Durante la sua visita di stato a Washington, la terza quest’anno, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha candidato il presidente statunitense Donald Trump al premio Nobel per la Pace. Il capo di Stato, Netanyahu, accusato dalla Corte penale internazionale di aver commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità per le ormai 60mila vittime che la guerra nella Striscia di Gaza ha causato, ha candidato il suo alleato storico, Trump, che insieme a lui ha appena bombardato uno Stato sovrano com'è l'Iran.
Se non fosse accaduto sotto gli occhi di svariati testimoni, tra cui numerosi giornalisti che si trovavano ancora nella sala dell'incontro tra le delegazioni di Israele e Usa, verrebbe da pensare che è tutto finto, che è una creazione dell'IA, che è un meme un po' volgare e poco divertente. E invece.
«Voglio darti, signor presidente, la lettera che ho inviato al comitato del Nobel. È una candidatura al Nobel per la Pace, ed è meritata», ha detto Netanyahu a favore di stampa. «Wow, grazie, non lo sapevo, grazie. Da parte tua ha un grande valore. Grazie Bibi», ha risposto Donald Trump visibilmente e sinceramente colpito, usando il soprannome del primo ministro israeliano.
Netanyahu si trovava negli Stati Uniti per celebrare assieme a Trump (alla faccia della pace) l’attacco del mese scorso all’Iran, a cui gli Stati Uniti hanno partecipato con un bombardamento ai siti nucleari iraniani. Trump, dal canto suo, intendeva invece fare pressioni su Netanyahu affinché accettasse un nuovo accordo di cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, dopo il fallimento del precedente, tema che è attualmente in discussione.
Netanyahu, consapevole delle intenzioni del presidente Usa, ha, si ipotizza, voluto frenarle con un gesto di adulazione a cui Trump è particolarmente sensibile. È risaputo, infatti, che uno dei grandi sogni (uno dei pochissimi ancora irrealizzati per un uomo che ha sempre ottenuto tutto ciò che voleva, nda) di The Donald sarebbe quello di ricevere il Nobel per la pace, che, ricordiamo, nel 2009 è andato al presidente dem Barack Obama per "per i suoi straordinari sforzi nel rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli".
Un Nobel per Trump? Tra ossessioni, sogni e propaganda
Un sogno e un nervo scoperto al contempo, dunque, questo per Trump. Non a caso, di recente, facendo un’allusione a Obama, la portavoce della Casa Bianca Taylor Rogers ha detto che Trump «ha fatto ciò che gli altri presidenti non sono mai riusciti a compiere, anche quelli che hanno vinto il premio Nobel per la Pace».
Il premio servirebbe anche a consolidare un’immagine che da tempo Trump vuole dare di sé: cioè di un leader con grandi doti da negoziatore, capace di prevenire guerre o mediare cessate il fuoco o accordi di pace anche nelle situazioni più complicate e ingarbugliate.
La candidatura offertagli dall'amico "Bibi" gli ha anche permesso lanciarsi in iperboli spericolate: ha, infatti, paragonato la sua decisione di lanciare bombe sui siti atomici iraniani a quella di Truman di sganciare le bombe atomiche sul Giappone nella Seconda Guerra Mondiale. “Quelle misero fine a molti combattimenti, queste hanno fermato molti combattimenti”, ha detto Trump riferendosi all’attuale cessate il fuoco tra Iran e Israele seguito all’intervento militare di Washington a fianco di Gerusalemme.
Trump e Netanyahu, stando a indiscrezioni, in realtà giocano sul filo di lana e non sarebbero particolarmente e sempre in sintonia, anzi: avrebbero avuto anche screzi non di poco conto, ma oggi sfoggiano unità, almeno sulla carta. Per Trump appare cruciale una fine della guerra Gaza e il ritorno di tutti gli ostaggi in mano a Hamas. “Credo che siamo vicini a un deal su Gaza, potrebbe avvenire questa settimana. Credo un accordo con Hamas possa esserci in settimana”, ha detto professando ottimismo.
I due leader hanno toccato anche il tema degli orizzonti per Gaza. Qui la controversia regna, senza che entri in gioco una vera autodeterminazione per i palestinesi e la prospettiva di un loro futuro stato. Trump ha evitato prudentemente di esprimersi sulla prospettive della soluzione dei due stati, mentre il premier israeliano ha parlato di “potere dei palestinesi di governarsi ma non di minacciarci, e ciò significa che certi poteri quali la sicurezza rimarranno sempre nelle nostre mani”. Ancora: “Faremo una pace con i vicini palestinesi che non vogliono distruggerci, una pace nella quale la nostra sicurezza, il potere sovrano della sicurezza, è sempre nelle nostre mani”. Se qualcuno dirà che questo non è un vero stato, ha aggiunto, “non ci importa nulla”. Di più. Netanyahu è parso soprattutto definire “brillante” la visione di Trump, che in passato aveva suggerito, per lasciarla in seguito sfumare, la fuoriuscita della popolazione palestinese e la trasformazione della striscia in riviera turistica. Bibi ha indicato che i residenti di Gaza, oggi ridotta in macerie da bombardamenti israeliani che hanno mietuto decine di migliaia di morti, dovrebbero poter lasciare il territorio. “Si chiama libera scelta, se vogliono restare, possono, ma se vogliono andarsene, dovrebbero poterlo fare”.
Anche sul più a breve termine, non mancano interrogativi sulla coerenza delle rispettive agende dei due leader. Secondo alcuni osservatori citati dalla stampa americana, Trump ambirebbe al decollo del cessate il fuoco a Gaza assieme a qualche accordo che eviti ulteriori attacchi israeliani a Teheran. Netanyahu potrebbe invece essere interessato anzitutto a dichiarare vittoria senza impegnarsi a particolari concessioni. E nel mentre, cerca di abbindolare l'alleato sventolandogli sotto agli occhi la sua ossessione: un Nobel per la Pace francamente irricevibile, anche sotto forma di meme.