1972) ri-usando gli imballaggi dei più disparati oggetti di consumo, per aprire finestre, schermi, occhi. Soprattutto quelli finti, che simulano le nuove protesi oculari prodotte dalla civiltà tecnologica e una visione decentrata del sé, nella video performance Vista Zero (1972) e la sua documentazione fotografica.
Gli occhi artificiali indossati dall’artista, con corpo, volto e identità, coperti da una garza/tunica bianca da vestale, non sono quelli maschili ciechi che acuiscono le facoltà immaginative e poetiche come ne Le Testament d’Orphée (1960) di Jean Cocteau. Sono iper-femminili, coperti da strati di trucco e alla moda, come la condizione di subalternità della donna, spinta a conformarsi a canoni di bellezza e di condotta che la privano dello sguardo su di sé e sul mondo.
Un modo di sfidare convenzioni e assuefazioni della cultura della parola e dell’immagine, con la modernità di una riflessione che ne sovverte anche il paradigma dell’assimilazione immediata, nella «civiltà dell’immagine» e dell’abuso di parole che la priva di elaborazione profonda, invitando lo spettatore a una partecipazione e decodifica, consapevole e critica del messaggio che, dall'installazione di Carta da Parato ai collage dell'OperaPoesia come Io sono una carta (1976-2017), rivoluziona tutto, con la poesia.
iO sOnO unA cArtA
iO sOnO unA cArtA a quadrettini
iO sOnO unA cArtA colorata
iO sOnO unA cArtA velina
iO sOnO unA cArtA strappata
iO sOnO unA cArtA assorbente
iO sOnO unA cArtA vetrata
iO sOnO unA cArtA opaca
iO sOnO unA cArtA perforata
iO sOnO unA cArtA trasparente
iO sOnO unA cArtA piegata
iO sOnO unA cArtA semplice
iO sOnO unA cArtA bollata
iO sOnO unA cArtA da imballaggio
iO sOnO unA cArtA da lettera
iO sOnO unA cArtA da parato
iO sOnO unA cartA
iO sOnO un cArtone
un cArtoncino
unA cArtuccia
e vA spArAtAAAA!!
BUUUM!
Euforia per esplorare il lessico (Agorà, Biografie, Il corpo della parola, Corrispondenze, Geografie, Valore Vaginale), con una selezione di poesie dell’artista, anche nelle pagine della monografia a cura di Eva Fabbris, Lilou Vidal e Stefania Zuliani, con Anna Cuomo, con il progetto vincitore della dodicesima edizione di Italian Council, sostenuto dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, edito da Lenz, Milano e realizzato con il supporto dell’Associazione Amici del Madre.
How to: Tomaso Binga. EUFORIA, Museo d'arte contemporanea Donnaregina (Madre), Napoli (17 aprile – 22 luglio 2025). Maggiori info qui.