Le vette toccate da Jean-Michel Basquiat, restano un mistero per pochi, indifferenti a l’allure e l’attivismo del giovane artista fiero delle proprie origini Afro Americane, destinato a morire presto e vivere per sempre, portando in galleria il volto moderno di simboli antichi, con un linguaggio primordiale, graffiante e dirompente che anticipa i codici del contemporaneo, passando per la strada, le avanguardie della Grande Mela e la Factory di Andy Warhol. Forse sono di più quelli che, pur stimando genio e sregolatezza dell’artista ribelle, tra i più influenti del XX secolo, ne ignorano la capacità d'immolarsi all’arte, le donne e le dipendenze (fino all’overdose, di vita, eroina e demoni interiori, che lo uccide a 27 anni), facendo lo slalom tra i grattacieli di New York e le Alpi svizzere innevate, rivelatesi ben più di una meta di vacanze, lontane dal caos della grande metropoli. Una nuova fonte d’energia, per il lessico visivo di Basquiat esportato dal mercante di Zurigo Bruno Bischofberger, per combattere inquietudini e colonialismo anche tra abeti e stambecchi, inaugurando ménage à trois con Andy Warhol e Francesco Clemente, insieme a tutto quello che nutre la mostra dedicata all’influenza dell’Engadina su Basquiat, nella galleria Hauser & Wirth di St. Moritz.
Intrigante e fascinoso, anche quando non dipinge in giacca Armani spruzzata di vernice, sfila sulla passerella di Comme des Garçons di Issey Miyake, o rafforza l'esistenza da performer, indossando gli occhiali da sole Ray Ban Wayfar in discoteca e nella galleria di Bischofberger, fotografato da Beth Phillips e immortalato da una litografia di Andy Warhol, Basquiat ritorna a St. Moritz, con un progetto espositivo concentrato su un punto cieco del picco d’ascesa dalla fulmina odissea di uno degli artisti più studiati del dopoguerra. Questo anche grazie alla cura di Dieter Buchhart, studioso di Basquiat e delle influenze esercitate sulla sua opera, dopo aver curato quelle dedicate a Made in Japan e speriamo presto anche quelle Made in Italy. Dopo l’incontro con Sandro Chia nel 1981, la sua prima personale europea nella galleria modenese di Emilio Mazzoli e il successo di quella americana, nella galleria newyorchese di Annina Nosei nel 1982, fondamentali per destare l’attenzione di Bruno Bischofberger. Uno dei grandi protagonisti dell’arte internazionale degli anni Settanta e Ottanta, che nello stesso anno espone Basquiat nella sua galleria di Zurigo, rendendolo uno degli artisti più giovani della famosa mostra d’arte contemporanea Documenta di Kassel.
Al gallerista svizzero, interpretato da Dennis Hopper nel film su Basquiat di Julian Schnabel, va anche il merito di presentare Basquiat a Warhol, incoraggiandone la complicità di creazione e conversazione, per quasi 200 opere realizzate a quattro mani e un manifesto che li veste da boxeur, nella celebre fotografia scattata da Michael Halsband. Il mondo analogo, a St. Moritz Bischofberger pone l'inizio del sodalizio artistico che l’universo serigrafico di Warhol e il tratto impetuoso di Basquiat, estendono all’anima nomade e misteriosa di Francesco Clemente. Un modo proficuo di condividere stimoli creativi, concedendo a ognuno lo "spazio mentale e fisico" per mantenere il proprio tratto distintivo, nel nuovo vocabolario visivo di opere a sei mani che attraversano geografie, culture e forme espressive, insieme al cromatismo blu (di Basquiat) di In Bianco, tra le opere esposte a St. Moritz.
Un punto di svolta nella pratica e i contrasti impegnati dell’opera di Basquiat che, grazie a diversi viaggi in Svizzera e nella regione dell’Engadina, tra lo sci di fondo e visite alle fiere, lavoro e relax, inizia a integrare la quiete delle Alpi con l'energia frenetica della metropoli e l'iconografia alpina con quella afroamericana, di narrazioni personali e collettive. Ben evidenti nei riferimenti alla diaspora africana e allo spettro della violenza razzista che aleggia nelle nove tele dell’imponente The Dutch Settlers (1982), con i segni dello sfruttamento storico (TOBACCO), o del luogo di nascita della civiltà africana (NUBIA), tra flora e fauna della regione svizzera dell’Engadina, come lo stambecco, animale araldico del Cantone dei Grigioni.
In modo analogo, il paesaggio montano svizzero innevato di Big Snow (1984), si arricchisce dei riferimenti al trionfo nell'atletica leggera di Jesse Owens, osteggiato da Hitler alle Olimpiadi estive di Berlino nel 1936. Continuando a cancellare quello che vuole portare alla nostra attenzione e usare quel cut-up di W. S. Burroughs, come si fa con il campionamento dell'hip hop, l’artista che suona il clarinetto e il sintetizzatore nel gruppo sperimentale Gray, fondato nel 1979 con Michael Holman, con To Repel Ghosts (1986), tocca anche il tono introspettivo più spirituale della diaspora africana. Grazie ad alcuni prestiti, la mostra a St. Moritz contempla anche opere più ludiche, come Skifahrer e See (Lake), realizzate da Basquiat nel 1983, per una cena con dei collezionisti nella "casa di caccia" di Bischofberger, o X-mas Painting for Bruno (1984), ma tutte pongono l’accento sull’influenza Svizzera nell’innovazione artistica di Basquiat.
How to: Jean-Michel Basquiat. Engadin, Hauser & Wirth, St. Moritz (14 dicembre 2024 - 29 marzo 2025). Maggiori info qui.