A che punto siamo con questo nostro corpo? Oggettivato, strumentalizzato, simulato, alienato? Irrilevante, superfluo? Reclamato, Protagonista (non solo di ossessioni e cliché)? La pandemia ha ri-messo tutto in discussione. Veramente? Per fortuna non serve il binocolo per guardarci da vicino, ma le provocazioni del corpo dell’arte "inutile?", del duo scandinavo Elmgreen & Dragset, nutrono parecchi interrogativi, invadendo ogni spazio sperimentale della Fondazione Prada di Milano con Useless Bodies?, inaugurata insieme alla Milano Artweek. Il bronzeo bagnino, immobile sul suo trespolo dorato, dalla sala del Podium della Fondazione, con le pareti di vetro che elevano trasparenze, aprendo lo spazio culturale ai dialoghi possibili con il contemporaneo, sembra forgiato per non perdere d’occhio nessun protagonista dell’indagine tematica che si interroga sul potenziale del corpo e dell’arte.
Oggi, nell’era post-industriale, mentre i postumi pandemici e i postulati della tecnologia pervasiva, gravano su secoli di conflitti e ossessioni dell’umanità. Watching, in entrambe le versioni, sembra il meglio equipaggiato per coprire con lo sguardo gli oltre 3.000 m2 della fondazione, trasfigurati, insieme a qualche convenzione, dalla verve ludica e maliziosa che contraddistingue la mise-en-scènes dell’opera realizzata dal danese Michael Elmgreen (Copenaghen,1961) e il norvegese Ingar Dragset (Trondheim, 1969).
Approfittando di trasparenze e riflessi del Podium, le sue lenti, doppie come quelle di Elmgreen & Dragset, amplificano i punti di osservazione e contatto della platea di corpi scultorei classici e contemporanei dell’installazione in questa sorta di agorà, con quelli reali dei visitatori che la attraversano. I corpi di carne del pubblico, diventano coprotagonisti della performance e dell'opera, insieme a quelli del personale della Fondazione. Una versione ispirata al «Serial Classic» che ha inaugurato la Fondazione Prada nel 2015, nell'ex distilleria trasformata in territorio di pensiero libero per arte e cultura, grazie anche all'intervento dell’architetto olandese Rem Koolhaas, con tanto di bar progettato dallo stile inconfondibile di Wes Anderson. Qui il corpo scultoreo del Gladiatore Farnese (la copia romana del 190-199 dell’ originale greco 460 a.C. ca.), vicino alle spoglie attempate su sedia a rotelle, del bronzo laccato bianco, non lascia molti dubbi sulle intenzioni della pratica scultorea e performativa 'new classic' di Elmgreen & Dragset. Nessuno sul "dislocamento" e la decontestualizzazione di ben più dei secolari ideali di perfezione e mascolinità.
Il corridore del I secolo avanti Cristo, arrivato dal Museo Archeologico di Napoli, conserva il suo guizzo dinamico, in contrasto con la rilassatezza del contemporaneo, che indossa con disinvoltura calzini sporchi, o i soli pantaloni della tuta (come un pigiama), languidamente affacciato al balcone (come molti dei nostri vicini, anche prima della pandemia). L’unica figura femminile della platea, è una domestica incinta, custode, suo malgrado, dell’infanzia isolata e alterata che pervade ogni opera. Anche la Sirenetta della celebre fiaba di Hans Christian Andersen, divenuta monumento pubblico nel porto di Helsingør e simbolo di Copenaghen, dove l'amore e l'arte hanno unito il duo nel 1995, nelle loro mani acquisisce una brillante identità di genere non binario.
He (Silver) riflesso nello specchio, come accaduto alla vera scultura della Sirenetta, con quello posizionato da Elmgreen & Dragset per lo scatto di When a Country Falls in Love with Itself (2008). Ora nello specchio che il pittore spennella di vernice bianca. Ogni riferimento alla 12 ore di performance (12 Hours of White Paint/Powerless Structures, 1997), trascorse a pitturare le pareti bianche di una galleria e prendersi gioco del sistema dell’arte, forse è voluto? Non stupirebbe, dal duo reso celebre dalla land art della falsa e inaccessibile boutique di Prada Marfa, 'dislocata’ nel deserto texano e nel bel mezzo della nostra natura mercificata.
Usando lo spazio come una tela e metafore visive delle inquietudini sociali, con l’ironia necessaria a sollecitare con leggerezza anche riflessioni intorpidite e assuefatte, Elmgreen & Dragset restituiscono alla realtà il mistero e la meraviglia, banalizzate da strumentalizzazioni e cliché. Non fatevi ingannare da asserzioni che servono solo a porre domande e scatenare riflessioni. Salendo al secondo piano dell’agorà trasparente del Podium, il labirinto di postazioni di lavoro che annichiliscono l’individuo di Garden of Eden (2022), disertato dagli impiegati che si lasciano dietro fermacarte di Karl Marx, cartoline, manuali di self-made, profuma di intelligente leggerezza e sottile anarchia.
La tazza dimenticata sulla scrivania, profuma di caffè e ricordi umani, oltre a citare la precedente opera It's The Small Things In Life That Matter Blah Blah Blah (2006). Progettato prima dell’avvento di lockdown e smart working, pensando all’ambiente di lavoro avvilente che condiziona le esistenze, amplificando l’isolamento dell’individuo, questa 'paradisiaca' installazione sembra liberarlo, con la stessa abilità di sconvolgere l'ordine apparente delle cose dello svagato Monsieur Hulot di Jacques Tati in PlayTime (Tempo di divertimento, 1967). Liberandolo dall’ingranaggio dei Tempi Moderni come Charles Chaplin?
Lo stesso succede alla vitalità dell’interno domestico inospitale progettato nella Galleria nord, confondendo i confini tra arte, archetettura, design e critica sociale, per restituire la moderna sintesi di un bunker. Molto simile a quelli costruiti per soddisfare le manie di chi investe miliardi in criogenesi definitiva e viaggi nello spazio. Una sorta di astronave del retro-futuro d'inabitabile vanità, provvista di algida cucina d’acciaio contundente, ispirata alle opere di Donald Judd, design (anti uomo). Da collezione, quanto le opere d'arte tenute in teche con Gli Amanti di René Magritte, oppure appese alle pareti, tra una tela squarciata di Lucio Fontana e Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, con il suo iconico corteo di lavoratori in sciopero, ridotto a desktop per uno schermo piatto.
Anche la salma del padrone di casa è a vista, nel cubicolo refrigerato dell’eterno riposo, mentre l’unica cosa animata (dall’intelligenza artificiale) è il cane robot che scodinzola fedele alla pervasività tecnologica. L’installazione ricorda concettualmente The Collectors, il padiglione danese e nordico curato da Elmgreen & Dragset alla 53a Biennale di Venezia (2009). Anche se in quel caso il collezionista d’arte faceva il morto a galla in piscina. Questa volta la piscina, svuotata e deserta, è installata in uno dei tre spazi della Cisterna trasformata in Spa. Lontana mille miglia da quella (a grandezza naturale), installata verticalmente sulla Fifth Avenue di New York City con il progetto pubblico Van Gogh's Ear (2016). Forse.
Per arrivare in questa piscina, si passa tra gli armadietti spalancati dello Spogliatoio 2/ Powerless structures, Fig. 128(2022). Tazzine da caffè e portacenere pieni, fanno da contraltare all’eterna attesa di Touch (2011) del corpo steso su un lettino e il perturbante quotidiano della coppia di lavandini di Marriage (2004). Lui e lei, resi inutili dal groviglio sinuoso di tubi di scarico 'che non scaricano' come dovrebbero i fluidi del corpo lavato.
Basta attraversare la stanza centrale della Cisterna e della fiorente-frustrante industria del benessere, dove il pastiche umoristicamente sovversivo della condizione socio-politica umana, resta in bilico, come il funambolo con What’s Left? (2021) stampato sulla maglietta. Si salverà grazie alle capacità del corpo? Qualunque sia il destino che decidiate di assegnargli, la Piscina di Largo Isarco (2022), piena solo di detriti, tra il meteorite atterrato sul tappeto elastico di Too Heavy (2017) e una mascherina abbandonata, aspetta i corpi freschi dei visitatori per immersioni asciutte. Le calosce bucate, restano comunque a borto piscina, come "un simbolo dei nostri patetici sforzi per proteggerci dai cambiamenti climatici e di come non possiamo cambiare le sorti se non stiamo cambiando completamente il nostro comportamento".
L’installazione delle opere concettuali, minimaliste, ma realizzate per restare realistiche e riconoscibili, invade anche gli spazi esterni, con questioni tristemente attuali, tra la sezione originale del Muro di Berlino che incorpora il Bancomat di Statue of Liberty (2018-21) e i due ragazzi The Outsiders (2020) che dormono all’interno della Mercedes, passata anche per Art Basel. Non sperate neanche nella segnaletica, sostituita da specchi che infrangono l’ossessione di essere guidati e diretti in questa realtà lontana dal metaverso (mai dai social network) che rivendita il corpo. Il nostro, imperfetto, fragile ma resistente che stiamo provando a riprenderci, insime allo spazio sociale.
How to: Useless Bodies? Elmgreen &Dragset, Fondazione Prada, Milano (31 marzo – 22 agosto 2022) - www.fondazioneprada.org/project/useless-bodies