Mariupol, Ucraina, primavera 2022. Quando Sasha viene caricato su un autobus diretto nella regione di Donetsk sotto il controllo russo, ha dodici anni, un occhio ferito dalla scheggia di un’esplosione e nessuno a cui chiedere aiuto. Con sua madre sono stati fatti prigionieri e portati in un campo di filtrazione, dove all’inizio della guerra i russi selezionavano gli ucraini in fuga dalle zone di battaglia. Da lì in poi non ha più visto sua madre. I soldati gli hanno detto che lei non aveva superato i controlli e che per questo lo avrebbero portato in un orfanotrofio in attesa di “una nuova famiglia russa”.
Non è andata così, per fortuna. Sasha è riuscito a inviare un messaggio sui social alla nonna che, grazie a una rete di attivisti clandestini e qualche mancia elargita lungo il percorso ha viaggiato per migliaia di chilometri per trovare e riportare a casa il nipote, con modalità coperte dal segreto investigativo. Della madre non si sa nulla. E per Sasha, che ora vive con la nonna vicino Kiev in una località protetta, raccontare la sua storia è l’unico modo per sperare di riabbracciarla. Anche Yevhen Mezhevyi, gruista e padre single ha vissuto un incubo simile. Durante un’evacuazione è stato arrestato perché ex militare, mentre i suoi tre figli, Matvii (12 anni), Sviatoslava (8) e Oleksandra (6), venivano separati da lui e portati in un sanatorio vicino Mosca. La figlia minore è stata persino fotografata accanto a Maria Lvova-Belova, commissaria russa per l’infanzia, in uno scatto di propaganda. Dopo settimane di torture e detenzione Yevhen è riuscito a uscire di prigione, a localizzare i figli e a portarli in salvo in Lettonia. Come loro negli ultimi mesi, centinaia di bambini sono stati rintracciati dai parenti con l’aiuto di Save Ukraine e SOS Children’s Villages Ukraine. I loro racconti sono pubblicati su siti del governo ucraino (bringkidsback.org.ua) che ha messo in piedi una task force di legali e diplomatici per riportare a casa i bambini forzatamente trasferiti nella Federazione Russa.
«Le stime ufficiali parlano di 20 mila minori deportati illegalmente. Ma in guerra è difficile avere dati certi. Sicuramente sappiamo che finora ne sono stati rimpatriati circa 1200. Se tornano indietro, vuol dire che di fatto c’è stata deportazione, grave violazione del diritto internazionale. Anche se per la narrazione russa la scusa è averli portarli in salvo dalle bombe: le fonti ufficiali parlano di soggiorno climatico», racconta l’inviato speciale di Avvenire Nello Scavo, in libreria con Il salvatore di bambini (Feltrinelli). Nel libro, Scavo racconta la storia di Volodymyr Sahaidak, direttore del Centro di riabilitazione psicologica e sociale per bambini vulnerabili vicino Kherson che durante l’occupazione di tre anni fa è riuscito a mettere in salvo 52 minori, orfani e assegnati dal Tribunale dei minori dai 3 ai 12 anni, sotto la sua custodia. «Dirigere una comunità per minori in tempo di guerra è un incubo. Dirigere una comunità per minori che potrebbero essere rapiti e fatti sparire a migliaia di chilometri di distanza lungo gli undici fusi orari della Federazione Russa, il peggiore degli incubi», scrive Scavo. Raggiunto via Viber a Kherson dove i droni russi prendono continuamente di mira i civili, Sahaidak racconta a Elle: «Dai primi giorni dell’occupazione ho capito che i bambini erano in pericolo. La guerra qui va avanti dal 2014 e abbiamo visto cosa fanno i russi nei territori occupati. Il rapimento dei minori non è un evento isolato ma una strategia organizzata. All’inizio si presenta come un trasferimento temporaneo, poi si trasforma in un processo di indottrinamento e infine in un’adozione forzata».
Nel giugno 2022 i corpi speciali russi fanno irruzione nel suo istituto, puntano i fucili e intimano al direttore di consegnare la lista dei minori. Lui l’ha scritta a mano, con annotazioni in ucraino, incomprensibili ai soldati. Nel frattempo, per non lasciare soli i bambini si trasferisce nel centro. «I più grandi sono diventati subito adulti e ci hanno aiutato con i piccoli che non capivano bene, ma sentivano l’ansia. Unico antidoto, le fiabe della sera». Poi capisce che per salvarli deve allontanarli da lì. Inventa diagnosi mediche («chi vorrebbe mai adottare un bambino malato?»), rintraccia parenti lontani, coinvolge membri dello staff che accettano di fingere di essere i nuovi genitori adottivi. «La situazione più rischiosa? Spiegare ai vicini come mai un educatore avesse improvvisamente quattro bambini. Per poi farli passare attraverso i posti di blocco russi. C’è stata una grande preparazione, un lavoro di copertura, ma se i russi avessero capito che li stavamo ingannando…».
Oggi tutti quei bambini sono al sicuro. Sahaidak continua a lavorare nella struttura mentre la sua famiglia si è trasferita in un luogo più sicuro. Le minacce russe non sono scomparse: il Salvatore di bambini è diventato testimone della Corte penale internazionale contro Putin e Maria Lvova-Belova, accusati del crimine di deportazione illegale di minori ucraini. «Tra le storie senza lieto fine - continua Nello Scavo - ci sono le ragazze adolescenti trasferite in alberghi nella Crimea occupata, “cadute dalle finestre”. Ufficialmente suicidi. Ufficiosamente, misteri che nessuno vuole chiarire. C’è il sospetto che siano vittime di abusi, sfruttamento, violenze». Oltre a chi è avvolto dal silenzio. Come Ania, un’adolescente che sarebbe dovuta star lontano dall’Ucraina il tempo di una vacanza ma che è poi comparsa in una foto con la famiglia affidataria russa (8 figli!). Di lei si sono persi i contatti, si teme non sia libera di comunicare. «La parte più tragica sono anche i bambini che all’epoca della deportazione avevano pochi mesi. Rischiano di non sapere mai da dove vengono. Alcuni sono stati adottati con atti di nascita falsificati, da famiglie russe ignare anch’esse che siano bambini ucraini. È successo qualcosa di simile in Argentina, durante la dittatura, dove a distanza di decenni si è potuto ricostruire la verità grazie alla banca del Dna. Qui a guerra terminata potrebbe accadere lo stesso», spiega Nello Scavo. Ora che il ritorno dei bambini è la vera “linea rossa”, nessun accordo di pace sarà possibile senza risolvere questa tragedia, s’intensificano le iniziative umanitarie per riportare a casa i bambini ucraini.
I figli della guerra
La fotografia aggiornata dello stato di salute dei minori in Ucraina è difficile da scattare se non impossibile: su una popolazione di circa 1,5 milioni di bambini sotto occupazione dal 2014, non si sa con precisione quanti di loro siano stati prelevati e probabilmente solo la liberazione di quei territori consentirà di stabilirlo. «Il rientro in sicurezza in Ucraina dei bambini deportati in Russia è una della condizioni non negoziabili in un possibile accordo che ponga fine alla guerra», ha dichiarato in queste settimane la vice ministra degli Esteri ucraina Mariana Betsa a Euronews e poi ha aggiunto: «Non ci sarà pace giusta senza il ritorno dei prigionieri di guerra, delle persone detenute illegalmente e di ogni singolo bambino». Mentre nei giorni scorsi il presidente Trump aveva manifestato l'intenzione di partecipare ai colloqui di pace organizzati in Turchia tra il leader russo Putin e il presidente ucraino Zelensky, anche se poi né Putin né Trump si sono presentati all'appuntamento, il neoeletto Papa Leone XIV ha proposto il Vaticano come mediatore di pace. Resta quindi accesa la speranza anche per le famiglie di quei 5,7 milioni di bambini ucraini che hanno avuto l'istruzione interrotta e quel milione e mezzo di bambini con problemi di salute mentale a causa del conflitto. (di Anna Bogoni)