Spesso indecifrabile, sempre provocatorio, lo sguardo di Marina Abramović resta aperto alle esperienze e le dimensioni alternative, al contatto viscerale con la natura del corpo e della spiritualità, rendendo le sue esplorazioni più estreme, stile di vita e forma d’arte. L’essenza stessa della Performance Art che ridefinisce da cinque decenni, insieme alla costante trasformazione, intrapresa mettendo a nudo e trafiggendo la carne e l’anima, per testare i limiti del corpo e le potenzialità della mente. La perenne tensione tra il se e l’altro, esplorata per oltre un decennio insieme a Ulay e sin dall’inizio con l’incontro tra l’artista e il pubblico, non ha mai smesso di usare armi, sangue ed emozioni reali.
L’alto tasso di complessità e rischio delle sue performance, alla ricerca di elevazioni dello spirito che liberano l’energia del corpo, insieme a quella dell’arte che non nasce per restare appesa alle pareti di gallerie e musei, l’hanno appena incoronata Princess of Asturias Award for the Arts alla presenza dal re e della regina di Spagna, tra grandi retrospettive rimandate dal covid 19 e tournée che ritualizzano anche la morte, mentre il nuovo progetto espositivo del Kunsthalle Tübingen intraprende un viaggio nelle pieghe più interiori e spirituali dell'opera di Marina Abramović, con la sua voglia di scuotere, pronta a risvegliare il potere del soprannaturale nelle persone moderne e razionali.
Il covid ha solo rimandato al 2023, la grande retrospettiva After Life alla Royal Academy of Arts di Londra, pronta a rendere Marina Abramović, la prima artista donna a occupare l’intero spazio della galleria con l’opera d’arte di una vita, in 250 anni di storia dell’istituzione. Un nuovo traguardo, per l’artista audace e determinata, nata il 30 novembre 1946 a Belgrado, in un paese che non esiste più. Raccontato, cantato e pianto insieme allo strazio della guerra in Yugoslavia, tirando a lucido 1.500 ossa di mucca, sei ore al giorno per quattro giorni, con la performance Balkan Baroque alla Biennale di Venezia del 1997, premiata con il Leone d’Oro. Uno dei tanti traguardi raggiunti dall’artista che festeggia 75 anni con l’entusiasmo di un’adolescente e l’autoironia della mente sugli orizzonti del corpo, radicalmente messi in discussone dal suo approccio alla visione e alla mistica all’arte, protagonisti della mostra alla Kunsthalle Tübingen, curata da Nicole Fritz in stretta collaborazione con Marina Abramović e il suo studio.
Ogni crisi ci obbliga a ripartire, da zero, da noi, costringendoci ad affrontare paure e limiti per abbracciare la trasformazione, ma pochi riescono a farlo come Marina Abramović. La pandemia ha forse solo rallentato la tournée di 7 Deaths of Maria Callas, che lascia la Lisson Gallery di Londra ma è pronta a toccare il Teatro di San Carlo di Napoli il prossimo maggio, continuando a de-costruire anche l'opera con il mito di Maria Callas. L’istantanea di una vita per l’arte che ne ritualizza l’amore e la morte in 100 minuti, senza nessuna pausa o paura, con un partner come Willem Dafoe e la complicità di Riccardo Tisci e i costumi Burberry.
La crisi sanitaria e umanitaria che ci obbliga a rivedere i parametri della distanza dall’altro e sperimentare nuove modalità di connessione, può solo accrescere il valore del dialogo non verbale tra Marina e il pubblico, l’energia che lo nutre insieme a cinquant’anni di trasformazioni, protagoniste delle opere emblematiche e inedite selezionate per That Self / Our Self. Life, insieme alla prima opera artistica a essere presentata al pubblico con la tecnologia della Mixed Reality.
Riprendendo e ampliando il titolo e la portata delle esplorazioni dell’inconscio di un’opera come That Self (1980), il percorso espositivo alla Kunsthalle Tübingen, ripercorre le tappe della sua trasformazione artistica e performativa, focalizzandosi sulle influenze del suo approccio individuale al trascendente che combina elementi del buddismo, varietà del misticismo europeo ed elementi sciamanici, entrando in contatto con ogni genere d'individuo ed entità, dagli aborigeni australiani e i monaci tibetani, ai guru brasiliani.
Materiali d'archivio finora inediti della Galleria Ingrid Dacić e dal video Freeing the Memory (1975), iniziano questo viaggio nella dimensione interiore di Marina, tornando nella Tubinga che tra il ha 1975 e il 2000 ha accolto la Abramović, presentandone per la prima volta al pubblico, disegni, sculture e performance. Riparte dai confini fisici e psicologici del grande dolore inflitto al corpo dalle prime performance, per espandere la coscienza e la percezione oltre il razionale, dalla vittima passiva consegnata al pubblico come oggetto di Rhythm 0 (1974), Rhythm 10 (1973), Rhythm 5 (1974) e Dissolution (1997), rischiando di essere ferita e uccisa nel processo.
La mostra attraversa i dodici anni di performance esistenziali con Ulay e la nascita di That Self (1980), la collaborazione esistenziale, sentimentale e artistica che sperimenta tecniche spirituali, come l'ipnosi e la meditazione, per decostruire attribuzioni di ruolo, risvegliare l’inconscio e raggiungere la fusione tra maschile e femminile di un se superiore.
Un’energia non avvelenata da quell’ego che mette fine a relazione e collaborazione con The Lovers (1988), mentre attraversa i duemila chilometri della Grande Muraglia Cinese e un paese che nessuno vuole vedere negli anni di piazza Tienanmen. Partiti dai poli opposti del viaggio, per salvare qualcosa di più importante dell’amore, quando si incontrano a metà strada il 27 giugno 1988, Ulay ha preceduto Marina di tre giorni e ha già messo incinta la sua interprete Ding Xiao Song, sposata a Pechino, nel dicembre dello stesso anno.
Un grande dolore, molto diverso da quello inflitto fino a quel momento al corpo, spinge l’artista alla fase autoriflessiva degli anni ’90 e al dialogo energico con gli elementi della natura. La portano a fare i conti con le radici individuali e spirituali che affondano nei Balcani, tornando nelle stanze dell’infanzia con performance che ripercorrono il cammino d’ascesi di figure mistiche come Teresa d’Avila. Dalla cucina della nonna a quella dell’ex convento spagnolo di La Laboral a Gijon, The Kitchen, Homage to Saint Therese, registra la scossa interiore che esplora i fenomeni di levitazione, attribuiti alla Vergine di Dio e prima donna dottore della Chiesa, nella cucina del convento, con il corpo pronto ad accogliere l’elevazione spirituale e l’energia che fa fremere le mani insieme alla mente. La certezza che l’arte non può dissociarsi con la vita, raggiunge il culmine insieme al dialogo non verbale con lo spettatore, mentre siede immobile, senza bere, mangiare o parlare, per otto ore al giorno, nel corso dei tre mesi di performance di The Artist Is Present (2010) al Museum of Modern Art di New York. Settecentosedici ore di sguardi per il fluire potente di tensioni emotive e connessioni. Il fluire dell’energia, esplosa con lo shock di ritrovarsi davanti Ulay, tra i volti anonimi e del jet set che affollano la performance.
Sopravvissuta alla violenza della vita e delle performance più estreme, a Ulay e le controverse reazioni di pubblico e critica, la connessione maturata con l’esperienza artistica, la spinge anche a fondare il Marina Abramović Institute (MAI), per permettere al suo pubblico di entrare in contatto con se stesso attraverso l'arte e esercizi collettivi, come Counting the Rice. La componente sensoriale e spirituale con cui Marina Abramović ha rivoluzionato la performance art e dato ritmo a questa mostra, sono protagoniste anche dei contributi di Erich Ackermann, Hartmut Böhme, Jeannette Fischer, Nicole Fritz, Antje von Graevenitz, Volker Leppin e Bernhard Pörksen, nelle pagine del catalogo omonimo pubblicato dalla Walther Koenig di Colonia. (agosto 2021)
How to: Marina Abramović. Jenes Selbst / Unser Selbst, Kunsthalle Tübingen (24 luglio 2021 - 13 febbraio 2022) kunsthalle-tuebingen.de/ausstellungen/marina-abramovic