Perché ogni anno, con l’arrivo della bella stagione, l’acqua miete vittime (anche) tra i più piccoli? Che sia di mare, acqua dolce o piscina poco cambia: le cronache purtroppo si riempiono di notizie di bambini annegati. Sul momento si scatenano panico e preoccupazione, poi torna il silenzio. Eppure, anche l’Oms, con la campagna “Anyone can drown, no one should” (chiunque può annegare, nessuno dovrebbe), sottolinea quello che tutti dovremmo sapere: l’annegamento è un evento tragico, ma prevenibile, non un'inevitabile fatalità, soprattutto quando si tratta di bambini. Nonostante ciò, e nonostante le Nazioni Unite abbiano dichiarato il 25 luglio Giornata Mondiale per la Prevenzione dell'Annegamento, l’annegamento pediatrico resta a tutt’oggi un problema sottovalutato. Ne abbiamo parlato con il dottor Mirko Damasco, presidente e fondatore di Salvagente Italia (salvagenteitalia.org), associazione nata per diffondere la cultura del Primo Soccorso in Italia grazie a corsi ed eventi accessibili a tutti.

Dottor Damasco, quanti bambini perdono la vita per annegamento ogni anno in Italia?

I dati poco precisi che abbiamo – al contrario di quelli, per esempio, sugli incidenti stradali – ci mostrano quanto l’Italia si occupi poco del tema in generale. Diciamo che ogni anno si oscilla tra i 20 e i 50 bambini annegati - senza contare i tanti salvataggi - con gli eventi tragici che si concentrano durante l’estate.

Perché accade?

Si tratta di un problema culturale, ed è su questo che, come associazione, insistiamo tutti i giorni. Quello che diciamo sempre ai genitori è che i bambini annegano perché gli adulti non sanno come annega un bambino. È banale e sembra incredibile, ma se io prendo cento adulti e chiedo a ognuno di loro di descrivermi una persona che annega, hanno in mente quello che vedono nei film: una persona che si agita, che inizia a sbracciare, che grida, dà segni di difficoltà, che inizia a fare il classico movimento del tappo di sughero che va su e giù. Ma questo è tipico solo degli adulti, che annegano in verticale per via delle loro caratteristiche fisiche.

Come annegano invece i bambini?

Per questioni di volume polmonare innanzitutto i bambini non annegano verticalmente, ma orizzontalmente, e a faccia in giù: quindi non vedrò nessuno che si agita, non sentirò nessuno che grida o chiede aiuto. Poi, in maniera silenziosa, più o meno in 20 secondi, un bambino sparisce sotto il pelo dell’acqua e in tre minuti è in arresto cardiaco. È qui che cambia tutto: se io, adulto, so che il bambino annega buttando la faccia in acqua, non muovendosi più e andando sotto in 20 secondi, allora capisco perché se sono in acqua e sto giocando con mio figlio, dietro le mie spalle, accanto a me potrebbe esserci un altro bambino che sta morendo annegato, di cui non mi accorgo perché quel bambino non si muove, non urla, non riesce a tirare su la testa dall’acqua. E non si tratta quasi mai di malori. Purtroppo, chiunque abbia avuto a che fare con un annegamento pediatrico racconta che in un nanosecondo il bambino è sparito. E questo spiega anche gli incidenti che avvengono, per esempio, nei parchi acquatici, dove i più piccoli annegano in mezzo a centinaia di persone che non se ne accorgono. Inclusi i bagnini di salvataggio in servizio, che hanno troppe persone da controllare.

Positive Illusions

Positive Illusions

L'immagine che apre questo articolo è tratta dal libro Positive Illusions (mackbooks.eu), in cui l'artista Benjamin Freedman utilizzando la CGI (Computer Generated Imagery) ricostruisce i ricordi d'infanzia legati a un viaggio di famiglia nel Maine nel 1999 attraverso una sequenza di immagini surreali, giocando con il labile confine tra memoria e fantasia.

Quanto è importante che si diffonda questa consapevolezza?

È fondamentale. È chiaro che qualsiasi adulto informato guarderà i propri bambini, ma anche quelli attorno, con un’attenzione diversa.

Altre convinzioni da sfatare?

L’altro falso mito che tutti hanno è quello dell’acqua alta, ed è legato alla percezione del rischio, un punto su cui come Salvagente insistiamo moltissimo. Perché se l’acqua alta fa paura, abbassiamo invece la guardia quando si tratta, per esempio, di piscine per bambini o piscinette gonfiabili, addirittura della vasca da bagno. In questo caso l’adulto percepisce un rischio minore: vede il bambino di 3, 4 anni con l’acqua che arriva nemmeno alle ginocchia e magari si distrae, o addirittura si allontana, anche se per pochi minuti. Ma quello che l’adulto deve capire è che basta che il bambino finisca con il viso nell’acqua (e ne bastano 20 centimetri) perché scivola, cade o perde l’equilibrio, perché muoia in pochi attimi. Lo stesso vale in riva al mare. Il concetto è semplice, ovunque c’è acqua il genitore deve avere il massimo di quella che si chiama sorveglianza attiva. La prima regola fondamentale, la base di tutto, è che non si deve mai lasciare un bambino da solo dove ci sia uno specchio d’acqua. Poi, le linee guida dicono che se tuo figlio è in acqua un adulto deve stare in acqua con il bambino a meno di un metro di distanza. Poi è chiaro che al venticinquesimo bagno della giornata ognuno fa quello che può, ma è fondamentale conoscere bene i rischi: ovvero, che è sufficiente distogliere lo sguardo per venti secondi e il bambino è sotto.

Il fattore tempo spesso è sottovalutato dagli adulti.

Lo facciamo sempre vedere nei nostri video: venti secondi sono venti secondi, non lo diciamo per indicare un generico “poco tempo”. È difficile rendersene conto, basta una banalissima notifica su WhatsApp, e quando rialzo gli occhi il bambino non c’è più.

Dunque, lasciare il cellulare lontano da dove sto sorvegliando il bambino è un’ottima idea.

Che cosa possono fare i genitori in ambito prevenzione?

La prima, fondamentale regola antiannegamento è che i bambini sappiano nuotare: non serve che diventino la Pellegrini, ma è un must che imparino a destreggiarsi nell’acqua prima possibile. Perché se io, genitore, mi distraggo, ho un problema o faccio un errore, mio figlio nell’acqua sa almeno galleggiare. Un’altra cosa che va assolutamente detta a chiare lettere è che ciambelle e braccioli sono solo un aiuto al galleggiamento e non sono dispositivi antiannegamento, anche se vengono utilizzati come se lo fossero. E pure questo abbassa la percezione del rischio. L’unico vero dispositivo antiannegamento è il giubbotto di salvataggio, ma si vedono pochissimi bambini che lo indossano. E nemmeno questo sostituisce la sorveglianza attiva. Per salvare vite è fondamentale anche l’abbattimento delle barriere culturali, che si può concretizzare solo attraverso conoscenza e formazione: quello che ci impressiona così tanto quando lo leggiamo sul giornale ci sembra quasi un film se non siamo direttamente coinvolti, ma dietro certe notizie ci sono una famiglia devastata e un bambino che non c’è più, ma che si poteva salvare conoscendo poche regole-base.

È quello che fate nei vostri corsi, anche online.

Come Salvagente abbiamo un corso che si chiama Salva e previeni Junior che affronta un po’ tutti gli argomenti, dalla prevenzione degli incidenti domestici alla scelta del seggiolino, ma anche un corso monotematico e approfondito sull’annegamento pediatrico di due ore, online e a offerta libera per favorire la massima partecipazione. Ma anche qui si torna al discorso della percezione del rischio: durante l’inverno sostanzialmente è vuoto, molte dati dobbiamo annullarle perché non ci sono iscritti, mentre da giugno a settembre crescono le richieste, con un boom in coincidenza degli annegamenti di bambini che finiscono sui giornali. A differenza di altri Paesi, specie quelli del nord Europa, in Italia non abbiamo la cultura della prevenzione e anche per questo come associazione stiamo portando avanti una battaglia, purtroppo al momento inascoltati: inserire il primo soccorso come materia obbligatoria nelle scuole, perché la cultura di base la costruisci nei ragazzi fin da piccoli. C’è poco da fare: possiamo formare i genitori fin quando vogliamo, ma non ce la faremo mai ad arrivare in tutte le famiglie. Come invece può fare la scuola.